Alghero tra sardità e catalanità
È l’anno 1869 e l’algherese Josep Frank, in uno scambio epistolare col filologo catalano Manuel Milà i Fontanals, descrive così le abitudini canore degli algheresi:
Tesi confermata, qualche anno dopo (siamo adesso nel 1908), da Antoni Ciuffo (meglio noto agli algheresi come Ramon Clavellet), che tra l’altro ci racconta di altri usi e costumi sardi degli algheresi, come per esempio ‘lo toco’ (gioco da taverna), o ‘l’atito’ (il pianto ‘organizzato’ con cui si ricordavano meriti e virtù dei defunti), e ci informa della loro familiarità col ‘ballu tundu’.
Basterebbe questo per decretare la sardità di Alghero, ma le vicende che si susseguiranno negli anni impongono una riflessione sui vari tentativi (in buona fede, si spera) di mistificazione e manipolazione identitaria.
Così, per esempio, già nel 1888, il console spagnolo in Sardegna, il catalano Eduard Toda, in evidente antitesi sia al Frank sia al Ciuffo, definisce Alghero come una "colonia essenzialmente catalana".
Sono gli anni del ‘Retrobament’ e, sulla scia dell’entusiasmo per la riscoperta di un pezzo dell’antica colonia dove ancora si parla una varietà di catalano (da qui ‘Retrobament’), le esternazioni in chiave catalanista ci possono pur stare.
Ma il ‘Ritrovamento’ rappresentó l’inizio di un nuovo percorso storico, caratterizzato da una crescente confusione identitaria
Per i catalani, i rapporti con Alghero costituiscono (dal ‘Retrobament’ in poi) l’occasione per riappropriarsi di un lembo perduto di terra sarda e colmare, seppur parzialmente, un senso di frustrazione da impero svanito. Ambizione del tutto legittima, senza dubbio, se l’amore per Alghero, per esempio, non avesse portato Anna Arqué, portavoce internazionale della consulta sull'indipendenza di Barcellona, a sostenere che Alghero appartiene, sic et simpliciter, alla nazione catalana.
L’esternazione della Arquer non è un fatto isolato (si veda ad esempio qui e qui) e la tendenza giacobina di alcuni catalani ad associare lingua e nazione è la chiave di lettura per capire il malcelato tentativo di istituzionalizzare, diffondere e consolidare in città celebrazioni tutte catalane quali l’11 settembre, giornata nazionale catalana, che poco o nulla hanno a che fare con Alghero.
Per gli algheresi, d’altro canto, i contatti con la realtà catalana rappresentano l’opportunità per uscire da una condizione (così percepita) di oscurantismo socio-culturale, entrare nella civiltà e, possibilmente, conquistarsi ‘un posto al sole’ (ovvero, un minimo di visibilità). Una strada come un’altra per cercare la propria emancipazione personale. Difficile, quindi, sottrarsi al gioco della catalanità, se questa può rappresentare un salto di qualità importante.
Ma il gioco è sporco perché si approfitta della debolezza di una comunità che fa fatica (per circostanze storiche, politiche ed economiche) a trovare, in loco, riferimenti attraenti. Così, la richiesta (implicita) di annessione culturale, molto spesso accompagnata da lusinghe (gratuite) e elargizioni di vario genere (per esempio, assessoramenti tecnici su questioni linguistiche), si esplicita ostentando (non necessariamente attraverso azioni pianificate) la forza culturale, economica e istituzionale catalana, come, per esempio, con l’apertura dell’ufficio di rappresentanza della Generalitat.
Non pochi sono gli algheresi oggi attratti dalla catalanità: la Catalogna (e Barcellona in particolare) non è più solo la folklorica ‘mare pàtria’, ma si è trasformata in un esempio di efficienza istituzionale, modernità, sviluppo economico, fermento culturale, successi sportivi... pronta a ‘tendere la mano’ ai ‘fratelli’ meno fortunati di levante.
Come contropartita, sempre più numerosi sono gli algheresi che imparano e usano il catalano. Bene! – verrebbe da dire – se non fosse che il catalano che gli algheresi imparano e parlano non è algherese (si veda per esempio qui e qui).
L’algherese, nonostante il gran fermento culturale, che distorce la realtà dei fatti, è una varietà linguistica in fase terminale (questo dicono i dati). L’italiano ha iniziato il processo di erosione sia quantitativa sia qualitativa, ma, paradossalmente, il catalano sta contribuendo oggi alla sua definitiva estinzione sferzandogli il colpo di grazia. Il discorso culturale e linguistico in questa città va quindi ripensato, in virtú di un principio che privilegi la lingua è la cultura degli algheresi e non una lingua ed una cultura qualsiasi. Ma per farlo sono necessari: coraggio, dignità e competenze.
Enrico Chessa, sociolinguista
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"adesso si canta in lingua sarda, della quale conosciamo tutte le forme dialettali".
Monumento alla catalanità |
Basterebbe questo per decretare la sardità di Alghero, ma le vicende che si susseguiranno negli anni impongono una riflessione sui vari tentativi (in buona fede, si spera) di mistificazione e manipolazione identitaria.
Così, per esempio, già nel 1888, il console spagnolo in Sardegna, il catalano Eduard Toda, in evidente antitesi sia al Frank sia al Ciuffo, definisce Alghero come una "colonia essenzialmente catalana".
Sono gli anni del ‘Retrobament’ e, sulla scia dell’entusiasmo per la riscoperta di un pezzo dell’antica colonia dove ancora si parla una varietà di catalano (da qui ‘Retrobament’), le esternazioni in chiave catalanista ci possono pur stare.
Ma il ‘Ritrovamento’ rappresentó l’inizio di un nuovo percorso storico, caratterizzato da una crescente confusione identitaria
"no sem sardus ni espanyols [...], ja sem fets com Déu vol’, cantava Pino Piras"che la diffusione di ideologie catalaniste (più o meno dissimulate) ha contribuito a creare. La catalanità di Alghero, non vi è dubbio, è un concetto relativamente recente che gli algheresi (chi più chi meno) hanno fatto proprio, ma che molto spesso mal si combina con la reale essenza della comunità, che rimane fondamentalmente sarda (nei modi di intendere la vita, di percepire la realtà, nell’approccio al lavoro e allo svago, nelle abitudini alimentari, ecc.).
Per i catalani, i rapporti con Alghero costituiscono (dal ‘Retrobament’ in poi) l’occasione per riappropriarsi di un lembo perduto di terra sarda e colmare, seppur parzialmente, un senso di frustrazione da impero svanito. Ambizione del tutto legittima, senza dubbio, se l’amore per Alghero, per esempio, non avesse portato Anna Arqué, portavoce internazionale della consulta sull'indipendenza di Barcellona, a sostenere che Alghero appartiene, sic et simpliciter, alla nazione catalana.
L’esternazione della Arquer non è un fatto isolato (si veda ad esempio qui e qui) e la tendenza giacobina di alcuni catalani ad associare lingua e nazione è la chiave di lettura per capire il malcelato tentativo di istituzionalizzare, diffondere e consolidare in città celebrazioni tutte catalane quali l’11 settembre, giornata nazionale catalana, che poco o nulla hanno a che fare con Alghero.
Per gli algheresi, d’altro canto, i contatti con la realtà catalana rappresentano l’opportunità per uscire da una condizione (così percepita) di oscurantismo socio-culturale, entrare nella civiltà e, possibilmente, conquistarsi ‘un posto al sole’ (ovvero, un minimo di visibilità). Una strada come un’altra per cercare la propria emancipazione personale. Difficile, quindi, sottrarsi al gioco della catalanità, se questa può rappresentare un salto di qualità importante.
Ma il gioco è sporco perché si approfitta della debolezza di una comunità che fa fatica (per circostanze storiche, politiche ed economiche) a trovare, in loco, riferimenti attraenti. Così, la richiesta (implicita) di annessione culturale, molto spesso accompagnata da lusinghe (gratuite) e elargizioni di vario genere (per esempio, assessoramenti tecnici su questioni linguistiche), si esplicita ostentando (non necessariamente attraverso azioni pianificate) la forza culturale, economica e istituzionale catalana, come, per esempio, con l’apertura dell’ufficio di rappresentanza della Generalitat.
Non pochi sono gli algheresi oggi attratti dalla catalanità: la Catalogna (e Barcellona in particolare) non è più solo la folklorica ‘mare pàtria’, ma si è trasformata in un esempio di efficienza istituzionale, modernità, sviluppo economico, fermento culturale, successi sportivi... pronta a ‘tendere la mano’ ai ‘fratelli’ meno fortunati di levante.
Come contropartita, sempre più numerosi sono gli algheresi che imparano e usano il catalano. Bene! – verrebbe da dire – se non fosse che il catalano che gli algheresi imparano e parlano non è algherese (si veda per esempio qui e qui).
L’algherese, nonostante il gran fermento culturale, che distorce la realtà dei fatti, è una varietà linguistica in fase terminale (questo dicono i dati). L’italiano ha iniziato il processo di erosione sia quantitativa sia qualitativa, ma, paradossalmente, il catalano sta contribuendo oggi alla sua definitiva estinzione sferzandogli il colpo di grazia. Il discorso culturale e linguistico in questa città va quindi ripensato, in virtú di un principio che privilegi la lingua è la cultura degli algheresi e non una lingua ed una cultura qualsiasi. Ma per farlo sono necessari: coraggio, dignità e competenze.
Enrico Chessa, sociolinguista
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