Politica e antipolitica
Privi ormai di un supporto ideologico che possa connotarli in modi riconoscibile i soggetti politici assumono una facies mutevole.
Guido Sari |
In giorni di campagna elettorale, come gli attuali, e per di più in un momento storico caratterizzato da una crisi economica che ha avuto profonde ripercussioni nell’esistenza di larghe fasce di cittadini, credo venga spontaneo riflettere su ciò che siamo soliti chiamare politica, sulla funzione che dovrebbe avere e su quella che ha, sulle dichiarazioni di coloro che quotidianamente e da anni la praticano come specialisti del settore, persone il cui bagaglio di esperienze è fuori discussione, di cui però è discutibile se quanto praticano possa davvero chiamarsi politica.
Infatti ciò che vien fuori dal comportamento, dalle affermazioni di molti militanti in tal campo, se confrontato con le reali esigenze del comune cittadino, appare troppo spesso come un esercizio di potere o una aspirazione al potere (e spesso anche servizio al potere) che è cosa ben diversa da quanto si vorrebbe fosse la politica.
Privi ormai di un supporto ideologico che possa connotarli in modi riconoscibili i soggetti politici assumono, sia nella prassi che nel proporsi attuale, più che una ideologia, una facies mutevole, liquida (nel senso di Bauman) in cui, messi da parte o rimodulati vecchi ideali, vengono considerati picchi di valore soprattutto aperture liberistiche e frequentazioni bioetiche.
Privi ormai di un supporto ideologico che possa connotarli in modi riconoscibili i soggetti politici assumono, sia nella prassi che nel proporsi attuale, più che una ideologia, una facies mutevole, liquida (nel senso di Bauman) in cui, messi da parte o rimodulati vecchi ideali, vengono considerati picchi di valore soprattutto aperture liberistiche e frequentazioni bioetiche.
Le proposizioni identificative dei partiti politici, che dovrebbero sostituire le superate ideologie e che rappresentano le griglie di sostegno teorico dei loro eventuali programmi, sono intercambiali e il loro stesso valore sembra dipendere non dal contenuto oggettivo proposto ma dalla “credibilità” del proponente. Pertanto diventa fondamentale per il soggetto o gruppo politico o per l’individuo che lo rappresenta, assicurarsi credibilità e consenso.
Un consenso che non ha più a fondamento la condivisione di ideologie, nel senso di sistemi di pensiero, ma la condivisione di obiettivi settoriali, di ideali generici, o la permeabilità a suggestioni mediatiche. Per questo è di primaria importanza che i gruppi politici possano contare su chi nella società delle comunicazioni di massa crea opinione.
Partiti politici, grandi gruppi economici alleati dei partiti, tutti hanno i loro opinionisti o intere testate di opinione che possono creare il consenso e indirizzare le preferenze dei cittadini elettori. Non è il caso di elencare nominalmente chi, prezzolato o favorito da gruppi politici ed economici, dirige i teatrini televisivi in cui si gioca al massacro dell’avversario per suscitare simpatia verso sé stessi o il proprio padrone, è sufficiente dare uno sguardo anche veloce a ciò che viene proposto dalle reti televisive.
Recentemente una maggiore, ma ancora molto scarsa, coscienza dei diritti dei cittadini ha fatto gridare allo scandalo delle caste, dei privilegi intollerabili, sempre passati sotto silenzio per far digerire l’amara pillola di un sistema di tassazione che colpisce i contribuenti economicamente più deboli ma più rintracciabili, ed ha prodotto severe critiche e riserve nei confronti della classe politica, arrivando sino al punto di porne in dubbio la necessità di esistenza. E il recentissimo governo di tecnici, cioè la scelta di affidare il paese ad un governo di “non politici”, sembrava quasi dare un avallo alla nuova tendenza di pensiero. Ma la prevedibile reazione dei politici addetti alla politica non si è fatta attendere ed ha posto in evidenza nel modo più chiaro il concetto che gli stessi esponenti della politica politicante hanno del comune cittadino.
La critica alla politica è stata subito letta, infatti, come antipolitica, come un atteggiamento qualunquista di generica lamentela contro chi governa, una riedizione meno brillante del vecchio “Piove: governo ladro”. Sembra quasi che al cittadino non venga riconosciuta nessuna capacità critica. Il comune cittadino non solo viene visto prevalentemente come fonte di prelievi fiscali sicuri per lo Stato ma anche come incapace di avere idee autonome e bisognoso di esser redarguito.
Recentemente una maggiore, ma ancora molto scarsa, coscienza dei diritti dei cittadini ha fatto gridare allo scandalo delle caste, dei privilegi intollerabili, sempre passati sotto silenzio per far digerire l’amara pillola di un sistema di tassazione che colpisce i contribuenti economicamente più deboli ma più rintracciabili, ed ha prodotto severe critiche e riserve nei confronti della classe politica, arrivando sino al punto di porne in dubbio la necessità di esistenza. E il recentissimo governo di tecnici, cioè la scelta di affidare il paese ad un governo di “non politici”, sembrava quasi dare un avallo alla nuova tendenza di pensiero. Ma la prevedibile reazione dei politici addetti alla politica non si è fatta attendere ed ha posto in evidenza nel modo più chiaro il concetto che gli stessi esponenti della politica politicante hanno del comune cittadino.
La critica alla politica è stata subito letta, infatti, come antipolitica, come un atteggiamento qualunquista di generica lamentela contro chi governa, una riedizione meno brillante del vecchio “Piove: governo ladro”. Sembra quasi che al cittadino non venga riconosciuta nessuna capacità critica. Il comune cittadino non solo viene visto prevalentemente come fonte di prelievi fiscali sicuri per lo Stato ma anche come incapace di avere idee autonome e bisognoso di esser redarguito.
Non c’è stato politico o carica dello stato o intellettuale di scuderia o anche in buona fede che non abbia parlato dei pericoli dell’antipolitica, rimproverando implicitamente al popolo la sua immaturità politica.
Il comune cittadino in realtà esprimeva un’esigenza che molti politici purtroppo non concepiscono neppure più, cioè quella di essere governati in modo equanime, di avere governanti che facciano della politica ciò che questa dovrebbe essere: un’attività per conseguire il bene collettivo, per consentire la crescita economica e umana dell’intero Paese.
Però la reazione del cittadino non era una critica generica, metteva in discussione l’esistenza di privilegi e ciò è sempre visto come una minaccia da chi tali privilegi detiene e non intende perderli ed anzi vorrebbe aumentarli.
Tuttavia quel segno positivo di critica ad un sistema politico sordo ai bisogni delle fasce più deboli, legato o soggetto a grandi gruppi economici e finanziari, proteso unicamente ad assicurarsi il potere, proprio in questi giorni di propaganda elettorale, cioè proprio quando sarebbe stato utile che si sentisse più forte la sua voce, sembra invece tacere.
Il comune cittadino in realtà esprimeva un’esigenza che molti politici purtroppo non concepiscono neppure più, cioè quella di essere governati in modo equanime, di avere governanti che facciano della politica ciò che questa dovrebbe essere: un’attività per conseguire il bene collettivo, per consentire la crescita economica e umana dell’intero Paese.
Però la reazione del cittadino non era una critica generica, metteva in discussione l’esistenza di privilegi e ciò è sempre visto come una minaccia da chi tali privilegi detiene e non intende perderli ed anzi vorrebbe aumentarli.
Tuttavia quel segno positivo di critica ad un sistema politico sordo ai bisogni delle fasce più deboli, legato o soggetto a grandi gruppi economici e finanziari, proteso unicamente ad assicurarsi il potere, proprio in questi giorni di propaganda elettorale, cioè proprio quando sarebbe stato utile che si sentisse più forte la sua voce, sembra invece tacere.
Le sirene mediatiche fanno sentire quotidianamente il loro canto e il comune cittadino non sempre riesce a valutare i messaggi che riceve e facilmente può ritornare a nutrirsi di quanto gli ammanniscono gli addetti alla politica politicante.
È significativo dell’abdicazione a delle valutazioni autonome, che tengano conto degli interessi propri, cioè dei suoi interessi di comune cittadino, il valore “ideologico” o di marcatore di appartenenza politica che viene attribuito alla tassazione sulla prima casa o alla sua detassazione. Con acrobazie logiche e con un’autentica manipolazione del pensiero critico si arriva ad affermare la necessità di tale tassazione e a collocare chi la pensasse in maniera diversa in alcune precise aree di opinione di “centrodestra” o di estrema “sinistra”.
I partiti nella loro campagna elettorale si valgono di una propaganda politica specializzata nella demonizzazione o nel dileggio dell’avversario. La difesa ad oltranza delle proprie posizioni impedisce che queste possano, anche solo parzialmente, in alcuni casi, essere messe in discussione. Lo schieramento rappresentativo della “sinistra” per stornare il consenso dal “centro” a “sinistra” tende a stigmatizzare tutto ciò che viene proposto dal Cavaliere, ex presidente del Consiglio, e dal suo partito affinché venga rifiutato a priori dal cittadino elettore, non importa se alcune delle cose proposte possano essere vantaggiose per quest’ultimo, in pratica si veicola il messaggio che un cittadino che voglia essere liberale e progressista non può accettare nessuno degli enunciati berlusconiani nemmeno se si traducono in un alleggerimento fiscale. Mentre da parte sua il rappresentante più carismatico o di più mediatica visibilità del “centro destra” agita il logoro spauracchio di un possibile avvento della “sinistra” per ottenere il consenso dei “moderati”.
Il timore è che il cittadino possa accettare acriticamente le proposte giudicate più “giuste” dai persuasori mediatici e non abbia gli strumenti critici (e può anche non averli perché troppo impegnato ad assicurare la sua stessa sopravvivenza o quella della sua famiglia) per valutarle né per valutare la condotta “politica” dei proponenti.
È comprensibile il disorientamento del comune cittadino elettore nel vedere la “destra” che, pur continuando a fare soprattutto gli interessi delle classi medio alte e dei grandi imprenditori, se volge lo sguardo anche alle fasce più basse si becca l’accusa di populismo dai liberalprogressiti; nel vedere il “centro” che, benché in alcuni suoi rappresentanti ostenti di richiamarsi a valori cristiani, si schiera toto corde con il governo tecnico che ha fatto gravare i sacrifici imposti dalla crisi sulle classi socialmente più deboli; o nel prendere atto che la “sinistra”, messa da parte quella sensibilità per il sociale che dovrebbe caratterizzarla, fino a l’altro ieri si sperticava nel lodare l’operato del governo tecnico, avanzando riserve solo quando era ormai chiaro agli occhi di tutti che c’era ben poco da lodare.
È comprensibile pertanto che il cittadino in questa labilità di punti di riferimento e ambiguità di posizioni possa considerare negativamente nel suo complesso non solo gli schieramenti ma la stessa politica, oppure che possa adeguarsi ad una passiva acquiescenza agli enunciati proposti, ed è comprensibile infine che possa anche rifiutare questa politica politicante. Una forma di reazione prevedibile potrebbe essere l’astensione dal voto come forma di momentanea punizione/lezione ai partiti politici, che tuttavia per avere un valore didattico dovrebbe essere di massa. Ma una tale soluzione da commedia aristofanesca sarebbe difficilmente realizzabile in realtà e di dubbio vantaggio per chi volesse metterla in pratica.
È significativo dell’abdicazione a delle valutazioni autonome, che tengano conto degli interessi propri, cioè dei suoi interessi di comune cittadino, il valore “ideologico” o di marcatore di appartenenza politica che viene attribuito alla tassazione sulla prima casa o alla sua detassazione. Con acrobazie logiche e con un’autentica manipolazione del pensiero critico si arriva ad affermare la necessità di tale tassazione e a collocare chi la pensasse in maniera diversa in alcune precise aree di opinione di “centrodestra” o di estrema “sinistra”.
I partiti nella loro campagna elettorale si valgono di una propaganda politica specializzata nella demonizzazione o nel dileggio dell’avversario. La difesa ad oltranza delle proprie posizioni impedisce che queste possano, anche solo parzialmente, in alcuni casi, essere messe in discussione. Lo schieramento rappresentativo della “sinistra” per stornare il consenso dal “centro” a “sinistra” tende a stigmatizzare tutto ciò che viene proposto dal Cavaliere, ex presidente del Consiglio, e dal suo partito affinché venga rifiutato a priori dal cittadino elettore, non importa se alcune delle cose proposte possano essere vantaggiose per quest’ultimo, in pratica si veicola il messaggio che un cittadino che voglia essere liberale e progressista non può accettare nessuno degli enunciati berlusconiani nemmeno se si traducono in un alleggerimento fiscale. Mentre da parte sua il rappresentante più carismatico o di più mediatica visibilità del “centro destra” agita il logoro spauracchio di un possibile avvento della “sinistra” per ottenere il consenso dei “moderati”.
Il timore è che il cittadino possa accettare acriticamente le proposte giudicate più “giuste” dai persuasori mediatici e non abbia gli strumenti critici (e può anche non averli perché troppo impegnato ad assicurare la sua stessa sopravvivenza o quella della sua famiglia) per valutarle né per valutare la condotta “politica” dei proponenti.
È comprensibile il disorientamento del comune cittadino elettore nel vedere la “destra” che, pur continuando a fare soprattutto gli interessi delle classi medio alte e dei grandi imprenditori, se volge lo sguardo anche alle fasce più basse si becca l’accusa di populismo dai liberalprogressiti; nel vedere il “centro” che, benché in alcuni suoi rappresentanti ostenti di richiamarsi a valori cristiani, si schiera toto corde con il governo tecnico che ha fatto gravare i sacrifici imposti dalla crisi sulle classi socialmente più deboli; o nel prendere atto che la “sinistra”, messa da parte quella sensibilità per il sociale che dovrebbe caratterizzarla, fino a l’altro ieri si sperticava nel lodare l’operato del governo tecnico, avanzando riserve solo quando era ormai chiaro agli occhi di tutti che c’era ben poco da lodare.
È comprensibile pertanto che il cittadino in questa labilità di punti di riferimento e ambiguità di posizioni possa considerare negativamente nel suo complesso non solo gli schieramenti ma la stessa politica, oppure che possa adeguarsi ad una passiva acquiescenza agli enunciati proposti, ed è comprensibile infine che possa anche rifiutare questa politica politicante. Una forma di reazione prevedibile potrebbe essere l’astensione dal voto come forma di momentanea punizione/lezione ai partiti politici, che tuttavia per avere un valore didattico dovrebbe essere di massa. Ma una tale soluzione da commedia aristofanesca sarebbe difficilmente realizzabile in realtà e di dubbio vantaggio per chi volesse metterla in pratica.
La più corretta forma di reazione sarebbe invece quella di voler intervenire direttamente nella vita politica tramite azioni ed attività che nascano da associazioni di cittadini, da comitati di quartiere, cercando di attuare pressioni non disattendibili partendo dalla base, e sempre dalla base si dovrebbero rinnovare i vecchi soggetti politici o crearne di nuovi, rivendicando un governo della cosa pubblica attento agli interessi della collettività e non a quelli di gruppi privilegiati, un governo che chieda ai ceti più ricchi una maggiore solidarietà con tassazioni proporzionate al reddito, che abbia maggiore sensibilità per le classi sociali più svantaggiate, che impedisca il perpetuarsi sia della figura del politico a vita che del politico tanto strapagato da perdere il senso della realtà e da non riuscire a comprendere le reali esigenze della gente, un governo che favorisca il lavoro e promuova riforme di ricaduta collettiva, che sappia “tagliare” nel modo più equo, che, per fare il primo esempio che mi viene in mente, tra sanità, scuola, ricerca, rimborso elettorale e finanziamento alle testate giornalistiche, non abbia dubbi, tagli le ultime due voci e potenzi le prime tre.
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