A gratis?
Sulla remunerazione di attività prestate al servizio pubblico.
No non è un errore (come sarebbe ad esempio scrivere "ne" senza accento per la congiunzione copulativa disgiuntiva): è il modo popolare in veneto per intendere gratis.
Diciamo che non è ingiusto che un’attività prestata al servizio del pubblico sia (sobriamente) remunerata.
Comincio da un po’ di tempo fa: la legge n. 195 del 2 maggio 1974 ha introdotto in Italia il finanziamento ai partiti (approvata con la sola opposizione parlamentare del PLI); una legge cui mi sono opposto: ricordo che fui tra quelli che spinsero il piccolo partito cui aderivo allora (che nel 1974 non era in Parlamento) a sostenere il primo referendum abrogativo nel 1978 che tuttavia confermò la legge (ma il sì prese il 43,6% dei voti), abrogata poi (sic!) dal secondo referendum del 1993.
Cosa sostenevo allora? Che era bensì giusto che lo Stato sostenesse l’attività politica, ma che questo doveva avvenire non attraverso l’erogazione di risorse finanziarie; si doveva invece mettere a disposizione dei partiti e di movimenti spazi e strumenti di agibilità politica, dalle sedi all’accesso ai media.
Ancor oggi penso che – in buona sostanza – questa posizione sia giusta.
Ricordo che allora il compagno Lucio Magri, che forse un po’ a malincuore aveva accolta la pressione della “base” per il no al finanziamento, fece questa battuta: “non vorrei scrivere nella mia carta di identità: funzionario governativo”.
Altra cosa era (ed è) la retribuzione degli incarichi pubblici: come non ricordare che la gratuità delle cariche pubbliche (insieme con la limitazione per censo del diritto di voto) era il cavallo di battaglia delle destre più reazionarie, come non ricordare che una delle rivendicazione più nette dei democratici ateniesi (che lo erano di nome e di fatto) era quello per la cosiddetta mistoforia, quel provvedimento che stabiliva un’indennità giornaliera per i cittadini che ricoprivano pubblici uffici.
Io sono con i democratici (greci): sono a favore del fatto che i pubblici uffici siano – in linea generale – retribuiti.
Altra questione è: quanto? A me l’idea che un riferimento di equità sia il livello dello stipendio di un operaio metalmeccanico (cui i parlamentari dei partiti operai limitavano la parte di indennità che si tenevano in tasca) mi pare buona. Una società in cui qualcuno (ad eccezione di Maradona) guadagni più di qualche volta (già cinque o dieci mi pare molto) quel che guadagna un metallurgico, mi pare un po’ marcia. Quindi quello mi parrebbe un buon parametro per un’attività a tempo pieno (penso che gli Assessori di Abbiategrasso abbiano quello stipendio) e via a scalare per attività a tempo parziale. Cariche onorifiche e di prestigio o che richiedano un impegno di tempo accessorio, quelle sì dovrebbero essere “a gratis” (una cena di fine anno?).
Insomma fosse per me, eliminerei il finanziamento pubblico ai partiti, metterei un tetto (molto basso) alle spese elettorali (dirette o indirette) e all’entità dei singoli contributi di persone o società a candidati e partiti, stabilirei una sobria retribuzione per chi occupa cariche pubbliche, favorirei l’impegno politico soprattutto dal basso, mettendo a disposizione spazi e accesso ai media; tra l’altro, per fortuna, oggidì le nuove tecnologie abbattono il costo della comunicazione. So che bisogna dir male dei “grillini” se no a sinistra ti bacchettano, ma il Movimento 5 Stelle è la dimostrazione che non servono troppi soldi per far politica.
Per farmi ancora più del male, vorrei anche dire che non sono contrario a una forma moderata di immunità parlamentare e sulla candidabilità degli indagati sarei molto più garantista dei “grillini”; ma questo lo lascio a una prossima opinione.
Arnaldo 'Bibo' Cecchini |
Diciamo che non è ingiusto che un’attività prestata al servizio del pubblico sia (sobriamente) remunerata.
Comincio da un po’ di tempo fa: la legge n. 195 del 2 maggio 1974 ha introdotto in Italia il finanziamento ai partiti (approvata con la sola opposizione parlamentare del PLI); una legge cui mi sono opposto: ricordo che fui tra quelli che spinsero il piccolo partito cui aderivo allora (che nel 1974 non era in Parlamento) a sostenere il primo referendum abrogativo nel 1978 che tuttavia confermò la legge (ma il sì prese il 43,6% dei voti), abrogata poi (sic!) dal secondo referendum del 1993.
Cosa sostenevo allora? Che era bensì giusto che lo Stato sostenesse l’attività politica, ma che questo doveva avvenire non attraverso l’erogazione di risorse finanziarie; si doveva invece mettere a disposizione dei partiti e di movimenti spazi e strumenti di agibilità politica, dalle sedi all’accesso ai media.
Ancor oggi penso che – in buona sostanza – questa posizione sia giusta.
Ricordo che allora il compagno Lucio Magri, che forse un po’ a malincuore aveva accolta la pressione della “base” per il no al finanziamento, fece questa battuta: “non vorrei scrivere nella mia carta di identità: funzionario governativo”.
Altra cosa era (ed è) la retribuzione degli incarichi pubblici: come non ricordare che la gratuità delle cariche pubbliche (insieme con la limitazione per censo del diritto di voto) era il cavallo di battaglia delle destre più reazionarie, come non ricordare che una delle rivendicazione più nette dei democratici ateniesi (che lo erano di nome e di fatto) era quello per la cosiddetta mistoforia, quel provvedimento che stabiliva un’indennità giornaliera per i cittadini che ricoprivano pubblici uffici.
Io sono con i democratici (greci): sono a favore del fatto che i pubblici uffici siano – in linea generale – retribuiti.
Altra questione è: quanto? A me l’idea che un riferimento di equità sia il livello dello stipendio di un operaio metalmeccanico (cui i parlamentari dei partiti operai limitavano la parte di indennità che si tenevano in tasca) mi pare buona. Una società in cui qualcuno (ad eccezione di Maradona) guadagni più di qualche volta (già cinque o dieci mi pare molto) quel che guadagna un metallurgico, mi pare un po’ marcia. Quindi quello mi parrebbe un buon parametro per un’attività a tempo pieno (penso che gli Assessori di Abbiategrasso abbiano quello stipendio) e via a scalare per attività a tempo parziale. Cariche onorifiche e di prestigio o che richiedano un impegno di tempo accessorio, quelle sì dovrebbero essere “a gratis” (una cena di fine anno?).
Insomma fosse per me, eliminerei il finanziamento pubblico ai partiti, metterei un tetto (molto basso) alle spese elettorali (dirette o indirette) e all’entità dei singoli contributi di persone o società a candidati e partiti, stabilirei una sobria retribuzione per chi occupa cariche pubbliche, favorirei l’impegno politico soprattutto dal basso, mettendo a disposizione spazi e accesso ai media; tra l’altro, per fortuna, oggidì le nuove tecnologie abbattono il costo della comunicazione. So che bisogna dir male dei “grillini” se no a sinistra ti bacchettano, ma il Movimento 5 Stelle è la dimostrazione che non servono troppi soldi per far politica.
Per farmi ancora più del male, vorrei anche dire che non sono contrario a una forma moderata di immunità parlamentare e sulla candidabilità degli indagati sarei molto più garantista dei “grillini”; ma questo lo lascio a una prossima opinione.
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