Quando si voltano le spalle alla fortuna
Tanti anni fa, uno dei tormentoni estivi era rappresentato da una canzone balneare nella quale l’innamorato sognava di legare la propria amata ad un granello di sabbia.
Ebbene, in molte parti del mondo sui granelli di sabbia si sta seriamente pensando di legare il futuro.
Antonio Budruni è docente di diritto ed economia, scrittore e storico.
Antonio Budruni |
In Italia, per esempio, nel Parco di San Rossore (Pisa) le dune sabbiose, insieme alle zone umide, sono guardate a vista. Si è deciso, infatti, di salvaguardare le une e le altre come risorse preziose e irriproducibili. Analoga scelta è stata fatta, di recente, nell’Area marina protetta di Torre Guaceto (Brindisi), dove i tre chilometri di dune sono stati ripristinati, dopo decenni di degrado, grazie “a interventi di ingegneria naturalistica che hanno permesso il reimpianto di piante pioniere (come la gramigna delle spiagge, i gigli di mare o le euforbie) in grado di trattenere la sabbia e rimodellare le dune.” (Rossella Cerulli).
Secondo il direttore della riserva marina, Alessandro Cicolella: “la duna è il vero polmone della spiaggia, una specie di cassaforte che cede sabbia nei periodi in cui il mare ne trasporta minore quantità.” E conclude, con facile sillogismo: “E siccome se non c’è spiaggia non possono sorgere stabilimenti, le dune assumono anche un nuovo valore: commerciale…”.
Da noi, invece, come tutti sanno, le dune e le zone umide non godono di grande considerazione. C’è perfino chi ha pensato di scaricare i reflui del depuratore nella laguna del Calic, attraverso il rio Barca. Una genialata che ha fatto finire la città sui telegiornali nazionali e sui quotidiani di mezza Italia, a causa della marea gialla prodotta dall’eccessivo processo di eutrofizzazione determinato dallo scarico – insostenibile dal punto di vista ambientale – dei reflui.
Eppure, in uno studio non troppo vecchio (anni ’90), Lo stato dell’ambiente in Sardegna, curato da Giancarlo Capitta e Marisa Porcu Gaias, c’era scritto tutto ciò che occorreva sapere prima di avventurarsi in un’operazione tanto dannosa per l’ecosistema umido algherese e per il futuro delle dune e delle acque di balneazione. La situazione del Calic veniva descritta in questo modo:
Secondo il direttore della riserva marina, Alessandro Cicolella: “la duna è il vero polmone della spiaggia, una specie di cassaforte che cede sabbia nei periodi in cui il mare ne trasporta minore quantità.” E conclude, con facile sillogismo: “E siccome se non c’è spiaggia non possono sorgere stabilimenti, le dune assumono anche un nuovo valore: commerciale…”.
Da noi, invece, come tutti sanno, le dune e le zone umide non godono di grande considerazione. C’è perfino chi ha pensato di scaricare i reflui del depuratore nella laguna del Calic, attraverso il rio Barca. Una genialata che ha fatto finire la città sui telegiornali nazionali e sui quotidiani di mezza Italia, a causa della marea gialla prodotta dall’eccessivo processo di eutrofizzazione determinato dallo scarico – insostenibile dal punto di vista ambientale – dei reflui.
Eppure, in uno studio non troppo vecchio (anni ’90), Lo stato dell’ambiente in Sardegna, curato da Giancarlo Capitta e Marisa Porcu Gaias, c’era scritto tutto ciò che occorreva sapere prima di avventurarsi in un’operazione tanto dannosa per l’ecosistema umido algherese e per il futuro delle dune e delle acque di balneazione. La situazione del Calic veniva descritta in questo modo:
“riserva naturale ai sensi della L.R. 31/89. Interrato, inquinato da scarichi e discariche, è utilizzato per la pesca (…) Indagini svolte nel 1978, 1980-’81 dall’Università di Sassari hanno dimostrato l’ipereutroficità delle acque, la diminuzione della fauna ittica pregiata, la rarefazione delle specie avicole nidificanti”.Nello stesso ponderoso volume, a pag, 424, trattando in generale delle paludi e degli stagni costieri della Sardegna, si possono cogliere le seguenti informazioni:
“Costituiscono una componente essenziale dell’equilibrio idraulico del territorio, assicurano umidità ai territori adiacenti durante la stagione siccitosa e fungono da serbatoi di espansione delle piene; svolgono una funzione termoregolatrice del clima in funzione della vegetazione litoranea e sono di vitale importanza per la conservazione dell’assetto geo-morfologico delle coste, in particolare dei litorali sabbiosi”.A tutti apparirebbe scontato operare per risanare e rinaturalizzare le zone umide per l’importanza vitale che rivestono. Non agli amministratori pubblici, evidentemente. O, almeno, non a quelli che hanno governato la città fino a qualche mese fa, e che con pervicacia hanno deciso, a nome di tutti, di voltare le spalle alla fortuna.
Antonio Budruni è docente di diritto ed economia, scrittore e storico.
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