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Si risveglia da un incubo un innocente accusato di stupro
Finito il calvario per un operaio algherese, assolto con formula piena, dopo due anni di accuse.
Due anni di inferno e ieri la sentenza che riconosce la sua innocenza.
Per Riccardo Busdraghi, 44 anni, operaio, molto conosciuto in città anche come promotore di eventi musicali, è la fine di un incubo iniziato nel 2010, quando è stato accusato di aver stuprato una turista tedesca.
Era la notte del 9 settembre. La donna, che alloggiava in un appartamento della Pietraia, di proprietà del suo compagno, è stata violentata da due o addirittura tre persone che si sono introdotte nell'abitazione.
In lacrime ed in stato confusionale, alcune ore dopo il fatto, era stata intercettata da una pattuglia dei carabinieri che in un primo momento l'hanno accompagnata dal compagno, che viveva in un'altra casa, e la mattina dopo all’ospedale civile, dove sono stati accertati i segni della violenza subita e curate le lesioni riportate in tutto il corpo.
Il giorno dopo i fatti, su richiesta del compagno della vittima, Busdraghi, che aveva un copia delle chiavi dell’appartamento, in quanto saltuariamente lo affittava per conto del proprietario, si è recato presso il luogo del delitto e, una volta constatato che la casa era a soqquadro, ha avvertito il padrone di casa ed è andato via. Era l'inizio del suo calvario.
La circostanza che fosse in possesso delle chiavi della casa in cui era avvenuta la violenza ed il fatto che, la mattina successiva fosse stato visto entrare in quell’appartamento, ha fatto in modo che subito l’attenzione ed i sospetti dell’autorità inquirente si concentrassero sulla sua figura.
Sospetti che poi sono diventati una vera e propria imputazione quando la vittima, che aveva in un primo momento ha dichiarato di non ricordare nulla, ha poi iniziato ad accusare proprio l’operaio algherese, indicandolo come uno degli autori della violenza.
A quel punto si è svolto l'incidente probatorio e, davanti al Giudice per le indagini preliminari, la donna, assistita dall'avvocato Elias Vacca, ha confermato l’identificazione di Busdraghi come uno dei suoi aggressori.
Il pubblico Ministero, nel frattempo, ha chiesto che si procedesse al raffronto tra il Dna presente sulle tracce biologiche estrapolate dai Ris nell’abitazione, e quello dell’operaio. Davanti al Gip il responso ha parlato chiaro: non c'era alcuna traccia che potesse essere ricondotta all'accusato.
Ma la macchina giudiziaria non si è fermata e l'uomo è stato rinviato a giudizio con un'accusa pesante: violenza sessuale di gruppo aggravata dall’abuso di condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa, sorpresa durante il sonno, immobilizzata agli arti superiori ed inferiori e colpita ripetutamente al viso ed alla nuca.
All’imputato è stato contestato anche il delitto di violazione di domicilio e di lesioni gravi, per essersi introdotto abusivamente nell’abitazione della donna ed averle cagionato tumefazioni alla palpebra superiore destra, ecchimosi all’avambraccio destro e sinistro, tumefazioni ed ecchimosi alla caviglia destra. Il tutto, ovviamente, oltre alle lesioni nelle regioni genitali, dovute alla violenza. Capi di imputazione che potevano comportare una pena sino a dieci anni di carcere.
Busdraghi, da parte sua, si è sempre difeso sostenendo che, quella notte, rimase a casa con il padre. Il processo si è celebrato con il rito abbreviato davanti al Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Sassari, Maria Teresa Lupinu. Il Pubblico Ministero, Paolo Piras, dopo una breve requisitoria, ha ammesso che, in effetti, la prova era “insufficiente e contraddittoria” e, seppur con formula dubitativa (art. 530 comma secondo c.p.p.), ha chiesto l’assoluzione.
L'avvocato difensore, Edoardo Morette, ha sollecitato, invece, l’assoluzione dell’imputato con formula piena, posto che nelle stesse dichiarazioni della persona offesa vi erano insuperabili contraddizioni (in una prima denuncia dichiarava di non ricordare nulla, poi successivamente di aver riconosciuto Busdraghi dalla voce, poi anche per averlo visto in faccia ed infine, in sede di incidente probatorio, dall’odore).
A ciò si aggiungeva che la prova del Dna aveva dato esito negativo, escludendo la possibilità che –oggettivamente- l’imputato fosse presente nel luogo del delitto.
Infine, una vicina di casa aveva dichiarato di aver scorto, subito dopo i fatti, tre individui uscire dall’abitazione della donna, senza ricollegare nessuno di loro a Busdraghi, che pure aveva visto sia prima che dopo i fatti.
L’alibi dell’uomo, fornito dal padre, secondo cui la notte del delitto era rimasto a casa, rappresentava, quindi, solo il tassello finale che completava la prova della estraneità dell’imputato rispetto al crimine.
Il Giudice ha accolto la tesi difensiva, assolvendo Riccardo Busdraghi con formula piena (530 comma 1), cioè per non aver commesso il fatto.
Si conclude così una vicenda che ha dell'assurdo, che lascia, comunque, l’amaro in bocca. Sia perché un innocente, pur fiducioso nella giustizia, è stato costretto a convivere con una accusa infamante per oltre due anni, prima di veder riconosciuta la sua estraneità ai fatti. E sia perché i colpevoli sono ancora liberi ed impuniti.
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Per Riccardo Busdraghi, 44 anni, operaio, molto conosciuto in città anche come promotore di eventi musicali, è la fine di un incubo iniziato nel 2010, quando è stato accusato di aver stuprato una turista tedesca.
Era la notte del 9 settembre. La donna, che alloggiava in un appartamento della Pietraia, di proprietà del suo compagno, è stata violentata da due o addirittura tre persone che si sono introdotte nell'abitazione.
In lacrime ed in stato confusionale, alcune ore dopo il fatto, era stata intercettata da una pattuglia dei carabinieri che in un primo momento l'hanno accompagnata dal compagno, che viveva in un'altra casa, e la mattina dopo all’ospedale civile, dove sono stati accertati i segni della violenza subita e curate le lesioni riportate in tutto il corpo.
Il giorno dopo i fatti, su richiesta del compagno della vittima, Busdraghi, che aveva un copia delle chiavi dell’appartamento, in quanto saltuariamente lo affittava per conto del proprietario, si è recato presso il luogo del delitto e, una volta constatato che la casa era a soqquadro, ha avvertito il padrone di casa ed è andato via. Era l'inizio del suo calvario.
La circostanza che fosse in possesso delle chiavi della casa in cui era avvenuta la violenza ed il fatto che, la mattina successiva fosse stato visto entrare in quell’appartamento, ha fatto in modo che subito l’attenzione ed i sospetti dell’autorità inquirente si concentrassero sulla sua figura.
Sospetti che poi sono diventati una vera e propria imputazione quando la vittima, che aveva in un primo momento ha dichiarato di non ricordare nulla, ha poi iniziato ad accusare proprio l’operaio algherese, indicandolo come uno degli autori della violenza.
A quel punto si è svolto l'incidente probatorio e, davanti al Giudice per le indagini preliminari, la donna, assistita dall'avvocato Elias Vacca, ha confermato l’identificazione di Busdraghi come uno dei suoi aggressori.
Il pubblico Ministero, nel frattempo, ha chiesto che si procedesse al raffronto tra il Dna presente sulle tracce biologiche estrapolate dai Ris nell’abitazione, e quello dell’operaio. Davanti al Gip il responso ha parlato chiaro: non c'era alcuna traccia che potesse essere ricondotta all'accusato.
Ma la macchina giudiziaria non si è fermata e l'uomo è stato rinviato a giudizio con un'accusa pesante: violenza sessuale di gruppo aggravata dall’abuso di condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa, sorpresa durante il sonno, immobilizzata agli arti superiori ed inferiori e colpita ripetutamente al viso ed alla nuca.
All’imputato è stato contestato anche il delitto di violazione di domicilio e di lesioni gravi, per essersi introdotto abusivamente nell’abitazione della donna ed averle cagionato tumefazioni alla palpebra superiore destra, ecchimosi all’avambraccio destro e sinistro, tumefazioni ed ecchimosi alla caviglia destra. Il tutto, ovviamente, oltre alle lesioni nelle regioni genitali, dovute alla violenza. Capi di imputazione che potevano comportare una pena sino a dieci anni di carcere.
Busdraghi, da parte sua, si è sempre difeso sostenendo che, quella notte, rimase a casa con il padre. Il processo si è celebrato con il rito abbreviato davanti al Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Sassari, Maria Teresa Lupinu. Il Pubblico Ministero, Paolo Piras, dopo una breve requisitoria, ha ammesso che, in effetti, la prova era “insufficiente e contraddittoria” e, seppur con formula dubitativa (art. 530 comma secondo c.p.p.), ha chiesto l’assoluzione.
L'avvocato difensore, Edoardo Morette, ha sollecitato, invece, l’assoluzione dell’imputato con formula piena, posto che nelle stesse dichiarazioni della persona offesa vi erano insuperabili contraddizioni (in una prima denuncia dichiarava di non ricordare nulla, poi successivamente di aver riconosciuto Busdraghi dalla voce, poi anche per averlo visto in faccia ed infine, in sede di incidente probatorio, dall’odore).
A ciò si aggiungeva che la prova del Dna aveva dato esito negativo, escludendo la possibilità che –oggettivamente- l’imputato fosse presente nel luogo del delitto.
Infine, una vicina di casa aveva dichiarato di aver scorto, subito dopo i fatti, tre individui uscire dall’abitazione della donna, senza ricollegare nessuno di loro a Busdraghi, che pure aveva visto sia prima che dopo i fatti.
L’alibi dell’uomo, fornito dal padre, secondo cui la notte del delitto era rimasto a casa, rappresentava, quindi, solo il tassello finale che completava la prova della estraneità dell’imputato rispetto al crimine.
Il Giudice ha accolto la tesi difensiva, assolvendo Riccardo Busdraghi con formula piena (530 comma 1), cioè per non aver commesso il fatto.
Si conclude così una vicenda che ha dell'assurdo, che lascia, comunque, l’amaro in bocca. Sia perché un innocente, pur fiducioso nella giustizia, è stato costretto a convivere con una accusa infamante per oltre due anni, prima di veder riconosciuta la sua estraneità ai fatti. E sia perché i colpevoli sono ancora liberi ed impuniti.
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