Il sapore di quella musica fatta in casa
L'importante è riconoscerne il valore.
Marcello Simula |
Quando uno dice la cultura musicale, ecco, la cultura musicale, secondo me, è quella che puoi conoscere nei locali di Alghero, di notte tardi.
La cultura, secondo me, è quella che viaggia dal bar al pub e viceversa, e attraversa le band che si intrecciano e si mescolano come i generi musicali, gente che prova, che sperimenta, che studia, gente che mette il suo piccolo mattone nella costruzione di quella grande casa che è Alghero.
La loro è la cultura del lavoro manuale, delle cose fatte per bene, del sudore della fronte, la cultura dell'arte nonostante tutto.
Quando li senti suonare, magari per caso, ti avvolge una sensazione nuova, diversa, e loro, i musicisti, i cantanti, sembrano un po' come gli artigiani, quelli che lavorano il ferro, il legno, quelli che fanno le sedie, i coltelli, roba semplice fatta in casa, come tanti anni fa, ogni suono sudato sofferto e creato con impegno e dedizione.
Artisti o artigiani, comunque sia, viene da pensare che forse piacerebbe, ai turisti, assistere alle performance dei musicisti algheresi, gente che costruisce pezzi irripetibili. Ai turisti piacerebbe sapere magari che in un dabasc del centro storico un sabato sera c’è buona musica di quella che non se ne trova in giro, che c’è un una band che arriva di corsa e ti butta giù una serata unica, e non ci sarà mai un concerto uguale, né prima né dopo, e la loro creazione resta lì, come adesso mai più e mai prima, e lo fanno con tanta semplicità e con certi sorrisi in faccia, sembra quasi che questa musica dei locali algheresi stia lì a ricordarci che siamo tutti fatti di pasta di argilla - o molecole, atomi e quant'altro - e che, considerato che dio non esiste - e se esiste, al momento è quantomeno distratto - nel tempo che ci è dato da vivere abbiamo ancora una via di salvezza, il funk. O il blues. O forse il rock. O il jazz.
Forse alla fine non è neanche importante trovare un nome o una definizione: una volta che siamo a contatto con una ricchezza di questo genere, l’unica cosa che importa è riconoscerla, e darle il giusto valore.
La loro è la cultura del lavoro manuale, delle cose fatte per bene, del sudore della fronte, la cultura dell'arte nonostante tutto.
Quando li senti suonare, magari per caso, ti avvolge una sensazione nuova, diversa, e loro, i musicisti, i cantanti, sembrano un po' come gli artigiani, quelli che lavorano il ferro, il legno, quelli che fanno le sedie, i coltelli, roba semplice fatta in casa, come tanti anni fa, ogni suono sudato sofferto e creato con impegno e dedizione.
Artisti o artigiani, comunque sia, viene da pensare che forse piacerebbe, ai turisti, assistere alle performance dei musicisti algheresi, gente che costruisce pezzi irripetibili. Ai turisti piacerebbe sapere magari che in un dabasc del centro storico un sabato sera c’è buona musica di quella che non se ne trova in giro, che c’è un una band che arriva di corsa e ti butta giù una serata unica, e non ci sarà mai un concerto uguale, né prima né dopo, e la loro creazione resta lì, come adesso mai più e mai prima, e lo fanno con tanta semplicità e con certi sorrisi in faccia, sembra quasi che questa musica dei locali algheresi stia lì a ricordarci che siamo tutti fatti di pasta di argilla - o molecole, atomi e quant'altro - e che, considerato che dio non esiste - e se esiste, al momento è quantomeno distratto - nel tempo che ci è dato da vivere abbiamo ancora una via di salvezza, il funk. O il blues. O forse il rock. O il jazz.
Forse alla fine non è neanche importante trovare un nome o una definizione: una volta che siamo a contatto con una ricchezza di questo genere, l’unica cosa che importa è riconoscerla, e darle il giusto valore.
Ad Angelo, Marco, Sergio, Antonio, Davide, Andrea, Stefano, Anita, Giordano, Francesco, Marco, Gianluca, Gianmario, Agostino, Bachisio, a tutti gli altri, a quelli che ci sono stati e a quelli che ci saranno, grazie.
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