“Gust” senz’anima algueresa
L’identità catalana dell’Alguer dov’è?
Franco Donnini |
Come ha scritto sabato scorso in terza pagina de La Nuova Sardegna la creativa pubblicitaria e docente di Teorie e tecniche della comunicazione Annamaria Testa, dentro un ragionamento il cui filo era la comunicazione quale strumento per la valorizzazione dei beni culturali, la metafora può facilmente trasformarsi in un “masso che spiaccica le idee”; e lo spiaccicamento dell’idea è proprio quello che ha ottenuto l’assessorato alla Cultura e alle Politiche Linguistiche del comune di Alghero insieme alla Generalitat de Catalunya con la campagna il cui slogan recita: “Gust”.
Una campagna multisoggetto (sono ventiquattro quelli presenti nella Pagina Facebook) che gioca tutto (troppo) sulla metafora del gusto. Ma è un gusto senz’anima. L’intenzione dei committenti, e credo anche dei creativi, consiste nell’associare il gusto di parlare l’algherese, nelle più svariate situazioni e contesti della vita quotidiana, al gusto sensoriale, fisico, quello cui sono deputate le papille gustative. L’idea non è strampalata. Ma certamente è strampalato lo sviluppo della stessa e, al netto di una buona impaginazione e fotografia, la sua trasposizione grafica.
Per non tediare il lettore mi astengo dal dare un giudizio più argomentato circa la gestione delle gerarchie semiotiche (pesi, rapporti e proporzioni errate dei testi) all’interno del format. Mi limito a rilevare il grossolano errore commesso nella composizione del messaggio testuale, in cui si è anteposto il pay-off (“En alguerés, té més gust”) alla body copy, che nel caso del soggetto cui faccio riferimento è “L’alguerés també és de casa. Dóna-li vida!”, tradotto: Anche l’algherese è di casa. Dagli vita!
Al di là degli errori di codifica del messaggio, che pure pesano, l’aspetto che da algherese mi ha colpito maggiormente è stato constatare la totale assenza di una immagine, anche un piccolo scorcio, un angolo nascosto della città, o il volto rugoso e “genuino” di un nostro anziano. Si intende promuovere l’”uso sociale del catalano di Alghero” utilizzando foto in stock anonime, con le quali si potrebbe promuovere qualsiasi cosa: da un ristorante a un oleificio, dal negozio di dolciumi all’abbigliamento premaman, dal menù gastronomico di una tavola calda al depliant di una scuola nuoto per bambini.
E Alghero con la sua storia, cultura, volti, tradizioni... insomma, l’identità catalana dell’Alguer dov’è? Si intende promuovere la nostra parlata, e con essa il grande patrimonio di tradizioni culturali, nascondendo proprio quei simboli cittadini che hanno reso la Barceloneta di Sardegna famosa in Europa? Scusate, ma non capisco. Alghero e l’alguerés meritano molto più di una campagna così omologante. Una campagna banale, stereotipata, perché priva di quella intrinseca qualità caratterizzante lo spirito, la cultura e il vivere algherese: l'originalità identitaria nel contesto sardo.
Provate a sostituire la frase “En alguerés, té més gust” con "Oviesse, non c'è due senza tre" e scoprirete l’inadeguatezza dell'immagine scelta. Discorso analogo per gli altri soggetti. Siamo al low cost della creatività, al catalogo dell'Ikea per stile e format. Pare che questo Paese, anche nella sua periferia, non riesca più ad esprimere le sue qualità uniche, differenzianti.
Goethe nel suo viaggio in Italia era alla ricerca di nuovi stimoli creativi, nuovi paesaggi interiori da osservare per ricavarne arte e poesia; trovò ciò che cercava. Oggi cosa troverebbe? Viviamo nel tempo della saturazione: iper-informazione, iper-offerta, iper-consumo. Il silenzio, gli spazi interiori di riflessione, sono annientati dalla tecnologia, dalle reti di connessione sociale che immobilizzano, con la loro pervasività, ogni minimo sussulto del pensiero.
Sarebbe bastata un’immagine, quella della bravissima artista algherese Franca Masu, per promuovere quel condensato di significati racchiuso nei suoni dolci del nostro Català de l’Alguer. La quantità, il numero dei soggetti, non può sopperire alla mancanza di qualità.
Così è l’apoteosi dell’horror vacui.
Goethe nel suo viaggio in Italia era alla ricerca di nuovi stimoli creativi, nuovi paesaggi interiori da osservare per ricavarne arte e poesia; trovò ciò che cercava. Oggi cosa troverebbe? Viviamo nel tempo della saturazione: iper-informazione, iper-offerta, iper-consumo. Il silenzio, gli spazi interiori di riflessione, sono annientati dalla tecnologia, dalle reti di connessione sociale che immobilizzano, con la loro pervasività, ogni minimo sussulto del pensiero.
Sarebbe bastata un’immagine, quella della bravissima artista algherese Franca Masu, per promuovere quel condensato di significati racchiuso nei suoni dolci del nostro Català de l’Alguer. La quantità, il numero dei soggetti, non può sopperire alla mancanza di qualità.
Così è l’apoteosi dell’horror vacui.
Franco Donnini è consulente alla comunicazione d'impresa e politica. Social media strategist.
Altri in
Recenti in
Recenti in
Commenti