Gramsci e le “astuzie della storia”
... ovvero il capitalismo, il marxismo e il corporativismo.
Accendo la lampadina e mi accorgo di adoperare l’energia elettrica secondo una mia utilità. Anche un gesto così comune e banale mi fa capire che l’uomo, con la sua intelligenza (in questo caso non la mia, ma quella dell’elettricista), può utilizzare ed indirizzare verso le sue finalità gli elementi e le leggi naturali e fisiche.
Ciò mi porta a credere che la ragione e l’etica debbano orientare anche le leggi economiche “naturali”. Certo è la domanda di beni e servizi che stimola la loro produzione e non può essere lo Stato o il partito a stabilire arbitrariamente salari e prezzi o cosa e quanto produrre. Infatti, se le esigenze dei cittadini non fossero soddisfatte a causa di una offerta inferiore alle loro esigenze, si svilupperebbe il “mercato nero” .
Così, alla faccia dei poveracci, soprattutto in un regime totalitario, sarebbero favoriti i gerarchi di partito, della burocrazia, delle forze armate e della polizia, che potrebbero offrire molti denari e favori anche illeciti. Ciò è successo nei Paesi in cui ha dominato il ‘comunismo reale’. D’altra parte era inevitabile che ciò succedesse in un sistema in cui , utopisticamente, tutti avrebbero ”prodotto ed offerto secondo le loro capacità e ricevuto secondo i loro bisogni”, ma nel quale non era lasciata all’uomo la libertà di individuare le sue capacità e, ancor meno, i suoi bisogni da soddisfare.
Era ovvio che qualcuno, nella specie il partito–stato, ben lungi dallo scomparire, si arrogasse il “diritto” di essere l’unico, illuminato, detentore della verità assoluta e di sapere quale fosse il bene di tutti e di ognuno. Di conseguenza, solo il partito poteva sapere quali fossero le capacità produttive e i bisogni che ogni individuo doveva soddisfare.
Altro che “società di liberi e uguali”! A meno che non si intenda, come scrisse Orwell ne “La fattoria degli animali”, che qualcuno, in questo caso i capi comunisti, fosse più uguale degli altri ! Se poi consideriamo che con l’avvento della società collettivista, spontaneamente o, secondo il leninismo, con la “violenza rivoluzionaria”, sarebbero state eliminate le “sovrastrutture alienanti”, utilizzate dal capitalismo per opprimere e dividere la classe operaia, ci rendiamo conto di quale fosse il livello di oppressione della tirannide comunista. Tra quelle sovrastrutture da sopprimere, oltre agli uomini che le difendevano, infatti, erano incluse la famiglia e la proprietà privata, le diversità culturali tra i popoli, le loro tradizioni, le differenti ideologie politiche e, innanzi tutto, le religioni,”oppio dei popoli”.
Non nego che il movimento socialista abbia svolto un ruolo fondamentale nel porre la “questione sociale” ma, nella sua versione comunista, non poteva che essere un fallimento e lo stalinismo e il terrorismo furono suoi figli legittimi. Per tutto ciò la giustizia sociale e il progresso vanno cercati seguendo strade diverse da quella comunista.
Occorre, piuttosto, che l’economia sia governata dal popolo autentico, da quello che lavora e che produce, democraticamente organizzato nelle categorie economiche, non egemonizzate da questo o quel partito.
Così, anche in economia, si affermerebbe l’esigenza di raggiungere gli obiettivi sociali, superiori all’individuo, ma rispettando l’uomo e la sua libera volontà. L’uomo, infatti, è un essere sociale, le cui azioni, anche quando opera nel suo legittimo interesse, che va rispettato, producono degli effetti sugli altri.
Ciò mi porta a escludere, in definitiva, sia l’esasperato individualismo liberista che il disumano collettivismo marxista. Credo, invece, in un sistema fondato sulle “corporazioni tra padroni e lavoratori, riconosciute dallo Stato” che possano apertamente confrontarsi in modo trasparente, di cui parla G. Toniolo, purtroppo,praticamente ignorato dai democristiani vecchi e nuovi. In tal modo una politica autenticamente democratica perché fondata sulla partecipazione concreta, effettiva, di tutti i lavoratori, porrebbe le regole del “mercato”e delle prestazioni lavorative.
In verità questa concezione dell’economia e della società si può intravedere non solo nelle idee di Althusius ma anche nel progetto dei socialdemocratici tedeschi di Bad Godesberg. Si trova, soprattutto, nelle Encicliche “Rerum Novarum” e “Centesimus Annus” e nel Cristianesimo Sociale. Non vi è dubbio che vi siano delle affinità tra il corporativismo cattolico e quello elaborato dal fascismo per mezzo della “Carta del Lavoro” del 1927 e della “Socializzazione”del 1944. Chi, però, vuole legare il Corporativismo esclusivamente all’esperienza totalitaria del fascismo è fuori strada.
Il corporativismo fascista, infatti, funzionò molto male perché la “Camera dei fasci e delle corporazioni” non rappresentava autenticamente le categorie sociali, ma la volontà del partito e del duce. Detto per inciso, sapete che l’appellativo “duce” fu coniato per Mussolini, nel 1912, dal socialista Olinto Vernocchi?
Personalmente dissento completamente da quel regime non solo per certi atteggiamenti da operetta, ma, soprattutto, per quanto conteneva di autoritario, totalitario e razzista. Mi stupisce, anzi, che, durante il “ventennio littorio”, sia stato esageratamente apprezzato da troppe personalità ecclesiastiche. E’ anche risaputo che certe idee del l’interventismo corporativista in economia furono valorizzate, in un sistema democratico, nel New Deal di Roosvelt, così come molte istituzioni concepite in quella ottica sopravvissero per oltre 50 anni nell’Italia democratica. Penso all’I.R.I., al sistema pensionistico ed assistenziale, ai 5 Codici, agli Enti di Trasformazione agraria etc… persino le “case del popolo” comuniste imitarono le “case del fascio” e l’organizzazione del dopolavoro… Addirittura l’art.99 della Costituzione, con la istituzione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, ha voluto realizzare un istituto attraverso cui il capitale ed il lavoro avrebbe dovuto partecipare al governo dell’economia.
Di fatto le mene della partitocrazia hanno ridotto il CNEL a un costoso ectoplasma senza voce. Non va neppure dimenticato ciò che Togliatti scrisse nel numero di agosto del 1936 della rivista clandestina “Lo Stato operaio”: “I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di libertà.”
C’è da chiedersi se questa accettazione del programma dell’avversario implichi il riconoscimento del fallimento del programma comunista o sia una manifestazione della doppiezza di Togliatti. La concezione corporativa, comunque, si trova anche nella “Carta del Quarnaro” che era la Legge fondamentale della Reggenza di Fiume. Essa, che stupisce per la sua natura democratica o, addirittura, libertaria, fu elaborata, più che da D’Annunzio, dal sindacalista Alceste De Ambris, morto esule a Parigi dove era esiliato perché antifascista.
Tutto ciò non mi meraviglia, dato che non sono rare le “astuzie della storia”, ossia le convergenze tra uomini di diversa impostazione culturale. Faccio presente che questa definizione è di Gramsci, persona di grandiosa intelligenza e che, più di ogni altro, mise in evidenza il primato della cultura nell’approccio alla politica. Peccato che fosse comunista e totalitario.
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