Dire quel che si pensa. In pubblico.
Io penso che in politica dire quel che si pensa nel dibattito pubblico sia sempre meglio.
Per me sempre vuol dire sempre.
Ho detto in politica e ho detto nel dibattito pubblico perché penso ad esempio che nel privato una certa dose di ipocrisia o reticenza sia opportuna e utile per consentire la convivenza sociale e che anche in politica valutazioni personali o osservazioni contingenti possano essere “trattenute”.
Ma se – putacaso – si sta discutendo dell’operato di un’amministrazione e del suo futuro, la sola azione responsabile è esprimere la propria opinione, di cittadini o di militanti politici o di rappresentanti; si può discutere, dissentire anche come componenti una stessa coalizione; la discussione onesta (quelli che gli africani chiamano palabre) può servire a trovare nuove soluzioni o rendere più semplice accettare sintesi o compromessi.
Ciò premesso, c’è un’altra questione, cui per qualche ragione tengo.
Va da sé che se un direttore di banca esprime la sua opinione, ad esempio sul PUC di una città, lo fa come cittadino a pieno titolo, e fargli rimarcare che si ha un conto corrente nella sua banca non è esattamente opportuno, specie se chi lo fa è un amministratore e un politico. A maggior ragione se chi lo fa è un Primario ospedaliero e magari si fa rimarcare che dall’amministrazione dipende la sopravvivenza del reparto. E così via.
Ma vediamo un esempio.
Supponiamo che – come è avvenuto di recente nel Comune di Abbiategrasso – dopo alcuni mesi vi sia un evidente problema politico per un’Amministrazione (non è rilevante per il nostro esempio, se la colpa sia del Sindaco, della Giunta, dei partiti o della personalità della maggioranza, della situazione oggettiva, della situazione eredita dalla Giunta precedente, … o da un mix di tutte queste cose).
Non vi pare che cosa migliore sarebbe se – sine ira et studio – se ne discutesse apertamente, francamente, approfonditamente?
Sarebbe molto strano se ci fosse una consegna del silenzio per alcuni; specie se autorevoli personalità, che avevano avuto un ruolo rilevante nel determinare la nascita di quella Amministrazione, avessero fatto interventi pubblici lunghi e articolati per aprire questa discussione chiedendo cambiamenti radicali o – in subordine – l’immediato ritorno alle urne.
E nel passato estemporanee uscite avessero prospettato cambi di maggioranza, soluzione drastiche per il problema di alcune etnie, distribuzione e attribuzione di cariche, …
Chi ha titolo a dibattere: solo i cittadini “qualunque” e alcuni “politici” privilegiati, mentre gli altri è bene che si tacciano?
Ma vi siete accorti che alcune cosette sono cambiate in Italia?
Secondo me non in peggio tra l’altro. Come dimostrano tra l’altro le elezioni e i discorsi di Boldrini e Grasso.
Arnaldo 'Bibo' Cecchini |
Ho detto in politica e ho detto nel dibattito pubblico perché penso ad esempio che nel privato una certa dose di ipocrisia o reticenza sia opportuna e utile per consentire la convivenza sociale e che anche in politica valutazioni personali o osservazioni contingenti possano essere “trattenute”.
Ma se – putacaso – si sta discutendo dell’operato di un’amministrazione e del suo futuro, la sola azione responsabile è esprimere la propria opinione, di cittadini o di militanti politici o di rappresentanti; si può discutere, dissentire anche come componenti una stessa coalizione; la discussione onesta (quelli che gli africani chiamano palabre) può servire a trovare nuove soluzioni o rendere più semplice accettare sintesi o compromessi.
Ciò premesso, c’è un’altra questione, cui per qualche ragione tengo.
Va da sé che se un direttore di banca esprime la sua opinione, ad esempio sul PUC di una città, lo fa come cittadino a pieno titolo, e fargli rimarcare che si ha un conto corrente nella sua banca non è esattamente opportuno, specie se chi lo fa è un amministratore e un politico. A maggior ragione se chi lo fa è un Primario ospedaliero e magari si fa rimarcare che dall’amministrazione dipende la sopravvivenza del reparto. E così via.
Ma vediamo un esempio.
Supponiamo che – come è avvenuto di recente nel Comune di Abbiategrasso – dopo alcuni mesi vi sia un evidente problema politico per un’Amministrazione (non è rilevante per il nostro esempio, se la colpa sia del Sindaco, della Giunta, dei partiti o della personalità della maggioranza, della situazione oggettiva, della situazione eredita dalla Giunta precedente, … o da un mix di tutte queste cose).
Non vi pare che cosa migliore sarebbe se – sine ira et studio – se ne discutesse apertamente, francamente, approfonditamente?
Sarebbe molto strano se ci fosse una consegna del silenzio per alcuni; specie se autorevoli personalità, che avevano avuto un ruolo rilevante nel determinare la nascita di quella Amministrazione, avessero fatto interventi pubblici lunghi e articolati per aprire questa discussione chiedendo cambiamenti radicali o – in subordine – l’immediato ritorno alle urne.
E nel passato estemporanee uscite avessero prospettato cambi di maggioranza, soluzione drastiche per il problema di alcune etnie, distribuzione e attribuzione di cariche, …
Chi ha titolo a dibattere: solo i cittadini “qualunque” e alcuni “politici” privilegiati, mentre gli altri è bene che si tacciano?
Ma vi siete accorti che alcune cosette sono cambiate in Italia?
Secondo me non in peggio tra l’altro. Come dimostrano tra l’altro le elezioni e i discorsi di Boldrini e Grasso.
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