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Gli antichi sardi conoscevano le stelle
Si fa sempre più chiaro il quadro delle ricerche sulla conoscenza dei fenomeni celesti da parte delle genti prenuragiche.
A conclusione dei lavori del II convegno internazionale di Archeoastronomia, che si è svolto a Sassari, nell’aula magna dell’Università centrale, emerge chiaramente che i sardi antichi conoscevano i fenomeni celesti.
L’orientamento degli ipogei, la ricorrenza di una serie di dati emersi durante le rilevazioni effettuate negli ultimi dodici mesi dagli specialisti di Aristeo e della Sat (Società astronomica turritana) -che hanno promosso e organizzato l’evento - inducono gli studiosi a supporre che gran parte dell’attività dei sardi antichi fosse organizzata e gestita in funzione o in accordo con la conoscenza dei movimenti dei corpi celesti.
I 350 ipogei (su circa 3.500 presenti nell’Isola), finora presi in considerazione, datati al periodo prenuragico, (le domus de janas, le principali architetture di questo periodo, ipogei scavati nella roccia), esaminati sia come campione di dati complessivo che in relazione ai singoli contesti e, come ipotesi di analisi, comunque in funzione dell’orientamento degli ingressi, attestati su tre prevalenti tipologie di accesso: a dromos, ad atrio, e diretto.
Nel 45 per cento dei casi, gli ingressi sono risultati orientati a sud (con un valore da + o - 30° gradi), il 25 per cento a est (da 0 a 10°) e un numero, per ora molto limitato, a nord.
Rilevazioni che contribuiscono a rafforzare l’ipotesi, con la quale gli studiosi di Aristeo e della Sat avevano chiuso la precedente sessione di ricerca: cioè che le genti prenuragiche avessero una certa confidenza con il moto lunare e solare, conoscenze funzionali a tracciare un elementare calendario utile alla gestione delle principali attività legate a un’economia di tipo agro-pastorale.
«Un punto di partenza, non certo una conclusione - ha spiegato in apertura Simonetta Castia, presidente della società Aristeo - un indizio in più a conforto dell’ipotesi già formulata l’anno scorso», uno spunto di lettura per una ricostruzione di dinamiche che poggino su analisi sistematiche.
Un caso a sé, tutto da indagare, rappresenta, invece, la necropoli di Anghelu Ruju, impiantata su un’area decisamente più ampia rispetto alle altre, in cui gli studiosi hanno individuato tre diverse tendenze di orientamento in relazione alle tre distinte aree di dispersione dei monumenti sepolcrali: sud-est; est e sud-ovest. Spunti ritenuti di grande interesse scientifico, che si contrappongono ai dati relativi alle altre necropoli e che solo con la prosecuzione delle ricerche sarà possibile approfondire.
Per avere queste informazioni, gli specialisti della Sat e di Aristeo, hanno fatto una serie di rilevazioni: hanno misurato l’Azimut all’ingresso delle tombe, l’altezza dell’orizzonte visibile, e, naturalmente, la latitudine e la longitudine degli impianti, incrociando poi i dati con altre informazioni di carattere storico- archeologico.
Per lavorare sui 350 ipogei, distribuiti in tutta l’Isola, in una vasta area che va dal Monte Acuto al basso Sulcis, sono stati impiegati strumenti di precisione utilizzati secondo meccanismi collaudati e validati scientificamente.
L’ipotesi più plausibile, formulata a conclusione della seconda sessione di ricerca, è che impianti che presentano lo stesso orientamento possano essere stati costruiti nel rispetto del medesimo criterio, ma è chiaro che si tratta di congetture.
«E in ogni caso - tiene a precisare Michele Forteleoni, della Società astronomica turritana - bisognerebbe indagare a fondo sulle motivazioni».
Il lavoro è ancora in corso e l’obiettivo del team di ricerca è quello di arrivare a esaminare almeno mille siti per poter formulare altre ipotesi che abbiano base scientifica.
Finora sembra certo che gli impianti realizzati fuori dal ciclo solare e lunare siano scarsissimi, altra ricorrenza utile che gli studiosi ritengono non casuale, ma presumibilmente rispondente a una conoscenza, se pure di carattere pratico, dei fenomeni celesti da parte delle genti prenuragiche.
Insomma, è sempre più probabile che i concetti di equinozio e solstizio fossero ben chiari ai prenuragici e questo consentisse loro di ragionare in base a un elementare calendario con finalità pratiche legate alla gestione razionale delle più importanti attività agricole e pastorali.
Contributi preziosi sono arrivati anche dagli altri relatori che si sono alternati al microfono durante l’intera giornata, in particolare da Lavinia Foddai che ha proposto una serie di ipotesi relative alla rilettura del complesso ipogeico nella valle del Riu Mulino (Giave); Andrea Polcaro che ha riferito dell’orientamento astronomico delle tombe megalitiche nel Mediterraneo orientale fra il IV e il III millennio avanti Cristo; Valentina Leonelli che ha illustrato, interpretandoli, i modelli di nuraghe rinvenuti nelle più recenti campagne di scavo.
Nel pomeriggio è stata la volta di Roberto Sirigu, che ha proposto una riflessione critica sulla metodologia di ricerca in archeologia ragionando sui dati relativi al sito di Santa Vittoria di Serri; Elio Antonello che ha proposto un’interpretazione dell’attività agro-pastorale in età classica rileggendo Esiodo e Mario Codebò che ha parlato di montagne meridiane.
Il Convegno, aperto dai saluti istituzionali di Dolores Lai, assessore alle Culture del Comune, si è concluso con il dibattito che ha visto diversi interventi di studiosi, appassionati e curiosi, ed è stato arricchito dalla presenza dei ragazzi di due classi del liceo classico “Azuni” accompagnati dagli insegnanti di geografia astronomica.
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Necropoli Anghelu Ruju |
L’orientamento degli ipogei, la ricorrenza di una serie di dati emersi durante le rilevazioni effettuate negli ultimi dodici mesi dagli specialisti di Aristeo e della Sat (Società astronomica turritana) -che hanno promosso e organizzato l’evento - inducono gli studiosi a supporre che gran parte dell’attività dei sardi antichi fosse organizzata e gestita in funzione o in accordo con la conoscenza dei movimenti dei corpi celesti.
I 350 ipogei (su circa 3.500 presenti nell’Isola), finora presi in considerazione, datati al periodo prenuragico, (le domus de janas, le principali architetture di questo periodo, ipogei scavati nella roccia), esaminati sia come campione di dati complessivo che in relazione ai singoli contesti e, come ipotesi di analisi, comunque in funzione dell’orientamento degli ingressi, attestati su tre prevalenti tipologie di accesso: a dromos, ad atrio, e diretto.
Nel 45 per cento dei casi, gli ingressi sono risultati orientati a sud (con un valore da + o - 30° gradi), il 25 per cento a est (da 0 a 10°) e un numero, per ora molto limitato, a nord.
Rilevazioni che contribuiscono a rafforzare l’ipotesi, con la quale gli studiosi di Aristeo e della Sat avevano chiuso la precedente sessione di ricerca: cioè che le genti prenuragiche avessero una certa confidenza con il moto lunare e solare, conoscenze funzionali a tracciare un elementare calendario utile alla gestione delle principali attività legate a un’economia di tipo agro-pastorale.
«Un punto di partenza, non certo una conclusione - ha spiegato in apertura Simonetta Castia, presidente della società Aristeo - un indizio in più a conforto dell’ipotesi già formulata l’anno scorso», uno spunto di lettura per una ricostruzione di dinamiche che poggino su analisi sistematiche.
Un caso a sé, tutto da indagare, rappresenta, invece, la necropoli di Anghelu Ruju, impiantata su un’area decisamente più ampia rispetto alle altre, in cui gli studiosi hanno individuato tre diverse tendenze di orientamento in relazione alle tre distinte aree di dispersione dei monumenti sepolcrali: sud-est; est e sud-ovest. Spunti ritenuti di grande interesse scientifico, che si contrappongono ai dati relativi alle altre necropoli e che solo con la prosecuzione delle ricerche sarà possibile approfondire.
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Un momento del convegno |
Per lavorare sui 350 ipogei, distribuiti in tutta l’Isola, in una vasta area che va dal Monte Acuto al basso Sulcis, sono stati impiegati strumenti di precisione utilizzati secondo meccanismi collaudati e validati scientificamente.
L’ipotesi più plausibile, formulata a conclusione della seconda sessione di ricerca, è che impianti che presentano lo stesso orientamento possano essere stati costruiti nel rispetto del medesimo criterio, ma è chiaro che si tratta di congetture.
«E in ogni caso - tiene a precisare Michele Forteleoni, della Società astronomica turritana - bisognerebbe indagare a fondo sulle motivazioni».
Il lavoro è ancora in corso e l’obiettivo del team di ricerca è quello di arrivare a esaminare almeno mille siti per poter formulare altre ipotesi che abbiano base scientifica.
Finora sembra certo che gli impianti realizzati fuori dal ciclo solare e lunare siano scarsissimi, altra ricorrenza utile che gli studiosi ritengono non casuale, ma presumibilmente rispondente a una conoscenza, se pure di carattere pratico, dei fenomeni celesti da parte delle genti prenuragiche.
Insomma, è sempre più probabile che i concetti di equinozio e solstizio fossero ben chiari ai prenuragici e questo consentisse loro di ragionare in base a un elementare calendario con finalità pratiche legate alla gestione razionale delle più importanti attività agricole e pastorali.
Contributi preziosi sono arrivati anche dagli altri relatori che si sono alternati al microfono durante l’intera giornata, in particolare da Lavinia Foddai che ha proposto una serie di ipotesi relative alla rilettura del complesso ipogeico nella valle del Riu Mulino (Giave); Andrea Polcaro che ha riferito dell’orientamento astronomico delle tombe megalitiche nel Mediterraneo orientale fra il IV e il III millennio avanti Cristo; Valentina Leonelli che ha illustrato, interpretandoli, i modelli di nuraghe rinvenuti nelle più recenti campagne di scavo.
Nel pomeriggio è stata la volta di Roberto Sirigu, che ha proposto una riflessione critica sulla metodologia di ricerca in archeologia ragionando sui dati relativi al sito di Santa Vittoria di Serri; Elio Antonello che ha proposto un’interpretazione dell’attività agro-pastorale in età classica rileggendo Esiodo e Mario Codebò che ha parlato di montagne meridiane.
Il Convegno, aperto dai saluti istituzionali di Dolores Lai, assessore alle Culture del Comune, si è concluso con il dibattito che ha visto diversi interventi di studiosi, appassionati e curiosi, ed è stato arricchito dalla presenza dei ragazzi di due classi del liceo classico “Azuni” accompagnati dagli insegnanti di geografia astronomica.
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