Tavolini e trapezi
Concedere in modo indiscriminato plateatici comporta effetti negativi per (quasi) tutti. Per tutti nel medio periodo.
Arnaldo 'Bibo' Cecchini |
Ci sono alcuni fenomeni che sono degli indicatori dell’aggravarsi della crisi e dell’inefficacia delle politiche di contrasto e di possibile alternativa di sviluppo.
Uno è l’apparire di negozi che comprano oro. L’altro è l’apertura indiscriminata e dissennata di bar e ristoranti, improvvisati e in spazi impropri. Il secondo fenomeno è accompagnato dal diffondersi, come un vero blob informe, dell’occupazione di spazi pubblici con sedie e tavolini.
Uno dice: ma tutti dobbiamo campare. Il che è vero, ma appunto così non si campa.
Vediamo: supponiamo che la spesa di residenti e cittadini per consumazioni sia stabile o in riduzione, supponiamo che l’incasso medio di bar e ristoranti esistenti sia modesto: cosa succederà, in media, se nuovi bar o ristoranti aprono? E se, avendo una superficie di vendita interna, modesta o inadeguata, si spalmeranno su ogni centimetro quadro di spazio, lasciato libero dalle macchine?
Succederà che gli incassi medi non aumenteranno, anzi si ridurranno; succederà che lo spazio verrà invaso e la qualità e la fruibilità degli spazi diminuirà, che esercizi che hanno localizzazioni appena un po’ più periferiche, magari con superfici di vendita più estese, perderanno clienti, che alcune zone perderanno servizi e diversità, che in altre si concentrerà tutto, rendendole meno vivibili, di minor qualità, rumorose e sporche.
Concedere indiscriminatamente plateatici comporta effetti negativi per (quasi) tutti. Per tutti nel medio periodo.
Come è noto, soprattutto per ciò che ha che fare con l’organizzazione spaziale, il mercato da solo non funziona. Ci vogliono sagge politiche pubbliche.
Un brutto segno: in molte città d’Italia, del Portogallo, della Spagna e soprattutto in Grecia questo succede (lì i tavoli si chiamano “trapezi”).
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