Viva il qualunquismo
A proposito del mito della rinascita della Sardegna.
Vittorio Guillot |
Penso anche che gli incarichi pubblici debbano essere affidati all’uomo qualunque, in virtù di ciò che sa fare, e non della tessera di partito che ha in tasca, sempre che ce l’abbia. Con l’ imperante partitocrazia ciò non succede.
Mi urta anche la faziosità per cui con l’avversario politico non ci possa essere niente in comune, quasi che non si appartenesse a uno stesso popolo ma a una accozzaglia di cani sciolti e ringhianti. Sembra, cioè che ci sia fermati al tempo delle guerre civili tra guelfi e ghibellini, altro che progresso!
Chiaramente non sono un nostalgico né del movimento politico dell’Uomo Qualunque, di cui so poco, scomparso dalla scena più di 60 anni fa. Non ho nostalgia neppure di nessun presunto “bel tempo passato”. A me interessa il futuro, che vorrei migliore del presente. Fra l’altro non sono per niente convinto che, in altri tempi, fosse tutto “ rose e fiori”. Piuttosto credo che il passato contenesse le radici dei danni che sopportiamo oggi.
Prendiamo il mito della rinascita della Sardegna, che continua ad abbagliare molte menti, convinte che intorno agli anni ’70 si sia verificata una sorta di “età dell’oro”. Secondo me quella rinascita fu un bluff, almeno in gran parte, di cui approfittarono politicanti e marpioni, perché era fondata su una industrializzazione fasulla.
Ricordo che in quel periodo furono erogati fior di miliardi di finanziamenti regionali anche a molti industriali “continentali” che impiantarono effimere fabbriche, dotate di macchinari vecchi e scadenti , che, dopo poco tempo, furono chiuse. Forse quei finanziamenti furono utilizzati per ammodernare impianti realizzati altrove
Non dico, per carità, che non si sia realizzato niente di positivo, ma solo che la montagna partorì il topolino e troppe illusioni e disillusioni. La rinascita fu anche fondamentalmente sbagliata perché era fondata principalmente sulla industria petrolchimica, la cui antieconomicità era evidente fin da allora. Con quale criterio, infatti, furono realizzati gli insediamenti di Ottana, lontani dal mare e ai quali il prodotto greggio arrivava per mezzo di autobotti e dai quali, sempre per mezzo di autobotti, partiva il prodotto raffinato? Quanto incideva il costo di quel trasporto sui costi finali? Avessero almeno costruito un oleodotto!
Non è stato quello un inganno perpetrato dai politicanti e dai sindacalisti del tempo, sedicenti progressisti, per attirare voti e simpatie di tanti illusi che poi sono finiti col sedere per terra? Perché non si è resa migliore e più redditizia la vita nelle campagne e non si è potenziata e modernizzata la agricoltura, che, invece, è stata trattata come una cenerentola?
La vicenda di Surigheddu e Mamuntanas ne è un esempio lampante. La verità è che si è affossata l’agricoltura perché si pensava che il confronto del PIL. tra i differenti settori della produzione le fosse sfavorevole e che convenisse acquistare beni alimentari prodotti da altre parti. Perciò non si è adeguatamente rafforzato il settore agricolo, che non è riuscito a sostenere la concorrenza esterna. Così non solo si è consentito che gran parte dei proventi dei consumi dei turisti andassero altrove, ma si è esposto il settore alimentare a speculazioni economiche e finanziarie, difficilmente controllabili.
Beninteso, il commercio e la concorrenza, anche quella internazionale, fanno bene anche perché offrono beni che non possono essere prodotti “in loco”. Occorre però, che siano fatte rispettare delle regole valide per tutti, anche per i cinesi, per esempio.
Occorre anche che la politica economica e fiscale sia orientata in modo da favorire che, attraverso la competitività, la ricerca e nuove tecnologie, siano offerti prodotti migliori a prezzi più bassi. Perché, poi, nel settore dei trasporti marittimi, indispensabili per ogni forma di sviluppo della nostra Isola, non è stato promosso il sorgere di società di armamento sardo? Cosa si è fatto per sviluppare una proficua ed ecosostenibile pesca d’altura, che gli studi universitari consideravano, già nei decenni trascorsi, ricca di pesce e meno dannosa di quella costiera a strascico?
E perché all’“intershipment” si è arrivati tardi, poco e male, quando aveva già messo radici a Valencia, Gioia Tauro e Malta? Addirittura molti non sanno neppure cosa sia l’intershipment. Mi limito a dire che è un sistema di impiego di alcuni porti commerciali che avrebbe potuto creare, perlomeno a Cagliari, alcune migliaia di posti di lavoro.
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