Questa fu la settimana che fu
Diario, 17 – 23 marzo 2013
L'inutilità del voto utile. Il Movimento 5*
Il Movimento 5* pare voler produrre il peggior esito di una forza politica: trasformare il successo del “voto utile” in una totale inutilità. Si può essere in disaccordo con Grillo e il suo Movimento, per quello che vale io lo sono, ma sicuramente aver raccolto un quarto dei voti dell'elettorato non è solo capacità di coagulare il disaggio ma esprime anche la necessità del cambiamento.
Non ritengo che il cambiamento debba finalizzarsi nell'eliminazione dei corpi intermedi, i partiti, ma in una loro trasformazione sì; non credo che il cambiamento consista nell'eliminazione dei “costi della politica”, ma in una loro riduzione sì; non credo che il cambiamento consista nell'eliminazione delle istituzioni, ma sicuramente nella loro capacità di corrispondere ai bisogni della società sì (certo si può azzerare tutto con una rivoluzione dei rapporti sociali di produzione, ma non mi pare né che il Movimento 5* l'abbia come obiettivo, né che sia all'ordine del giorno).
Senza esaltarsi, senza pensare che il cambiamento richiesto sia facile e alla portata delle nostre mani, è certo che quel voto ha segnato lo schieramento politico, e in particolare ha modificato metodi, uomini e obiettivi del centro-sinistra. Se il Movimento 5* non coglie l'occasione favorevole che gli si presenta, fa torto al voto utile per il cambiamento, che l'ha portata al successo, e lo trasforma in un voto inutile.
Non dico questo sulla base della “ragionevolezza e gradualità” che bisogna assumere per il cambiamento, ma sulla base dell'opportunità che si spreca e non è detto che ritorni.
Se non sarà possibile la costituzione di un governo in questa XVII legislatura, non è detto che la XVIII sia più favorevole. Non è affatto sicuro che il Movimento 5* possa ancora crescere, ma è sicuro che non raggiungerà quel 100% al quale aspira Grillo, ma neanche il 51%, mentre è probabile che possano cambiare i rapporti di forza tra le forze del cambiamento, oggi prevalenti, e quelle della conservazione.
Il Movimento 5* è di fronte a una scelta: utilizzare l'opportunità che esso stesso ha creato, o trasformarsi in un episodio irrilevante della lotta politica italiana.
Uomini e nomi per il governo e la presidenza della Repubblica. Niente furbizie
I nomi che si fanno e che comunque saranno proposti per il governo, non devo né possono costituire “specchietti per le allodole”. Assunta la linea del ricambio e la necessità di trovare anche fuori dai partiti e dal Parlamento personalità di valore, va portata avanti con intelligenza e determinazione. Persone di alto profilo, come si dice, competenti e determinate a portare avanti una politica di innovazione adatta a risolvere i problemi degli italiani. Fare i “furbi” non sarebbe una buona cosa, lanciare esche si rischia di restare con il carniere vuoto. Serietà e determinazione, questa linea forse può essere quella vincente. Tra i nomi fatti si può cogliere una linea giusta, ma anche qualche sbandamento furbo.
Le personalità di cui si parla per la presidenza della Repubblica, sono tutte degne, ma manca lo scarto. Il centro-sinistra deve operare uno scarto. Esistono personalità di garanzia e degne anche fuori dai nomi che circolano.
Cipro
L’imposizione della UE al governo di Cipro perché introducesse un prelievo forzoso su tutti i depositi bancari qualsiasi fosse la cifra depositata (non si capisce se la proposta sia venuta dalla Commissione o da qualche altro organo, più o meno ufficiale) desta, non solo preoccupazione ma spiattella, ove ce ne fosse bisogno, l’ideologia reazionaria che guida la UE.
La proposta, dagli esiti dirompenti, non solo a Cipro ma in molti altri paesi in crisi (tra cui l’Italia), appare squilibrata: il 6,75% su depositi fino a 100.000€ e il 9,99% su quelli superiori (va notato l’uso del 99 come il verduraio che tenta di guadagnarsi l’apprezzamento dei clienti, con il prezzo inferiore a 10). Il peso di sottrarre 675 € su un conto corrente di 10.000€ è diverso che sottrarre 99.900€ su un conto di 1.000.000€. Non è un caso che il governo cipriota sta tentando una rimodulazione di tale prelievo, di cui non si capisce ancora la logica (20% per i depositi alla Banca di Cipro superiori a 100.000 euro e il 4% per quelli presso le altre banche).
Si dice che Cipro sia un “paradiso fiscale” dove affluisce il riciclaggio di molti affari non puliti (soprattutto Russi), non so ma non stento a crederci, ma allora, la UE provveda con i suoi regolamenti ad evitare ciò (e si occupi meno di formaggi), il provvedimento imposto a Cipro, come è ovvio, preoccupa tutti i piccoli risparmiatori della comunità, soprattutto quelli dei paesi in crisi.
Non è strano se sempre più persone si chiedono quale sia il vantaggio di stare dentro la UE. Per il salvataggio delle banche i provvedimenti non mancano, mentre per salvare i cittadini non solo non si fa niente ma si tosano continuamente a favore della speculazione finanziari. Se in Italia cresce un convincimento sfavorevole alla UE la colpa non è di Grillo, ma delle politiche imposte.
I debiti dello Stato verso le imprese: un favore alle banche o alle imprese?
(Il Governo pare si avvii a varare un qualche provvedimento per saldare i debiti della Pubblica Amministrazione verso i propri fornitori. C'è il rischio che il provvedimento finisca non tanto per immettere liquidità nelle imprese, ma a salvaguardare le Banche (fermo restando che lo Stato deve pagare). Discutendo con il mio amico Angelo, di cui di seguito pubblico un esempio da lui elaborato per rendere chiaro alcuni dei probabili meccanismi, si è convenuto che lo Stato non potendo introdurre vincoli di uso del pagamento ai suoi creditori, dovrebbe pagare cash. Perché non è neanche pensabile, date le politiche adottate dal nostro sistema bancario, che l'eventuale saldo del debito contratto dall'impresa in ragione del suo credito verso la pubblica amministrazione, produca un allargamento del credito verso la stessa impresa.)
Supponiamo che l’impresa abbia già avuto finanziato, da una banca, quel credito che vanta dall'Amministrazione pubblica (sia con cessione pro solvendo sia pro soluto, sia con procura all’incasso “in rem propriam”), quel credito fa parte del bilancio aziendale. Tutti i fidi o i crediti che un’impresa ha ottenuto dal mercato sono basati sui dati di bilancio di cui questi crediti sono parte sostanziale. La cessione del credito comporta che la banca acquisisce quel credito che viene sottratto così dal complesso dell’attivo dell’impresa. Rendere liquido quel tale credito, può sembrare un'operazione favorevole per l’ impresa e per tutti i creditori. Ma occorre essere certi che quella liquidità “generosamente” immessa dalla banca nell’azienda non vada a coprire crediti chirografi già della banca, nel qual caso tutto diventa un'operazione a danno degli altri creditori.
Se una impresa avesse un credito nei confronti dello stato di 120.000 euro ed esposizione verso la banca di 100.000 euro, inoltre, crediti da parte di clienti per altri 200.000 e debiti verso fornitori maestranze, stato ecc per altri 300.000, la situazione potrebbe così sintetizzarsi: crediti 320.000 (120.000+200.000), debiti 400.000, (100.000+300.000) (per semplificare fingiamo che non ci sia magazzino). Se i creditori pagassero all'impresa il loro credito (320.000) questa potrebbe pagare l’80% dei suoi debiti (320.000/400.00); alla banca, in condizione di parità tra creditori, toccherebbero 80.000 euro con un perdita di 20.000 euro.
Nel momento in cui il debito dello stato viene e diventa riconosciuto ed esigibile l'impresa se lo fa anticipare dalla banca al costo del 10% , allora il credito dei 120.000 euro verso lo stato consentirà una incasso di 108.000 (120.000 - 10%); di questi la banca 100.000 se li trattiene per estinguere il debito pregresso (ammesso che non ci siano interessi già maturati e non pagati) per cui la liquidità immessa nell'impresa sarà di solo 8.000 euro. La situazione, a questo punto, sarà: crediti nei confronti dei clienti 200.000, debiti 300.000 il che vuol dire che i creditori dell’impresa, ammesso che i 200.000 euro vengano pagati per intero, incasserebbero solo il 66,6% invece dell’ 80% della situazione precedente, mentre le banche avrebbero il proprio credito completamente pagato (ai danni degli altri creditori). E se tra questi creditori ci fosse pure lo stato per crediti non privilegiati, non essendo ammessa la compensazione, come Monti ha già ampiamente e con un moto d’ira espresso pubblicamente, chi ci perde è proprio lo stato che i suoi crediti li perde e i suoi debiti li paga.
Sulla pelle dei due Marò
Certo per un governo che ha avuto nel suo programma la rifondazione della presenza italiana a livello internazionale il pasticcio che il nostro ministro degli esteri e quello della difesa hanno costruito con l’India costituisce oltre che una vergogna nazionale un episodio in contraddizione con quell'obiettivo. Come è noto due Marò sono accusati di avere ucciso dei pescatori scambiandoli per pirati in acque internazionali. I due Marò sono sotto processo in India, paese che ha concesso loro un permesso di raggiungere l’Italia a Natale e recentemente un “licenza” di 40 giorni per votare. Questa ultima volta il governo ha deciso di non rispettare l’impegno preso e ha trattenuto i due Marò in Italia. Per contromisura il governo indiano ha “sequestrato” l’ambasciatore italiano che non potrà lasciare il paese.
Orgogliosamente il governo Italiano decide di far rientrare in India i due Marò. Evidentemente il ministro degli esteri e della difesa non hanno saputo prevedere la reazione del governo indiano e si piegano a quello che loro chiamano un sopruso contro il diritto internazionale. Ma come valuta il non rispetto dei patti questo governo? Un affare privato?
Ma c’è di peggio, per giustificare la sciocchezza fatta il governo dichiara che il governo indiano si è impegnato a non applicare la pena di morte ai due Marò.
Una balla bella e buona, un governo non si può impegnare su un atto di un organo indipendente come la magistratura, ma il peggio è che con questa dichiarazione il governo condanna i due Marò, il governo italiano li ritiene colpevoli ma si adopera per difenderli dalla pena di morte.
Insomma prima ci liberiamo dei tecnici meglio sarà per il paese.
Citazioni: nel bene e nel male
Joseph E. Stiglitz, La Repubblica, 20 marzo 2013: “I mercati, anche quando sono stabili, producono spesso forti disuguaglianze, percepite come inique. La crisi finanziaria ha scatenato una nuova percezione: il sistema economico è non solo inefficiente e instabile, ma anche profondamente iniquo.... Consideriamo per un momento ciò che un'economia mondiale interamente globalizzata (con i capitali e la conoscenza che circola liberamente) comporterebbe: tutti i lavoratori con le medesime abilità, dovrebbero ricevere lo stesso salario in qualunque posto del mondo. I lavoratori americani non specializzati dovrebbero ottenere lo stesso salario che un lavoratore non specializzato otterrebbe in Cina. Ciò significa che i salari dei lavoratori americani cadrebbero precipitosamente.... Come l'evidenza empirica dimostra, una maggiore disuguaglianza non ha portato ad una più alta crescita... Le 358 persone più ricche al mondo hanno una ricchezza pari a quella del 45% più povero della popolazione mondiale. … Più in generale, l'1% più ricco degli individui detiene circa il 40% della ricchezza mondiale; il 50% più povero della popolazione mondiale detiene solo l'1% della ricchezza complessiva. … Con le opportune politiche possiamo migliorare la situazione. La domanda è: possiamo farlo? si, a patto che il 99% della popolazione si accorga di essere stata ingannata dall'1%. L'1% ha lavorato sodo per convincere il resto della società che un mondo alternativo non è possibile.” (quello pubblicato da La Repubblica, qui citato, è un estratto di un articolo dello stesso autore insieme Mauro Gallegati pubblicato su MicroMega n. 3 - almanacco di economia – un numero pieno di cose interessanti e consigliato. Chi volesse approfondire il punto di vista di Stiglitz ha ora a disposizione il suo saggio, Il prezzo della diseguaglianza, pubblicato da Einaudi).
Mario Pianta, MicroMega, n. 3 2013, Almanacco di Economia: “Oggi l'ingiustizia più grande del paese non sono le tasse,non è la precarietà, non è la disoccupazione provocata dalla crisi, non è nemmeno la casta dei politici: e la disuguaglianza. É questa l'ingiustizia in cui confluiscono tutte le precedenti, il fenomeno che indebolisce l'economia, frammenta la società, snatura la politica.”
Alessandro Roncaglia, MicroMega, n. 3 2013, Almanacco di Economia: “Oggi, difronte alla tesi di una contrapposizione tra l'1% dei sempre più ricchi e il 99%vche sente il morso della crisi, l'analisi e le osservazioni critiche di Sylos Labini (nei riguardi della dinamica delle classi e della politica del PCI) tornano di attualità: la diversificazione di interessi e di orientamenti culturali e politici in senso lato all'interno del 99% dei meno ricchi è troppo ampia per pensare che questa dicotomia possa avere una valenza politica risolutiva. Al di là delle dichiarazioni di principio, che pure hanno una loro indubbia dignità, la costruzione di uno schieramento progressista deve articolarsi nell'alleanza tra stati meno abbienti e strati importanti dei ceto medi.” (La posizione di Roncaglia è chiara anche da questa sola frase. La si può condividere; ma come si costruisce questa alleanza non solo non è cosa semplice, ma presuppone una modalità di lotta politica e culturale complessa e di cui non si vedano neanche i primi vagiti; avendo a che fare con schieramenti molto interclassisti, ma contrapposti, la questione si complica ulteriormente. La cosa certa, come le ultime elezioni hanno dimostrato, è l'inesistenza di una “popolo di sinistra” pronto, disponibile e fremente in attesa di un leader.)
L'inutilità del voto utile. Il Movimento 5*
Il Movimento 5* pare voler produrre il peggior esito di una forza politica: trasformare il successo del “voto utile” in una totale inutilità. Si può essere in disaccordo con Grillo e il suo Movimento, per quello che vale io lo sono, ma sicuramente aver raccolto un quarto dei voti dell'elettorato non è solo capacità di coagulare il disaggio ma esprime anche la necessità del cambiamento.
Non ritengo che il cambiamento debba finalizzarsi nell'eliminazione dei corpi intermedi, i partiti, ma in una loro trasformazione sì; non credo che il cambiamento consista nell'eliminazione dei “costi della politica”, ma in una loro riduzione sì; non credo che il cambiamento consista nell'eliminazione delle istituzioni, ma sicuramente nella loro capacità di corrispondere ai bisogni della società sì (certo si può azzerare tutto con una rivoluzione dei rapporti sociali di produzione, ma non mi pare né che il Movimento 5* l'abbia come obiettivo, né che sia all'ordine del giorno).
Senza esaltarsi, senza pensare che il cambiamento richiesto sia facile e alla portata delle nostre mani, è certo che quel voto ha segnato lo schieramento politico, e in particolare ha modificato metodi, uomini e obiettivi del centro-sinistra. Se il Movimento 5* non coglie l'occasione favorevole che gli si presenta, fa torto al voto utile per il cambiamento, che l'ha portata al successo, e lo trasforma in un voto inutile.
Non dico questo sulla base della “ragionevolezza e gradualità” che bisogna assumere per il cambiamento, ma sulla base dell'opportunità che si spreca e non è detto che ritorni.
Se non sarà possibile la costituzione di un governo in questa XVII legislatura, non è detto che la XVIII sia più favorevole. Non è affatto sicuro che il Movimento 5* possa ancora crescere, ma è sicuro che non raggiungerà quel 100% al quale aspira Grillo, ma neanche il 51%, mentre è probabile che possano cambiare i rapporti di forza tra le forze del cambiamento, oggi prevalenti, e quelle della conservazione.
Il Movimento 5* è di fronte a una scelta: utilizzare l'opportunità che esso stesso ha creato, o trasformarsi in un episodio irrilevante della lotta politica italiana.
Uomini e nomi per il governo e la presidenza della Repubblica. Niente furbizie
I nomi che si fanno e che comunque saranno proposti per il governo, non devo né possono costituire “specchietti per le allodole”. Assunta la linea del ricambio e la necessità di trovare anche fuori dai partiti e dal Parlamento personalità di valore, va portata avanti con intelligenza e determinazione. Persone di alto profilo, come si dice, competenti e determinate a portare avanti una politica di innovazione adatta a risolvere i problemi degli italiani. Fare i “furbi” non sarebbe una buona cosa, lanciare esche si rischia di restare con il carniere vuoto. Serietà e determinazione, questa linea forse può essere quella vincente. Tra i nomi fatti si può cogliere una linea giusta, ma anche qualche sbandamento furbo.
Le personalità di cui si parla per la presidenza della Repubblica, sono tutte degne, ma manca lo scarto. Il centro-sinistra deve operare uno scarto. Esistono personalità di garanzia e degne anche fuori dai nomi che circolano.
Cipro
L’imposizione della UE al governo di Cipro perché introducesse un prelievo forzoso su tutti i depositi bancari qualsiasi fosse la cifra depositata (non si capisce se la proposta sia venuta dalla Commissione o da qualche altro organo, più o meno ufficiale) desta, non solo preoccupazione ma spiattella, ove ce ne fosse bisogno, l’ideologia reazionaria che guida la UE.
La proposta, dagli esiti dirompenti, non solo a Cipro ma in molti altri paesi in crisi (tra cui l’Italia), appare squilibrata: il 6,75% su depositi fino a 100.000€ e il 9,99% su quelli superiori (va notato l’uso del 99 come il verduraio che tenta di guadagnarsi l’apprezzamento dei clienti, con il prezzo inferiore a 10). Il peso di sottrarre 675 € su un conto corrente di 10.000€ è diverso che sottrarre 99.900€ su un conto di 1.000.000€. Non è un caso che il governo cipriota sta tentando una rimodulazione di tale prelievo, di cui non si capisce ancora la logica (20% per i depositi alla Banca di Cipro superiori a 100.000 euro e il 4% per quelli presso le altre banche).
Si dice che Cipro sia un “paradiso fiscale” dove affluisce il riciclaggio di molti affari non puliti (soprattutto Russi), non so ma non stento a crederci, ma allora, la UE provveda con i suoi regolamenti ad evitare ciò (e si occupi meno di formaggi), il provvedimento imposto a Cipro, come è ovvio, preoccupa tutti i piccoli risparmiatori della comunità, soprattutto quelli dei paesi in crisi.
Non è strano se sempre più persone si chiedono quale sia il vantaggio di stare dentro la UE. Per il salvataggio delle banche i provvedimenti non mancano, mentre per salvare i cittadini non solo non si fa niente ma si tosano continuamente a favore della speculazione finanziari. Se in Italia cresce un convincimento sfavorevole alla UE la colpa non è di Grillo, ma delle politiche imposte.
I debiti dello Stato verso le imprese: un favore alle banche o alle imprese?
(Il Governo pare si avvii a varare un qualche provvedimento per saldare i debiti della Pubblica Amministrazione verso i propri fornitori. C'è il rischio che il provvedimento finisca non tanto per immettere liquidità nelle imprese, ma a salvaguardare le Banche (fermo restando che lo Stato deve pagare). Discutendo con il mio amico Angelo, di cui di seguito pubblico un esempio da lui elaborato per rendere chiaro alcuni dei probabili meccanismi, si è convenuto che lo Stato non potendo introdurre vincoli di uso del pagamento ai suoi creditori, dovrebbe pagare cash. Perché non è neanche pensabile, date le politiche adottate dal nostro sistema bancario, che l'eventuale saldo del debito contratto dall'impresa in ragione del suo credito verso la pubblica amministrazione, produca un allargamento del credito verso la stessa impresa.)
Supponiamo che l’impresa abbia già avuto finanziato, da una banca, quel credito che vanta dall'Amministrazione pubblica (sia con cessione pro solvendo sia pro soluto, sia con procura all’incasso “in rem propriam”), quel credito fa parte del bilancio aziendale. Tutti i fidi o i crediti che un’impresa ha ottenuto dal mercato sono basati sui dati di bilancio di cui questi crediti sono parte sostanziale. La cessione del credito comporta che la banca acquisisce quel credito che viene sottratto così dal complesso dell’attivo dell’impresa. Rendere liquido quel tale credito, può sembrare un'operazione favorevole per l’ impresa e per tutti i creditori. Ma occorre essere certi che quella liquidità “generosamente” immessa dalla banca nell’azienda non vada a coprire crediti chirografi già della banca, nel qual caso tutto diventa un'operazione a danno degli altri creditori.
Se una impresa avesse un credito nei confronti dello stato di 120.000 euro ed esposizione verso la banca di 100.000 euro, inoltre, crediti da parte di clienti per altri 200.000 e debiti verso fornitori maestranze, stato ecc per altri 300.000, la situazione potrebbe così sintetizzarsi: crediti 320.000 (120.000+200.000), debiti 400.000, (100.000+300.000) (per semplificare fingiamo che non ci sia magazzino). Se i creditori pagassero all'impresa il loro credito (320.000) questa potrebbe pagare l’80% dei suoi debiti (320.000/400.00); alla banca, in condizione di parità tra creditori, toccherebbero 80.000 euro con un perdita di 20.000 euro.
Nel momento in cui il debito dello stato viene e diventa riconosciuto ed esigibile l'impresa se lo fa anticipare dalla banca al costo del 10% , allora il credito dei 120.000 euro verso lo stato consentirà una incasso di 108.000 (120.000 - 10%); di questi la banca 100.000 se li trattiene per estinguere il debito pregresso (ammesso che non ci siano interessi già maturati e non pagati) per cui la liquidità immessa nell'impresa sarà di solo 8.000 euro. La situazione, a questo punto, sarà: crediti nei confronti dei clienti 200.000, debiti 300.000 il che vuol dire che i creditori dell’impresa, ammesso che i 200.000 euro vengano pagati per intero, incasserebbero solo il 66,6% invece dell’ 80% della situazione precedente, mentre le banche avrebbero il proprio credito completamente pagato (ai danni degli altri creditori). E se tra questi creditori ci fosse pure lo stato per crediti non privilegiati, non essendo ammessa la compensazione, come Monti ha già ampiamente e con un moto d’ira espresso pubblicamente, chi ci perde è proprio lo stato che i suoi crediti li perde e i suoi debiti li paga.
Sulla pelle dei due Marò
Certo per un governo che ha avuto nel suo programma la rifondazione della presenza italiana a livello internazionale il pasticcio che il nostro ministro degli esteri e quello della difesa hanno costruito con l’India costituisce oltre che una vergogna nazionale un episodio in contraddizione con quell'obiettivo. Come è noto due Marò sono accusati di avere ucciso dei pescatori scambiandoli per pirati in acque internazionali. I due Marò sono sotto processo in India, paese che ha concesso loro un permesso di raggiungere l’Italia a Natale e recentemente un “licenza” di 40 giorni per votare. Questa ultima volta il governo ha deciso di non rispettare l’impegno preso e ha trattenuto i due Marò in Italia. Per contromisura il governo indiano ha “sequestrato” l’ambasciatore italiano che non potrà lasciare il paese.
Orgogliosamente il governo Italiano decide di far rientrare in India i due Marò. Evidentemente il ministro degli esteri e della difesa non hanno saputo prevedere la reazione del governo indiano e si piegano a quello che loro chiamano un sopruso contro il diritto internazionale. Ma come valuta il non rispetto dei patti questo governo? Un affare privato?
Ma c’è di peggio, per giustificare la sciocchezza fatta il governo dichiara che il governo indiano si è impegnato a non applicare la pena di morte ai due Marò.
Una balla bella e buona, un governo non si può impegnare su un atto di un organo indipendente come la magistratura, ma il peggio è che con questa dichiarazione il governo condanna i due Marò, il governo italiano li ritiene colpevoli ma si adopera per difenderli dalla pena di morte.
Insomma prima ci liberiamo dei tecnici meglio sarà per il paese.
Citazioni: nel bene e nel male
Joseph E. Stiglitz, La Repubblica, 20 marzo 2013: “I mercati, anche quando sono stabili, producono spesso forti disuguaglianze, percepite come inique. La crisi finanziaria ha scatenato una nuova percezione: il sistema economico è non solo inefficiente e instabile, ma anche profondamente iniquo.... Consideriamo per un momento ciò che un'economia mondiale interamente globalizzata (con i capitali e la conoscenza che circola liberamente) comporterebbe: tutti i lavoratori con le medesime abilità, dovrebbero ricevere lo stesso salario in qualunque posto del mondo. I lavoratori americani non specializzati dovrebbero ottenere lo stesso salario che un lavoratore non specializzato otterrebbe in Cina. Ciò significa che i salari dei lavoratori americani cadrebbero precipitosamente.... Come l'evidenza empirica dimostra, una maggiore disuguaglianza non ha portato ad una più alta crescita... Le 358 persone più ricche al mondo hanno una ricchezza pari a quella del 45% più povero della popolazione mondiale. … Più in generale, l'1% più ricco degli individui detiene circa il 40% della ricchezza mondiale; il 50% più povero della popolazione mondiale detiene solo l'1% della ricchezza complessiva. … Con le opportune politiche possiamo migliorare la situazione. La domanda è: possiamo farlo? si, a patto che il 99% della popolazione si accorga di essere stata ingannata dall'1%. L'1% ha lavorato sodo per convincere il resto della società che un mondo alternativo non è possibile.” (quello pubblicato da La Repubblica, qui citato, è un estratto di un articolo dello stesso autore insieme Mauro Gallegati pubblicato su MicroMega n. 3 - almanacco di economia – un numero pieno di cose interessanti e consigliato. Chi volesse approfondire il punto di vista di Stiglitz ha ora a disposizione il suo saggio, Il prezzo della diseguaglianza, pubblicato da Einaudi).
Mario Pianta, MicroMega, n. 3 2013, Almanacco di Economia: “Oggi l'ingiustizia più grande del paese non sono le tasse,non è la precarietà, non è la disoccupazione provocata dalla crisi, non è nemmeno la casta dei politici: e la disuguaglianza. É questa l'ingiustizia in cui confluiscono tutte le precedenti, il fenomeno che indebolisce l'economia, frammenta la società, snatura la politica.”
Alessandro Roncaglia, MicroMega, n. 3 2013, Almanacco di Economia: “Oggi, difronte alla tesi di una contrapposizione tra l'1% dei sempre più ricchi e il 99%vche sente il morso della crisi, l'analisi e le osservazioni critiche di Sylos Labini (nei riguardi della dinamica delle classi e della politica del PCI) tornano di attualità: la diversificazione di interessi e di orientamenti culturali e politici in senso lato all'interno del 99% dei meno ricchi è troppo ampia per pensare che questa dicotomia possa avere una valenza politica risolutiva. Al di là delle dichiarazioni di principio, che pure hanno una loro indubbia dignità, la costruzione di uno schieramento progressista deve articolarsi nell'alleanza tra stati meno abbienti e strati importanti dei ceto medi.” (La posizione di Roncaglia è chiara anche da questa sola frase. La si può condividere; ma come si costruisce questa alleanza non solo non è cosa semplice, ma presuppone una modalità di lotta politica e culturale complessa e di cui non si vedano neanche i primi vagiti; avendo a che fare con schieramenti molto interclassisti, ma contrapposti, la questione si complica ulteriormente. La cosa certa, come le ultime elezioni hanno dimostrato, è l'inesistenza di una “popolo di sinistra” pronto, disponibile e fremente in attesa di un leader.)
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