L'attualità del pensiero di Gramsci
Il 27 aprile 1937 moriva a Roma Antonio Gramsci, fondatore e leader del PCI, incarcerato dal regime fascista (nonostante l’immunità parlamentare) e condannato dal tribunale speciale a venti anni di carcere. Il PM Isgrò, per invocare la condanna di Antonio Gramsci, espresse l’esigenza dei capi del fascismo: “Bisogna impedire al cervello di Gramsci di funzionare per venti anni.”
Il terrore dei capi del fascismo nei confronti dell’intellettuale sardo era fondato. Gramsci fu, infatti, l’uomo politico della sinistra italiana a comprendere, più e meglio di chiunque altro, l’epilogo fascista della storia italiana, già nel 1919-20, ciò che neppure gli stessi fascisti avrebbero mai immaginato di poter attuare in così breve tempo.
Gramsci, allora, aveva meno di trent’anni (era nato ad Ales nel 1891). Viveva a Torino, dove si era recato da vincitore di una borsa di studio per frequentare l’università del capoluogo piemontese, insieme a Togliatti. Dal 1918 al 1920 seguì con attenzione la lotta operaia del “biennio rosso”, pubblicando sull’edizione torinese del giornale socialista l’Avanti! analisi puntuali sulla situazione politica, mostrando un’incredibile capacità di cogliere i movimenti profondi che animavano la società italiana dell’epoca e riuscendo a prefigurare gli scenari che, a breve, avrebbero modificato in profondità la storia del nostro Paese.
Per ricordarlo – e per consentire ai lettori di valutare, a distanza di tanto tempo, la grandezza intellettuale e politica di Gramsci, ed anche per scoprire le analogie e le differenze con quanto accade oggi, pubblico un ampio stralcio di un articolo apparso su l’Avanti! il 17 ottobre del 1920.
Il terrore dei capi del fascismo nei confronti dell’intellettuale sardo era fondato. Gramsci fu, infatti, l’uomo politico della sinistra italiana a comprendere, più e meglio di chiunque altro, l’epilogo fascista della storia italiana, già nel 1919-20, ciò che neppure gli stessi fascisti avrebbero mai immaginato di poter attuare in così breve tempo.
Gramsci, allora, aveva meno di trent’anni (era nato ad Ales nel 1891). Viveva a Torino, dove si era recato da vincitore di una borsa di studio per frequentare l’università del capoluogo piemontese, insieme a Togliatti. Dal 1918 al 1920 seguì con attenzione la lotta operaia del “biennio rosso”, pubblicando sull’edizione torinese del giornale socialista l’Avanti! analisi puntuali sulla situazione politica, mostrando un’incredibile capacità di cogliere i movimenti profondi che animavano la società italiana dell’epoca e riuscendo a prefigurare gli scenari che, a breve, avrebbero modificato in profondità la storia del nostro Paese.
Per ricordarlo – e per consentire ai lettori di valutare, a distanza di tanto tempo, la grandezza intellettuale e politica di Gramsci, ed anche per scoprire le analogie e le differenze con quanto accade oggi, pubblico un ampio stralcio di un articolo apparso su l’Avanti! il 17 ottobre del 1920.
“È certo che la reazione italiana si rafforza e cercherà di imporsi a breve scadenza (…).
La reazione italiana è lo sviluppo del fallimento della guerra imperialista, è lo sviluppo delle disastrose condizioni economiche in cui il capitalismo ha ridotto il popolo italiano, è lo sviluppo delle illusioni nazionaliste e delle delusioni opportuniste di uno Stato che non riesce ad assicurare il pane, il tetto, il vestito alla popolazione. La reazione è il tentativo di uscire dalla situazione attuale con una nuova guerra, è il tentativo di colmare, col saccheggio delle nazioni vicine, il deficit del bilancio interno, è la naturale, fisiologica espressione del regime di proprietà privata e nazionale che vuole ad ogni costo salvarsi dall’abisso (…).
Da due anni, dal giorno dell’armistizio, il popolo italiano vive in pieno terrorismo, in piena reazione (…).
Nell’attuale periodo, il terrorismo vuole passare dal campo privato al campo pubblico; non si accontenta più dell’impunità concessagli dallo Stato, vuole diventare lo Stato.
Ecco cosa significa oggi la parola “avvento” della reazione: significa che la reazione è divenuta così forte che non ritiene più utile ai suoi fini la maschera di uno Stato legale; significa che vuole, per i suoi fini, servirsi di tutti i mezzi dello Stato; significa che l’Italia si avvicina a una nuova guerra imperialista, rivolta al saccheggio a mano armata di un qualche ricco popolo finitimo”.
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