La povertà evangelica del nuovo Papa
Vi racconto la mia esperienza.
Carlo Mannoni |
Stipati in due Cinquecento, guidati dall'infaticabile Zino Squintu (con me, tra gli altri, Giuseppe Pilo e Pino Uneddu), arrivammo a Bindua, abitata da gente poverissima, per una giornata di intensa spiritualità.
Al mattino un lungo colloquio con Fratel Carlo, il prete del deserto, come veniva allora chiamato per i suoi dieci anni passati nel silenzio e nella preghiera nel deserto del Sahara.
Al pomeriggio, prima del rientro a Sassari (io avrei proseguito per Alghero), l'incontro con un prete-operaio francese appena rientrato dal lungo turno in galleria, che ci confessò e col quale ci comunicammo.
Ho
voluto citare questa mia esperienza giovanile per testimoniare una Chiesa
autenticamente vicina ai poveri, di
cui Papa Francesco sembra voler essere
oggi l'interprete vero.
In
questo brano, tratto dalla "Memoria storica audiovisiva della Sardegna" della Società Umanitaria,
la descrizione della vita dei preti-operai a Bindua:
Preti
operai
"I turni di lavoro hanno una durata di otto ore. Quello dalle 23 della sera alle 7 del giorno successivo è detto "dei principi", perché viene svolto dagli uomini più forti. Tra i quattrocento operai della miniera vi è un perforatore, che parla un italiano dall'accento francese. È un giovane alsaziano di nome Gerardo, giunto in Sardegna perché "crede nel Vangelo"; egli è infatti un novizio che entrerà nell'Ordine dei Piccoli Fratelli di Gesù. Intervistato, Fratel Gerardo afferma che il problema dei minatori dell'iglesiente è essenzialmente economico. Il lavoro in miniera, infatti, garantisce appena il denaro per vivere. Qui, sino al dopoguerra, anche circa sessanta donne lavoravano nel ventre della terra. In passato, la politica autarchica del Regime Fascista fece delle miniere del Sulcis un miraggio di ricchezze. Dopo la caduta di Mussolini, il 55% circa delle miniere chiuse i battenti. A Bindua, i servizi sono ridotti al minimo. Vi sono un bar, che funge anche da latteria, spaccio di generi alimentari e posto telefonico pubblico, e una barberia. L'acqua viene erogata per poche ore al giorno e molte case non sono neanche dotate dell'impianto per riceverla. Fratel Gerardo vive con Fratello Paolo e Fratello Ettore. Essi, oltre ad offrire il loro aiuto alla popolazione, attraverso il lavoro, celebrano la messa per i fedeli. La guida della piccola comunità religiosa di Bindua è Fratello Paolo che, essendo già sacerdote, non scende in miniera. L'abitazione dei tre religiosi si distingue dalle altre per una croce di legno sulla porta. All'interno, oltre alle stanze e alla cucina, è stata realizzata una cappella. A Bindua, infatti, non vi è una chiesa. L'intervista a Fratello Paolo rivela che egli è in paese da circa sei anni (vi è arrivato il 7 agosto 1957). Il padre superiore del suo ordine ha visto nella zona mineraria un luogo abbandonato, in cui la gente aveva bisogno d'aiuto. I giovani abbandonano presto il piccolo centro dell'iglesiente, così che vi restano solo i vecchi e i bambini, di cui il film mostra diverse sequenze. Fratello Ettore è arrivato di recente a Bindua, egli è un giovane sud - americano che ancora non parla italiano. In paese non ha un lavoro fisso, svolge quindi le mansioni più urgenti. Il filmato termina con le riprese del lavoro dei minatori. In chiusura, la voce fuori campo afferma che, mentre si stava montando il servizio, Fratello Paolo è partito in Camerun: continuerà in Africa l'opera iniziata in Sardegna."
Altri in
Recenti in
Recenti in
Commenti