Metafore, insulti e trasparenza
Le metafore sono pericolose e delicate.
Così come lo sono le analogie, le similitudini, le allegorie e le locuzioni proverbiali. Possono essere usate, ma non abusate. Sono utili, ma spesso possono portare ad equivoci.
Prendiamo l’espressione “da che pulpito vien la predica”; un modo di dire chiaro, semplice, comprensibile, espressione corrente della fallacia dell’argumentum ad hominem (un efficace espediente retorico che è anche una fallacia logica); si vuol dire con questa espressione che un certo discorso pur potenzialmente giusto è inficiato dalla sua provenienza, per il fatto – ad esempio – che la comunità cui appartiene chi lo fa ha pratiche del tutto incoerenti con quel che in quel discorso si dice.
Dire che un discorso (o il consiglio che ne deriva) non è sbagliato, ma il pulpito da cui proviene è marcio non dice nulla sulla qualità morale del predicatore (è il pulpito a essere marcio, non il predicatore) non è un insulto al predicatore, caso mai alla sua istituzione (che – a dir delle cronache – anche sul Tevere qualche segno ...).
Esiste un’abitudine dialettica, molto praticata – nel passato più a sinistra che a destra, ora in modo assai imparziale – che si può riassumere nell’espressione napoletana “chiagne e fotte”; funziona così – più o meno – se qualcuno ti chiede (e ne ha titolo perché ad esempio è un elettore) pacatamente quanto è costato un certo viaggio di un consistente gruppo di persone che si è recato a Limoges a spese della collettività, si risponde dicendo che chi pone la domanda ha degli obiettivi perversi, o è comunista, o è al soldo degli imperialisti, o ha fatto la domanda senza essere abbastanza ossequioso: tutto tranne che dare dei numeri, precisi e completi; dopodiché si rovescia una valanga di insinuazioni, non sequitur, insulti su chi ha chiesto..
Oppure se si discute di una lapide in cui si celebra Arminio come difensore dei valori dell’Impero romano, qualcuno comincia a utilizzare verso chi obietta il linguaggio squadrista, senza spiegare perché, ammesso che sia giusto ricordare Arminio, si debba continuare a sostenere che non era un capo dei Germani Cherusci (pensate ad un lapide in cui si sostenga – ma so di fare un esempio del tutto improbabile – che combattenti repubblichini sarebbero morti per la “giustizia e la libertà”); in aggiunta a questa mancata risposta immaginate insulti e insinuazioni, contumelie lazzi e frizzi.
O anche, se si parla di pratiche spartitorie fatte su una salvietta di carta, alla domanda: “ma quello è il modo di scegliere le persone competenti?” non si risponde “sì, la nomina di Forbice alla Presidenza dell’Istituto per la conservazione della sardina di Trani è quella giusta, perché ..”, “quella di Carta al Parco dell’Uccelliera è quella giusta, perché …”, ma si parla d’altro, si fanno insinuazioni su chi ha chiesto, si difende la morale di tutti gli eletti dal popolo, e così via.
Mi piacerebbe che a domanda si rispondesse; che so non mi dispiacerebbe che tutti i candidati, gruppi e le coalizioni che hanno preso parte a una competizione elettorale rendessero conto di ogni centesimo che hanno speso e che si scusassero per le eventuali violazioni delle regole (tutti, vuol dire: vincitori e vinti). È bello avere la certezza che (quasi) tutti non lo faranno.
Così come lo sono le analogie, le similitudini, le allegorie e le locuzioni proverbiali. Possono essere usate, ma non abusate. Sono utili, ma spesso possono portare ad equivoci.
Prendiamo l’espressione “da che pulpito vien la predica”; un modo di dire chiaro, semplice, comprensibile, espressione corrente della fallacia dell’argumentum ad hominem (un efficace espediente retorico che è anche una fallacia logica); si vuol dire con questa espressione che un certo discorso pur potenzialmente giusto è inficiato dalla sua provenienza, per il fatto – ad esempio – che la comunità cui appartiene chi lo fa ha pratiche del tutto incoerenti con quel che in quel discorso si dice.
Dire che un discorso (o il consiglio che ne deriva) non è sbagliato, ma il pulpito da cui proviene è marcio non dice nulla sulla qualità morale del predicatore (è il pulpito a essere marcio, non il predicatore) non è un insulto al predicatore, caso mai alla sua istituzione (che – a dir delle cronache – anche sul Tevere qualche segno ...).
Esiste un’abitudine dialettica, molto praticata – nel passato più a sinistra che a destra, ora in modo assai imparziale – che si può riassumere nell’espressione napoletana “chiagne e fotte”; funziona così – più o meno – se qualcuno ti chiede (e ne ha titolo perché ad esempio è un elettore) pacatamente quanto è costato un certo viaggio di un consistente gruppo di persone che si è recato a Limoges a spese della collettività, si risponde dicendo che chi pone la domanda ha degli obiettivi perversi, o è comunista, o è al soldo degli imperialisti, o ha fatto la domanda senza essere abbastanza ossequioso: tutto tranne che dare dei numeri, precisi e completi; dopodiché si rovescia una valanga di insinuazioni, non sequitur, insulti su chi ha chiesto..
Oppure se si discute di una lapide in cui si celebra Arminio come difensore dei valori dell’Impero romano, qualcuno comincia a utilizzare verso chi obietta il linguaggio squadrista, senza spiegare perché, ammesso che sia giusto ricordare Arminio, si debba continuare a sostenere che non era un capo dei Germani Cherusci (pensate ad un lapide in cui si sostenga – ma so di fare un esempio del tutto improbabile – che combattenti repubblichini sarebbero morti per la “giustizia e la libertà”); in aggiunta a questa mancata risposta immaginate insulti e insinuazioni, contumelie lazzi e frizzi.
O anche, se si parla di pratiche spartitorie fatte su una salvietta di carta, alla domanda: “ma quello è il modo di scegliere le persone competenti?” non si risponde “sì, la nomina di Forbice alla Presidenza dell’Istituto per la conservazione della sardina di Trani è quella giusta, perché ..”, “quella di Carta al Parco dell’Uccelliera è quella giusta, perché …”, ma si parla d’altro, si fanno insinuazioni su chi ha chiesto, si difende la morale di tutti gli eletti dal popolo, e così via.
Mi piacerebbe che a domanda si rispondesse; che so non mi dispiacerebbe che tutti i candidati, gruppi e le coalizioni che hanno preso parte a una competizione elettorale rendessero conto di ogni centesimo che hanno speso e che si scusassero per le eventuali violazioni delle regole (tutti, vuol dire: vincitori e vinti). È bello avere la certezza che (quasi) tutti non lo faranno.
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