A proposito del "campo nomadi"
Costituiamo "campi di transito".
Un'opinione di Joan Oliva comparso su questo giornale ha dato la stura a una discussione sui problemi dei Rom di Alghero.
Vittorio Guillot |
Premetto di non giustificare le espressioni razziste perché hanno il torto di fare di tutte le erbe un fascio e colpiscono sommariamente tutti i membri di un popolo, senza distinguere tra colpevoli e no.
Vorrei comunque capire il perché di certe reazioni e se ci sono provocazioni verso questi comportamenti, che restano indecenti. Non sono un esperto della questione e ho solo qualche idea in merito. La propongo e mi si corregga se sbaglio.
Intanto mi pare che siano considerate nomadi le popolazioni che non sono radicate in un territorio ma si spostano da una località ad un’altra. Mi chiedo, se non “transitano” ma si stabilizzano in un territorio, se è corretto definirli nomadi. Questi popoli hanno lingua, religione, usanze e leggi, generalmente non scritte, diverse da quelle dei popoli stanziati stabilmente nel territorio. Penso che debbano essere rispettati e che anche loro debbano rispettare gli usi, le leggi e le persone dei popoli che hanno costruito le città, che hanno sviluppato la cultura, l’economia e le attività dei territori in cui i nomadi “transitano”.
In questa ottica ben vedrei la costituzione di “campi di transito”, civilmente attrezzati, in cui i nomadi possano sostare per un determinato periodo di tempo, anche se sono contrario a insediamenti permanenti, caratterizzati etnicamente. Non sembra, infatti, che questi insediamenti, come Little Italy, China town, i quartieri armeni od ebraici, abbiano ostacolato l’integrazione, favorito la “ghettizzazione” e consentito alle mafie di prosperare? I ghetti non furono creati per discriminare chi vi viveva dentro e non favorirono le deportazioni attuate dai nazisti?
Penso a cosa accadde nel ghetto di Varsavia e in quello di Roma durante la guerra mondiale. Il “campo di transito” dovrebbe essere consegnato al capo della “comunità viaggiante”, che risponderebbe della sua conservazione e restituirlo nelle stesse condizioni in cui lo ha ricevuto. Vigili lui sul suo gruppo, individui chi sgarra e, se non rimette le cose a posto e non risarcisce i danni, d’accordo con il consiglio degli anziani e con le autorità, lo espella dalla comunità.
Questa è una pratica che i Rom conoscono bene. Se il gruppo e i suoi capi non la applica, significa che sono complici. Pensate che sia sbagliato “responsabilizzare “ in tal modo la comunità in questione e che, se non rispettasse queste condizioni, fosse espulsa come indesiderabile dal territorio?
Nei rapporti tra nomadi, all’interno del campo, lascerei la facoltà di applicare le loro “norme di diritto amministrativo e civile” anche se non consentirei l’applicazione delle loro norme “penali”. Chiedo, in proposito, se sarebbe ammissibile che nel nostro territorio, paradossalmente, fossero applicate la pena di morte o le punizioni corporali.
Infine ai nomadi che non intendono spostarsi più riconoscerei il diritto di essere trattati esattamente come tutti i residenti, di praticare la loro religione, di vestire secondo la loro moda, di parlare la loro lingua, di festeggiare le loro ricorrenze...
Pretenderei anche da loro, come da tutti gli altri cittadin , il rispetto delle leggi e delle altre persone. Chiedo se la convivenza, la solidarietà e il rispetto verso i Rom può essere separata dal rispetto verso i non Rom e dal rispetto verso le leggi e le norme, che si chiama senso dello Stato.
C’è forse un modo migliore e più realistico di fare comunità, senza discriminare né privilegiare nessuno? A proposito, sono contrario a ogni tipo di razzismo, compreso quello praticato dalla bestiale criminalità dei comunisti cinesi contro i tibetani e da quella, non meno bestiale, dei comunisti jugoslavi contro gli italiani.
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