Unioni Civili, la politica della prestidigitazione
Di questi tempi si fa un gran parlare di “unioni civili”.
È, questo, un tema che molto, troppo spesso viene usato dalla politica per attrarre consensi o per captatio benevolentiae nei confronti della Chiesa o di categorie di cittadini. E sovente viene letteralmente “brandito” con manifesta malafede.
Marco Tedde |
La Costituzione tutela tutti i cittadini, siano essi singoli o parte di una entità sociale o familiare, e riconosce i diritti della famiglia in quanto fondata sul matrimonio.
Questa è, molto sinteticamente, la cornice costituzionale all’interno della quale devono essere focalizzate le unioni civili.
Ma, allora, perché si continua a discutere di famiglie non generate dal matrimonio e si tenta di attribuire loro i medesimi diritti di quelle caratterizzate dal vincolo coniugale?
La politica lavora su ipotesi di legge variamente e pittorescamente denominate –Dico, Pacs, Didore, Cus – che tendono a sostituire il consenso personale liberamente espresso e rendere “semiconiugate” persone che convivono proprio in forza della consapevole e libera determinazione di non sposarsi. Il matrimonio o c’è o non c’è: tertium non datur. Consegue che le unioni civili rischiano di essere relegate nell’ambito dei giochi di prestigio per tentare – maldestramente – di superare il dettato costituzionale.
Costituiscono delle “non scelte” passivamente consumate solo per ottenere qualche beneficio amministrativo. Il cosiddetto Registro delle Unioni Civili non mi pare abbia la capacità di eliminare discriminazioni, così come molto spesso sentiamo dire dai soliti finti progressisti.
Anzi, il Registro rischia di diventare uno strumento di discriminazione tra coppie che si sposano volontariamente e liberamente e coppie che, invece, non assumono le responsabilità del matrimonio ma puntano alle sue tutele assistenzialiste. E questi finti progressisti così facendo agiscono anche per simulare tutele per i gay e carpirne il consenso.
E qui si innesta il tema del matrimonio omosessuale, che in uno Stato laico deve essere affrontato in un contesto scevro dagli influssi della religione. L’omoaffettivo non può scegliere se sposarsi e dare vita ai vincoli ma anche alle opportunità di cui godono gli eterosessuali coniugati: come successione ereditaria e pensione di reversibilità nel caso di decesso del coniuge.
Non intendo, qui, assumere posizione a favore o contro il matrimonio degli omosessuali. Ma non possiamo fingere di non vedere che la Costituzione non impone ai coniugi di essere del medesimo sesso e che in Italia esiste il matrimonio cattolico ma anche quello laico che costituisce una sorta di strumento contrattuale che il cittadino usa per organizzare la famiglia all’interno di un contesto di regole in alternativa all’unione di fatto che di regole non ne possiede.
Tanti giudici hanno sentenziato nel senso che il Parlamento dovrebbe rendere la legge matrimoniale aderente al dettato normativo costituzionale, consentendo il matrimonio anche a persone del medesimo sesso. Se poi al contrario si ritenesse, in linea con parte della dottrina e della giurisprudenza, che la Costituzione impedisce il matrimonio omosessuale, invece di perdere tempo con improbabili Registri delle Unioni Civili i parlamentari interessati a realizzare i falsi miti della sinistra radicale legiferino – se ne hanno il coraggio e la forza – per modificare la Carta fondamentale.
Aiutati in ciò da un recente pronunciamento del Parlamento Europeo che censura le “definizioni restrittive di famiglia” allo scopo di negare protezione alle coppie omosessuali e da una quasi coeva sentenza della Corte di Cassazione che ha posto il principio secondo il quale la coppia omosessuale pur non potendo contrarre matrimonio può “adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”.
Ma, per carità, lascino perdere i Dico, Pacs, Didore (pare un diminutivo sardo) e i Cus che al massimo possono incuriosire per la fonetica degli acronimi.
Marco Tedde è stato sindaco di Alghero per due legislature dal 2002 al 2011 e attualmente è capogruppo Pdl in consiglio comunale.
Marco Tedde è stato sindaco di Alghero per due legislature dal 2002 al 2011 e attualmente è capogruppo Pdl in consiglio comunale.
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