Tanto rumore per nulla
È almeno dall’epoca di Marziale (38-104 d.C) che il problema del rumore in città è un problema.
Si veda ad esempio il suo epigramma XII-57.
Uno dei tanti conflitti che la città mette in scena a ogni ora del giorno e della notte, conflitti tra attività (riposare, lavorare, divertirsi, muoversi) e tra popolazioni (giovani e vecchi, ricchi e poveri, donne e uomini, bambini e adulti, stranieri e autoctoni, residenti e visitatori).
La grande utopia razionalista della Carta d’Atene voleva costruire una città in cui le grandi attività fossero separate, altre utopie pensavano a unità urbane, i quartieri, in cui questi conflitti potessero trovare composizione; vi sono state molte soluzioni proposte, ma in ogni caso è ragionevole pensare che un'intelligente politica urbana (e urbanistica) possa rendere meno aspri i conflitti.
Così è per il rumore; a me piace stare in luoghi pubblici in cui vi sia poco rumore, in un bar senza musica di fondo (che sia heavy metal o sinfonica), in un ristorante senza il sottofondo della televisione accesa, in una piazza senza concertisti; capisco che altri possano avere altre preferenze; non c’è tra queste preferenze una graduatoria, come pensano gli elitari e i virtuisti; il bello della città è che essa è un luogo di incontro tra diversi (anzi senza diversità non c’è città), ma è anche il suo problema.
È facile quando stili di vita diversi non interferiscono nella vita degli altri, difficile quando c’è competizione per gli spazi, quando uno vuol dormire e un altro cantare a squarciagola sotto la finestra del primo.
Premesso che alcuni conflitti sono ineliminabili e che qualche buona regola serve (anche con le sanzioni del caso), penso che una buona politica urbanistica aiuti.
Se per esempio si scoraggiasse la concentrazione abnorme delle attività in un’area ristretta come un piccolo centro storico (con l’effetto – tra gli altri – di occupare ogni centimetro quadro di tavolini), se si incentivasse la collocazione delle attività in aree più ampie, favorendo che quelle potenzialmente più rumorose si collochino in aree a minor densità, se vi fossero più luoghi di aggregazione e di divertimento, se chi gestisce un’attività avesse degli obblighi verso il bene comune e fosse consapevole del fatto che “non ci si salva da soli”, se vi fosse una mobilità facile ed economica sul territorio, se si negoziasse con gli artisti di strada, magari con qualche sostegno, … insomma se si volessero governare i processi invece che lasciare tutto all’iniziativa degli egoismi, se non fossimo berlusconiani dentro come siamo, se le lenzuolate di liberalizzazioni fossero (state) accompagnate da una capacità di usare tutte le leve delle politiche urbane (norme, controlli e sanzioni, incentivi, educazione e informazione, monitoraggio), allora questi conflitti potrebbero essere ridotti, non essere distruttivi, permettere la convivenza.
Vi viene in mente qualche posto dove di politiche urbane da molti anni non c’è traccia? E che sarebbe ora di cominciare?
Arnaldo 'Bibo' Cecchini |
Uno dei tanti conflitti che la città mette in scena a ogni ora del giorno e della notte, conflitti tra attività (riposare, lavorare, divertirsi, muoversi) e tra popolazioni (giovani e vecchi, ricchi e poveri, donne e uomini, bambini e adulti, stranieri e autoctoni, residenti e visitatori).
La grande utopia razionalista della Carta d’Atene voleva costruire una città in cui le grandi attività fossero separate, altre utopie pensavano a unità urbane, i quartieri, in cui questi conflitti potessero trovare composizione; vi sono state molte soluzioni proposte, ma in ogni caso è ragionevole pensare che un'intelligente politica urbana (e urbanistica) possa rendere meno aspri i conflitti.
Così è per il rumore; a me piace stare in luoghi pubblici in cui vi sia poco rumore, in un bar senza musica di fondo (che sia heavy metal o sinfonica), in un ristorante senza il sottofondo della televisione accesa, in una piazza senza concertisti; capisco che altri possano avere altre preferenze; non c’è tra queste preferenze una graduatoria, come pensano gli elitari e i virtuisti; il bello della città è che essa è un luogo di incontro tra diversi (anzi senza diversità non c’è città), ma è anche il suo problema.
È facile quando stili di vita diversi non interferiscono nella vita degli altri, difficile quando c’è competizione per gli spazi, quando uno vuol dormire e un altro cantare a squarciagola sotto la finestra del primo.
Premesso che alcuni conflitti sono ineliminabili e che qualche buona regola serve (anche con le sanzioni del caso), penso che una buona politica urbanistica aiuti.
Se per esempio si scoraggiasse la concentrazione abnorme delle attività in un’area ristretta come un piccolo centro storico (con l’effetto – tra gli altri – di occupare ogni centimetro quadro di tavolini), se si incentivasse la collocazione delle attività in aree più ampie, favorendo che quelle potenzialmente più rumorose si collochino in aree a minor densità, se vi fossero più luoghi di aggregazione e di divertimento, se chi gestisce un’attività avesse degli obblighi verso il bene comune e fosse consapevole del fatto che “non ci si salva da soli”, se vi fosse una mobilità facile ed economica sul territorio, se si negoziasse con gli artisti di strada, magari con qualche sostegno, … insomma se si volessero governare i processi invece che lasciare tutto all’iniziativa degli egoismi, se non fossimo berlusconiani dentro come siamo, se le lenzuolate di liberalizzazioni fossero (state) accompagnate da una capacità di usare tutte le leve delle politiche urbane (norme, controlli e sanzioni, incentivi, educazione e informazione, monitoraggio), allora questi conflitti potrebbero essere ridotti, non essere distruttivi, permettere la convivenza.
Vi viene in mente qualche posto dove di politiche urbane da molti anni non c’è traccia? E che sarebbe ora di cominciare?
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