Perché votare è un dovere oltreché un diritto
Riflessione a pochi giorni dall'apertura delle urne.
Manca ormai meno di una settimana alle elezioni politiche e milioni di italiani si stanno orientando per esprimere il proprio voto sulla base delle scelte politiche e delle proprie convinzioni ideali.
Proverò ad esprimere un mio ragionamento, basandomi soprattutto su quelle che sono le linee guida che da molto tempo mi spingono ad assumermi, come cittadino, le responsabilità che derivano dallo statuts di elettore.
Cominciamo dalla Costituzione. L’art. 48 stabilisce:
Questo è vero in generale, ma la stessa Costituzione, all’art. 57, ci dice che per l’elezione del Senato della Repubblica il diritto di voto si può esprimere solo al compimento del venticinquesimo anno di età.
Invito i lettori, soprattutto quelli che sono orientati ad astenersi o a non recarsi alle urne, a riflettere sul dettato Costituzionale laddove si dispone che l’esercizio del voto è dovere civico. Per la nostra Costituzione, quindi, andare a votare è un dovere civico. Non solo un diritto, dunque, ma un preciso dovere. Un dovere nei confronti degli altri, di tutti coloro che, insieme a noi, costituiscono, formano, la società.
All’art. 2, la nostra Costituisce impone a tutti i cittadini, indistintamente, l’adempimento di un unico dovere, quello di solidarietà: politica, economica e sociale. La solidarietà politica risiede soprattutto nell’espressione del voto, oltre che nella disponibilità a candidarsi per rappresentare l’intera collettività nelle istituzioni democratiche.
Non votare, per la nostra Costituzione, significa venire meno ad un preciso dovere (art. 48) e a un preciso obbligo (art. 2) legati al ruolo che ogni cittadini svolge all’interno della società.
Il disimpegno elettorale, evidentemente, è considerato un atteggiamento contrario al ruolo sociale, “civile”, che è prerogativa e dovere di ogni cittadino.
Inoltre, non votare è anche un abdicare, una rinuncia a far valere la propria opinione e la propria volontà. Significa delegare ad altri scelte che sono di ciascuno di noi.
Stabilito, dunque, il diritto/dovere del voto, bisogna decidere a chi dare il nostro consenso.
L’offerta politica è piuttosto ampia e, si può tranquillamente dire senza tema di smentita, che nella scheda elettorale ciascuno di noi può trovare una coalizione, un partito, una lista, alla quale accordare la nostra preferenza.
A questo punto, però, diventa importante l’utilità del voto. In generale, le scelte elettorali si esprimono sulla base di poche motivazioni-forti che abbracciano oltre il 90 per cento delle scelte effettuate.
Proviamo ad elencarle, in ordine di priorità:
Gli ultimi sondaggi – quelli resi noti prima del silenzio imposto dalla normativa vigente – delineavano il seguente scenario:
centrosinistra, dal 32,8 al 35,2 per cento; centro-destra, dal 27,8 al 29,8 per cento; Movimento 5 stelle, dal 15,5 al 18 per cento; Scelta civica (lista Monti) dal 12,5 al 14,8 per cento; Rivoluzione civile, dal 3,7 al 5,2 per cento.
Se questo fosse lo scenario al 25 febbraio, stante l’attuale legge elettorale, la coalizione di centrosinistra avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati, mentre quella al Senato non sarebbe altrettanto certa in quanto il premio di maggioranza è stabilito a oregionale e, come tutti sanno, le regioni considerate decisive sono la Lombardia, la Campania e la Sicilia.
Tecnicamente, la vittoria del centrosinistra rappresenterebbe il cambiamento, l’alternativa alla vecchia maggioranza di centrodestra che ha governato il Paese fino al novembre 2011, prima del governo tecnico guidato da Mario Monti.
La vittoria dello schieramento di centro-destra, invece, sempre dal punto di vista tecnico-politico, avrebbe il significato della continuità e, quindi, della conservazione al governo del precedente schieramento.
Ogni altra scelta dell’elettorato sarebbe ininfluente rispetto alla nascita del nuovo governo. E, infatti, chi voterà per la coalizione di centro (Scelta civica) sa perfettamente che la coalizione centrista non avrà il consenso necessario per ottenere la maggioranza e dovrà, eventualmente, accontentarsi di fungere da alleato dello schieramento vincente ponendo condizioni: con il centrosinistra, purché non ci sia Vendola; con il centro-destra, se non c’è Berlusconi (o restare all’opposizione).
Chi vota per il Movimento 5 stelle, invece, non è affatto interessato al governo del Paese, ma spera di condizionare dall’esterno il governo altrui. Analogo ragionamento fanno gli elettori di Rivoluzione civile e delle altre liste che, dai sondaggi, non otterrebbero la soglia minima per accedere al Parlamento.
Sulla base di queste considerazioni, quindi, le scelte elettorali sono molto meno complesse e difficili di quanto molti pensano. Chi vuole contribuire al cambiamento al governo del Paese ha una sola possibilità: votare per il centrosinistra (PD-SEL-Centro democratico). Chi, invece, vuole continuare a mantenere al governo il precedente schieramento ha una sola possibilità: votare per il centro-destra. Tutte le altre opzioni, non incidendo nella scelta del governo del Paese, sono da considerare di mera testimonianza e difensive: impedire la vittoria dello schieramento avverso.
Comunque la pensiate, andate a votare. Magari ponendo al primo posto l’interesse generale del Paese, piuttosto che quello individuale o di gruppo. Sarebbe già un notevole passo avanti per l’Italia.
Antonio Budruni |
Proverò ad esprimere un mio ragionamento, basandomi soprattutto su quelle che sono le linee guida che da molto tempo mi spingono ad assumermi, come cittadino, le responsabilità che derivano dallo statuts di elettore.
Cominciamo dalla Costituzione. L’art. 48 stabilisce:
“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto, il suo esercizio è dovere civico”.
Questo è vero in generale, ma la stessa Costituzione, all’art. 57, ci dice che per l’elezione del Senato della Repubblica il diritto di voto si può esprimere solo al compimento del venticinquesimo anno di età.
Invito i lettori, soprattutto quelli che sono orientati ad astenersi o a non recarsi alle urne, a riflettere sul dettato Costituzionale laddove si dispone che l’esercizio del voto è dovere civico. Per la nostra Costituzione, quindi, andare a votare è un dovere civico. Non solo un diritto, dunque, ma un preciso dovere. Un dovere nei confronti degli altri, di tutti coloro che, insieme a noi, costituiscono, formano, la società.
All’art. 2, la nostra Costituisce impone a tutti i cittadini, indistintamente, l’adempimento di un unico dovere, quello di solidarietà: politica, economica e sociale. La solidarietà politica risiede soprattutto nell’espressione del voto, oltre che nella disponibilità a candidarsi per rappresentare l’intera collettività nelle istituzioni democratiche.
Non votare, per la nostra Costituzione, significa venire meno ad un preciso dovere (art. 48) e a un preciso obbligo (art. 2) legati al ruolo che ogni cittadini svolge all’interno della società.
Il disimpegno elettorale, evidentemente, è considerato un atteggiamento contrario al ruolo sociale, “civile”, che è prerogativa e dovere di ogni cittadino.
Inoltre, non votare è anche un abdicare, una rinuncia a far valere la propria opinione e la propria volontà. Significa delegare ad altri scelte che sono di ciascuno di noi.
Stabilito, dunque, il diritto/dovere del voto, bisogna decidere a chi dare il nostro consenso.
L’offerta politica è piuttosto ampia e, si può tranquillamente dire senza tema di smentita, che nella scheda elettorale ciascuno di noi può trovare una coalizione, un partito, una lista, alla quale accordare la nostra preferenza.
A questo punto, però, diventa importante l’utilità del voto. In generale, le scelte elettorali si esprimono sulla base di poche motivazioni-forti che abbracciano oltre il 90 per cento delle scelte effettuate.
Proviamo ad elencarle, in ordine di priorità:
- far vincere il proprio schieramento;
- impedire che lo schieramento avversario vinca;
- testimoniare la propria scelta ideale, indipendentemente dal fatto che il nostro schieramento vinca o perda.
Gli ultimi sondaggi – quelli resi noti prima del silenzio imposto dalla normativa vigente – delineavano il seguente scenario:
centrosinistra, dal 32,8 al 35,2 per cento; centro-destra, dal 27,8 al 29,8 per cento; Movimento 5 stelle, dal 15,5 al 18 per cento; Scelta civica (lista Monti) dal 12,5 al 14,8 per cento; Rivoluzione civile, dal 3,7 al 5,2 per cento.
Se questo fosse lo scenario al 25 febbraio, stante l’attuale legge elettorale, la coalizione di centrosinistra avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati, mentre quella al Senato non sarebbe altrettanto certa in quanto il premio di maggioranza è stabilito a oregionale e, come tutti sanno, le regioni considerate decisive sono la Lombardia, la Campania e la Sicilia.
Tecnicamente, la vittoria del centrosinistra rappresenterebbe il cambiamento, l’alternativa alla vecchia maggioranza di centrodestra che ha governato il Paese fino al novembre 2011, prima del governo tecnico guidato da Mario Monti.
La vittoria dello schieramento di centro-destra, invece, sempre dal punto di vista tecnico-politico, avrebbe il significato della continuità e, quindi, della conservazione al governo del precedente schieramento.
Ogni altra scelta dell’elettorato sarebbe ininfluente rispetto alla nascita del nuovo governo. E, infatti, chi voterà per la coalizione di centro (Scelta civica) sa perfettamente che la coalizione centrista non avrà il consenso necessario per ottenere la maggioranza e dovrà, eventualmente, accontentarsi di fungere da alleato dello schieramento vincente ponendo condizioni: con il centrosinistra, purché non ci sia Vendola; con il centro-destra, se non c’è Berlusconi (o restare all’opposizione).
Chi vota per il Movimento 5 stelle, invece, non è affatto interessato al governo del Paese, ma spera di condizionare dall’esterno il governo altrui. Analogo ragionamento fanno gli elettori di Rivoluzione civile e delle altre liste che, dai sondaggi, non otterrebbero la soglia minima per accedere al Parlamento.
Sulla base di queste considerazioni, quindi, le scelte elettorali sono molto meno complesse e difficili di quanto molti pensano. Chi vuole contribuire al cambiamento al governo del Paese ha una sola possibilità: votare per il centrosinistra (PD-SEL-Centro democratico). Chi, invece, vuole continuare a mantenere al governo il precedente schieramento ha una sola possibilità: votare per il centro-destra. Tutte le altre opzioni, non incidendo nella scelta del governo del Paese, sono da considerare di mera testimonianza e difensive: impedire la vittoria dello schieramento avverso.
Comunque la pensiate, andate a votare. Magari ponendo al primo posto l’interesse generale del Paese, piuttosto che quello individuale o di gruppo. Sarebbe già un notevole passo avanti per l’Italia.
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