Non è una paese per giovani
La politica vuota, la politica inconcludente, i giovani alla deriva.
Salvatore Marino |
Ogni anno, immancabilmente, i ragazzi delle prima superiore mi chiedono a cosa serve la matematica che cerco di spiegare loro. La trovano, e in parte hanno pure ragione, lontana dalla realtà, dalla loro realtà di quattordicenni che sentono la necessità di altri saperi, di altre conoscenze. Rispondo loro molto sinteticamente, con le stesse parole che usavano i miei insegnanti. E cioè che la matematica serve a far ragionare, ad applicare i processi logico-deduttivi ecc. ecc.. E poi dico loro: “vedete questo telefonino? Tutta la tecnologia che vi circonda? Beh non lo avreste a vostra disposizione se non ci fosse stato qualcuno che avesse studiato per bene la matematica…”
A quelli un po’ più grandi invece ho spiegato pochi giorni fa il mercato monetario: la domanda e l’offerta di moneta, la modalità con cui il risparmio delle famiglie viene depositato in banca. Di come questa lo presta alle imprese affinché queste ultime facciano nuovi investimenti creando nel contempo nuova occupazione. In sintesi quello che viene chiamato “circolo virtuoso dell’economia”.
Penso però che i miei studenti si siano accorti immediatamente che bluffavo, cioè che non credevo io stesso a quello che cercavo di trasmettere loro. Probabilmente incuriositi dalla poca passione che mettevo nel presentare un argomento che, esso si, non aderisce alla realtà che viviamo. Che vivono i miei ragazzi. Una realtà che nel futuro prossimo li vedrà inchiodati al destino della generazione che li ha preceduti. Delle generazioni che li hanno preceduti: quella dei trenta-quarantenni. Fatta di disoccupazione, di lavoro precario, di lavoro nero.
Non posso spiegare loro che sono gli effetti di un ventennio di politica vuota e parolaia. No, non quella cialtrona dei festini, dei maiali, dei trimalcioni, dei “er batman” e delle soubrette seminude diventate ministro (e che è pure consistente nei numeri e nei personaggi noti al grande pubblico). Sarebbe troppo facile. Dovrei, ma un insegnante non può farlo apertamente, parlargli della politica inconcludente. Di quella politica che ci ha governato negli ultimi vent’anni. Quella che ha generato i preoccupanti processi degenerativi della società ai quali ha poi assistito in maniera passiva, indolente e ottusa.
Il fenomeno della corruzione ma soprattutto dell’incapacità di governare della classe dirigente italiana è solo la causa di un effetto abnorme cui difficilmente potrà porsi rimedio. I miei studenti non lo sanno ma veniamo da anni terribili, in cui ci hanno insegnato a disprezzare la cultura, la formazione, ad aggirare il merito, ad attenuare il senso di responsabilità. A indurci a pensare che praticare il principio di legalità sia una cosa inutile. Hanno fatto in modo, a questo punto penso scientemente, che il sentimento diffuso di sfiducia narcotizzasse prima le nostre teste e poi le nostre anime.
E la colpa è generalizzata. Lo dico da uomo di sinistra non immemore di chi considerava la Lega una “costola della sinistra” e il suo capo troglodita, ruttante e in canottiera, uno statista con cui dialogare. La stessa sinistra che non è stata in grado, quando ha governato, di abolire una sola delle leggi vergogna tuttora vigenti e di porre rimedio al più grosso conflitto di interessi mai esistito in politica. Ovviamente il discorso può spostarsi, sic et simpliciter, sul piano regionale e locale. Un vacuo, inutile e irritante parlottio.
A partire dal principale dei problemi: quello del lavoro. La legge regionale n. 20 del 2005 è sostanzialmente inapplicata. È la legge che prevede che la Regione, attraverso lo strumento legislativo, di indirizzo e di programmazione che le è proprio, abbia l’obiettivo di incrementare l’occupazione, difendere i livelli occupazionali (sic) e promuovere nuova imprenditorialità, favorire la sicurezza e la qualità del lavoro, favorire l’integrazione tra le politiche del lavoro, l’istruzione e la formazione. Lo avrebbe dovuto fare con l’ausilio delle province se queste fossero state messe nelle condizioni di operare in materia. Attraverso atti di programmazione e “piani per l’occupazione” di livello regionale e provinciale.
Orbene nulla di tutto ciò è avvenuto. In particolar modo negli ultimi anni dove scarsissime risorse sono state destinate al lavoro e alle politiche industriali. Questo è quello di cui non si parla nel dibattito pubblico. In una parola, in Sardegna sono state e sono assenti le politiche per il lavoro e per la formazione.
Questo dovrei dire ai miei ragazzi. Ma non posso. Me lo impone il ruolo di insegnante e i principi morali che ne derivano (che mi tengo ben stretti).
Tuttavia una cosa la dico sempre ai miei studenti. Di continuare, nonostante tutto, a impegnarsi e a studiare. Di farlo soprattutto per loro. Di incazzarsi se qualcuno li accusa di essere dei bamboccioni o degli sfigati. Di non far caso al fatto che non abbiamo le lavagne multimediali, ne il computer di classe. Che se non ci sono i soldi per comprare il libro di matematica in qualche modo ci arrangeremo. Di non far caso al fatto che governi su governi tagliando le risorse alla scuola hanno tagliato pezzi della loro vita. Io la matematica continuerò a spiegargliela lo stesso. E purtroppo continuerò a dirgli quello che in situazioni altrettanto drammatiche disse Eduardo De Filippo ai giovani napoletani: “fuitivenne”! Scappate via!
Perché non voglio che vivano questo che si prospetta essere un lungo inverno della disoccupazione, del disincanto, della rassegnazione. La rassegnazione che come un’infezione si propaga tra i giovani così come resta incurabile tra noi adulti che ai giovani dovremmo provvedere.
Non basta la bellezza della nostra città. Non deve consolarci il fatto di vivere in una città bellissima. Perché per i nostri giovani sarebbe una magra consolazione se non un inganno. Perché, fuori da ogni retorica, non c’è un solo motivo per cui valga la pena restare. Allo stato attuale la vita vera, quella che fa di una donna e di un uomo una persona realizzata, è altrove.
Altri in
Recenti in
Recenti in
Commenti