Un pizzino per uccidersi
Il disagio di un uomo senza lavoro, spogliato della dignità.
Salvatore Marino |
A Trapani, la mia città, Giusepe Burgarella, un operaio disoccupato, ha deciso di uccidersi lasciando un “pizzino” dentro una copia della Costituzione.
Ha scritto del suo disagio di uomo senza lavoro che lo ha portato a sentirsi privo di riconoscimento sociale e di dignità.
Ha usato un pizzino per dare evidenza al suo gesto e i pizzini sono ormai tristemente noti anche a chi non è siciliano.
Ma sono stati, per tanto tempo, un mezzo per comunicare messaggi d’amore, un block- notes arcaico per prendere appunti, uno strumento di lavoro improvvisato per scrittori famosi e in erba, la lista della spesa che da bambini le mamme ci affidavano per le piccole spese quotidiane.
Negli ultimi anni hanno avuto un tragico e misero utilizzo. Sono stati il mezzo di comunicazione rozzo ed efficace tra mafiosi, l’elenco delle imprese a cui chiedere il pizzo, la contabilità cifrata della mafia, la ributtante corrispondenza tra mafiosi e familiari in cui si invocavano Dio, Madonna e Santi, la lista delle richieste mafiose nella trattativa tra Stato e mafia.
Negli ultimi anni hanno avuto un tragico e misero utilizzo. Sono stati il mezzo di comunicazione rozzo ed efficace tra mafiosi, l’elenco delle imprese a cui chiedere il pizzo, la contabilità cifrata della mafia, la ributtante corrispondenza tra mafiosi e familiari in cui si invocavano Dio, Madonna e Santi, la lista delle richieste mafiose nella trattativa tra Stato e mafia.
Ma nella terra che non riesce ad essere normale, in cui si alternano grandi uomini e grandi mafiosi, uomini d’onore e uomini che l’onore neanche sanno che cosa sia, eroici servitori dello Stato e menti raffinate asservite alla mafia, il gesto di Giuseppe Burgarella non ha nulla di eclatante.
E’ l’ennesimo campanello d’allarme di una terribile sofferenza sociale che ci dice che si può morire per il lavoro in nome di una crisi che calpesta i diritti e massacra la dignità. E che riguarda tutta l’ Italia ma in particolare le regioni del Sud.
Si muore sul posto di lavoro, si muore di lavoro, si muore perché si è senza lavoro. Il lavoro è l’argomento più evocato in questa campagna elettorale ma ho la sensazione che per molti elettori il voto sarà, come mai è successo prima, una certificazione rabbiosa del proprio carico di amarezza e di disillusione. Solo un’arma spuntata per combattere la rassegnazione dilagante. Perché penso che questa campagna elettorale sia reticente ed omissiva su molte questioni. Ad esempio bisognerebbe dire agli italiani che il rispetto del fiscal compact (assunto e sostenuto dalle tre maggiori coalizioni in campo) che prevede di ridurre di un ventesimo all’anno il debito pubblico con il varo di manovre finanziarie sanguinose, causerà vent’anni di recessione e povertà. Che il vincolo del pareggio in bilancio da parte dello Stato (previsto in Costituzione) avrà effetti ancora più recessivi. Bisognerebbe dire che la riforma Fornero non contribuisce a creare migliori condizioni di accesso nel mercato del lavoro e pertanto va messa da parte.
Vorrei sentirmi dire che tra i primi atti di governo ci sarà una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro che permetta ai lavoratori il diritto di voto sugli atti negoziali aziendali. Vorrei che si dicesse fino alla nausea che l’articolo 8 del Decreto legge 138/2011, la cosiddetta “norma ad aziendam” e pro Fiat, sarà cancellata. Se non si capisce che la prossima deve essere la stagione in cui si ricostruisce un nuovo diritto del lavoro dopo anni in cui i diritti dei lavoratori sono stati falcidiati temo che avremo anni difficili davanti a noi. Ma non lo sento dire tutto ciò e ho la preoccupata sensazione che austerità, fiscal compact, vincolo monetario, resteranno al di sopra dei veri temi elettorali. Sono come dei postulati immodificabili e nessuno ha il coraggio di dire no all’Europa delle banche e del rigore. Per questo mi accingo a un voto stanco, consapevole che votare non basta più.
Vorrei sentirmi dire che tra i primi atti di governo ci sarà una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro che permetta ai lavoratori il diritto di voto sugli atti negoziali aziendali. Vorrei che si dicesse fino alla nausea che l’articolo 8 del Decreto legge 138/2011, la cosiddetta “norma ad aziendam” e pro Fiat, sarà cancellata. Se non si capisce che la prossima deve essere la stagione in cui si ricostruisce un nuovo diritto del lavoro dopo anni in cui i diritti dei lavoratori sono stati falcidiati temo che avremo anni difficili davanti a noi. Ma non lo sento dire tutto ciò e ho la preoccupata sensazione che austerità, fiscal compact, vincolo monetario, resteranno al di sopra dei veri temi elettorali. Sono come dei postulati immodificabili e nessuno ha il coraggio di dire no all’Europa delle banche e del rigore. Per questo mi accingo a un voto stanco, consapevole che votare non basta più.
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