Il voto ci chiama tutti alla responsabilità di scegliere (1)
Antonio Budruni |
Si tratta di una scelta che attribuisce a ciascuno di noi un ruolo di grande responsabilità.
Il campo degli schieramenti politici sembra ormai definitivamente chiarito: ci sarà una coalizione di sinistra-centro (Pd, Sel e socialisti) che, secondo i sondaggi (e anche secondo gli umori della maggioranza degli italiani) vincerà. Sul fronte opposto c’è l’eterno ritorno del cavaliere a rappresentare l’area del centrodestra, con o senza la Lega al proprio interno.
Al centro, la coalizione che si riconosce in Mario Monti o, meglio, nella sua Agenda.
In un’area non precisamente definita (e che per comodità chiameremo dell’antipolitica) si candida il movimento di Grillo, mentre all’estrema sinistra c’è la nuova formazione politica “Rivoluzione civica” capeggiata dal magistrato antimafia Ingroia.
L’offerta è vasta, in grado di rispondere a tutte le sfaccettature degli umori nazionali. Da chi vorrebbe non votare “perché è inutile, tanto sono tutti uguali” a chi simpatizza per la destra, anche la più estrema, a chi si sente di centrosinistra, di estrema sinistra o di centro.
Ciascuno sceglierà secondo le proprie convinzioni e il risultato finale determinerà la coalizione di maggioranza attraverso i meccanismi previsti nella ormai famigerata legge “Porcellum”.
Tutte le coalizioni hanno presentato i loro programmi, alcuni dei quali già consultabili anche on line. Tutto è pronto, dunque, per la grande prova di democrazia dell’ormai vicinissimo 24 febbraio.
A innalzare la qualità del confronto politico e programmatico, però, ci ha pensato il Presidente della Repubblica nel suo intervento del 31 dicembre, l’ultimo del suo settennato. Giorgio Napolitano, pur restando molto sulle sue ed anzi dichiarando esplicitamente che come Capo dello Stato non esprime valutazioni di parte, ha però posto al centro dell’attenzione generale la vera questione politica di oggi: quella sociale. Erano anni, ormai, che persino il termine era stato rimosso da tutte o quasi le agende politiche.
Napolitano ha avuto il grande merito di riportarlo al centro dell’attenzione nazionale, dando una speranza a milioni di disoccupati, operai, pensionati, precari, lavoratori pubblici. Alla grande maggioranza del popolo che ha pagato un prezzo altissimo alla crisi di cui non ha certamente la responsabilità.
La crisi mondiale è stata determinata dalla logica liberista che ha imposto ai mercati mondiali una sfida globale: riequilibrare i rapporti di forza e di potere tra le classi, a tutto vantaggio di quella dominante, l’alta finanza.
Questo riequilibrio brutale, antidemocratico e autoritario ha ridotto alla miseria e alla fame milioni di persone anche nel mondo sviluppato. Un risultato disastroso, che sta ricacciando indietro nel tempo le masse popolari e fasce crescenti del ceto medio. Il divario di reddito (e, quindi, di potere) tra i ricchi (sempre più ricchi e sempre meno numerosi) e i poveri (sempre più poveri e sempre più numerosi) si è allargato, proprio in questi anni di crisi, in maniera impressionante.
È giunto, dunque, il momento di dire basta. La maggioranza della popolazione falcidiata dalla crisi deve dire basta. Occorre ripartire dalla questione sociale e, più in generale, dai diritti, anch’essi rimasti ai margini delle politiche liberiste negli ultimi due decenni. Ed occorre ripartire dalla nostra Costituzione e dalla necessità, non più rinviabile, della sua attuazione.
Già questo rappresenta uno spartiacque chiaro tra gli schieramenti oggi in campo. Tra coloro, cioè, che si schierano per l’attuazione della Costituzione e tra coloro – Berlusconi in primo luogo – che ritengono, al contrario, che senza il suo cambiamento l’Italia sarà ingovernabile.
Nella coalizione dei liberisti occorre includere anche i Monti, i Montezemolo, i Marchionne, i Casini e i Fini: tutti sostenitori delle tesi liberiste intese come libertà di sfruttare il lavoro dipendente privandolo dei diritti sanciti dalla Costituzione.
Ricordava l’altro ieri Nadia Urbinati, in un pregevole articolo su “Repubblica”, quali siano state nel recente passato e quali siano ancora oggi le posizioni di Monti su questo tema. Nel gennaio 2011, in un articolo sul Corriere della Sera, Monti elogiava due importanti riforme della Gelmini e di Sergio Marchionne. “Grazie alla loro determinazione – scriveva colui che a novembre sarebbe diventato capo del Governo – , verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili”.
Tutti gli italiani – ma anche molti stranieri, volendo – possono verificare quanto sia stato ridotto l’handicap dell’Italia nel formare gli studenti, nel fare ricerca e nel fabbricare automobili.
Se non bastasse, Monti ha esplicitato ancor di più il proprio pensiero liberista accusando Vendola (Sel) e Fassina (responsabile economico del Pd e vincitore a man bassa delle primarie nel Lazio) di essere conservatori.
I rivoluzionari – lo dico perché i lettori più distratti capiscano – sono lui, Marchionne e Gelmini. Suvvia, che ci vuole a farsene una ragione? Se i lettori vorranno, proseguiremo nell’analisi.
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