Questa fu la settimana che fu
14-21 Aprile 2013: Bersani, dalle stelle alla polvere. E ora? I voti che valgono.
Bersani, dalle stelle alla polvere: ingenuità e un po' di ... incapacità
In questi giorni, campanello di amici, scambi di opinioni via telefono e mail con amici lontani, lettura di giornali, riflessioni, considerazioni, ecc., permettono di stendere una sorta di resoconto di tutta la vicenda. Certo si tratta solo di un'interpretazione, che riprende anche idee già espresse in questa sede.
Premetto che giudicavo e giudico Bersani una persona per bene, ma in tutta la vicenda post elettorale vengono fuori le sue debolezze, ma anche una strategia per la distruzione del PD. Ma andiamo con ordine.
Il Presidente Napolitano, a Camere insediate, incarica Bersani quale Presidente del Consiglio. Ma non gli conferisce un “incarico pieno” ma un incarico esplorativo per la verifica dell’esistenza di una “maggioranza numericamente certa”. Napolitano ha in mente un governo PD-PDL, una soluzione che Bersani non condivide e che sa spaccherebbe il PD (ma questo è il disegno di Napolitano).
Il primo errore di Bersani è quello di non aver messo il Presidente con le spalle al muro pretendendo un incarico pieno e se negato rifiutare l'incarico esplorativo. Doveva fiutare la trappola e capire il disegno di Napolitano, non assecondarlo.
Dopo un po’ di traccheggi di varia natura nei quali Bersani dichiara la volontà di costruire un governo per il cambiamento antagonista al centrodestra e cerca di ottenere l'appoggio del M5*, il tempo passa e si avvicina la scadenza delle lezioni del Presidente della Repubblica.
A questo punto Bersani cede alla pressione che vuole il Presidente della repubblica “condiviso” (soprattutto col PDL) avanza la proposta di separare l’elezione del Presidente della Repubblica, che va condivisa tra tutte le forze politiche, dalla questione del governo. La partita del governo sarebbe stata affrontata dal nuovo Presidente della Repubblica. Napolitano, più che preoccupato è stufo e amareggiato di non aver saputo e potuto piegare il PD all'accordo con il PDL, così si inventa i “dieci saggi” (cioè il perditempo o il guadagnatempo).
Il PDL, si scrive cosi ma si legge Berlusconi, della separazione delle due questioni non è d'accordo. Un Presidente della Repubblica condiviso va legato anche ad un accordo sul governo, da chiamare come si vuole (grande alleanza, governo del presidente, governo di scopo, ecc.) purché sia esplicitamente formato dal PD e dal PDL). Bersani fa finta di non sentire e di non capire, per di più pensa di avere un partito compatto e comprensibile, in realtà non è compatto ed egli non lo capisce.
Pensando di fare bene, Bersani evita la “rosa” dei nomi e privilegia un nome secco, che sottopone al PDL, che sembra approvare, poi lo sottopone all’assemblea dei suoi grandi elettori, nella supposizione che l’aver convenuto di eleggere un presidente condiviso fosse compito suo cercare il nome adatto. Ma tra i grandi elettori del PD, non tutti condividono la candidatura di Marini. (Renzi in modo esplicito che candida Chiapparino, come uomo di bandiera). Marini, come è noto viene abbattuto in aula.
Emerge con evidenza che dentro il PD si sta combattendo una battaglia di potere e singole ambizioni la fanno da padrone.
Il PD entra in fibrillazione e in confusione. A questo punto Bersani cambia approccio, non più un Presidente condiviso, ma un presidente di parte, e lancia Romano Prodi (candidatura invisa oltre ogni misura dal PDL, altroché presidente condiviso), un presidente eletto soltanto dal PD con la speranza di avere qualche altro voto da racimolare tra i montiani e dal M5* (che ha inserito Prodi tra le possibili personalità da votare come Presidente), per raggiungere il quorum.
Tutto sembrava fatto, mentre si stava preparando una enorme frittata. Bersani si illudeva che il nome di Prodi avrebbe ricompattato il PD, e così sembrava. All’assemblea dei grandi elettori Prodi trionfa, un’ovazione e una elezione all’unanimità. Nelle urne i franchi tiratori impallino Prodi, che ritira la sua candidatura.
Il PD sembra finito, la Bindi si dimette, Bersani comunica che eletto il Presidente della Rapubblica si sarebbe dimesso anche lui. Mentre le correnti si accusano vicendevolmente di tradimento.
Una cosa è certa, il PD non è in grado più di fare una proposta, anche perché nessuno accetterebbe di essere maciullato nel tritacarne che è diventato il PD.
L’operazione Prodi è stata portata avanti in modo maldestro. Dato che non è possibile, come è noto, trattare con il M5*, si poteva (doveva) fare da parte di Bersani, una nobile dichiarazione che mettesse in luce la grande portata della candidatura avanzata dal M5*, che sempre ha votato Stefano Rodotà e che ha raccolto sempre più voti dei grandi elettori del M5*, ma anche la caratura (esperienza, rapporti internazionali, ecc.) di Prodi; due personalità che insieme avrebbero potuto fare uscire l'Italia dalla crisi economica e istituzionale.
Una dichiarazione che affermasse esplicitamente o implicitamente che l’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica avrebbe avuto come esito l'incarico di formare il governo a Rodotà. Ma così non è stato, Bersani è stato preso dalla sindrome dell’autosufficienza. La bocciatura di Prodi getta il PD in marasma. Non ha un'idea, non ha una possibilità.
Approfittando di questa situazione, Berlusconi in accordo con Monti (c'era da dirlo) hanno imposto a Bersani di andare tutti insiemi e premere su Napolitano perché si ricandidasse. Bersani è dovuto andare dal suo nemico e chiedergli di levarlo dai guai e di continuare la demolizione del PD.
Napolitano, buon, grande, sicuro, ecc. Presidente fa forza su sé stesso (di questo non dubito) e accetta alle sue condizioni (governo di tutte le forze, cioè governo PD/PDL); che ci siano queste condizioni è evidente dalla dichiarazione e precisazione non richiesta della Presidenza della Repubblica: “Naturalmente, nei colloqui di questa mattina, non si è discusso di argomenti estranei al tema dell'elezione del Presidente della Repubblica”.
Napolitano è stato eletto, l'allenza PD/SEL è stata rotta, e siamo in attesa del nuovo incarico a formare il governo.
E ora?
Berlusconi canta vittoria e pensa ad Alfano come vice presidente del Consiglio dei ministri.
Minniti, esponente del PD, dichiara la sua contentezza per la vittoria riportata dal PD; non avendo la virtù dell'ironia i casi sono: non ha capito quello che è successo; il disegno era quello di far fuori Bersani e la maggioranza uscita dal congresso e dalle primaria; felice per la rottura con SEL mal digerita da una parte del PD. Ma Minniti a parte, i guai del PD sono solo all'inizio:
a. C'è una parte, non piccola, che non accetterà un accordo di governo con il PDL. È pronta fino alla spaccatura? Non si sa. Anche perché alcuni “giovani turchi” parlano come vecchi politicanti.
b. Renzi non è chiaro che cosa farà, non è certo che questo sia il suo tempo, ha paura di farsi tritare dentro la guerra che c'è nel PD, guerra che ha contribuito a innescare.
c. La dichiarazione di Fabrizio Barca a proposito della candidatura di Napolitano sembra farne un polo di riferimento degli scontenti, soprattutto di quelli fuori dal parlamento.
SEL ha rotto l'alleanza con il PD e si presenta come una polarità che potrà contribuire a ricostruire una sinistra.
Il M5* sembra, insieme a Berlusconi, esito scontato, uno dei vincitori. Ma forse un milione di voti in più (che non so se ci saranno) non risolve nessun problema.
Il PD, o quello che rimarrà, pagherà un prezzo elettorale enorme. Non è detto che il PDL alla fine non prema per elezioni, magari entro l'anno. Avrebbe molto da guadagnare.
Certo il tempo non è favorevole, non solo in Italia, per una sinistra in grado di contrastare la destra fallimentare sul piano sociale ma potente sul piano politico. Ma su questo converrà riflettere, non ci sono facile ricette ma sicuramente amare medicine.
I voti che valgono
In queste settimane molto spesso per auspicare la coalizione PDL-PD, gli esponenti della destra hanno rivendicato il rispetto per i voti ottenuti alle elezioni. Quello del rispetto dei 10 milioni di voti è stato un tema ricorrente, il rifiuto veniva presentato come un'offesa ai milioni di elettori.
Questa posizione, in realtà, sotto traccia ha un’altra considerazione: che gli 8 milioni di voti ottenuti dal M5* non meritassero lo stesso rispetto. Quello che si ripeteva non era la maggiore forza del PDL rispetto al M5*, cosa in un certo senso legittima, ma tutt’altro: che i voti del M5* non meritassero lo stesso rispetto, insomma voti di categoria B.
In democrazia i voti si contano, non si pesano diversamente, e siccome non c’è nessuno in grado di avere la maggioranza assoluta, si tratta di costruire qualche forma di alleanza, ed eventualmente una alleanza PD-M5*, non disprezza gli elettori del PD, ma solamente mette in chiaro una differenza politica.
Citazioni: nel bene e nel male
Rossana Rossanda, sito Sbilanciamoci, 19 aprile 2013: "La cosa più significativa non è dunque solo che è mancato il primo nome per il Quirinale del centrosinistra, forza seppur di poco maggioritaria, ma è venuta meno la prospettiva di un governo di unità nazionale, che inglobava Silvio Berlusconi. Bastava vedere il suo volto livido ieri sera, furente forse anche perché era persuaso che quelli che lui chiama i comunisti, cioè i democratici, sarebbero stati di una disciplina di ferro, mentre non hanno rispettato nessuna decisione. Bersani avrebbe fatto per ieri pomeriggio un nome diverso “per uno scenario del tutto diverso”, questo nome sarebbe Prodi con furore del Pdl e giubilo della Margherita. Ma non è detto che Prodi sia molto gradito al Pd di generazione ex comunista. Alcuni osservatori sottili mi spingono a pensare che l’invito alla ribellione della base sarebbe stato sollecitato o addirittura orchestrato da Massimo D’Alema il quale lavora sì per le larghe intese ma, anzitutto, non è nel cuore dei grandi elettori e in secondo luogo preferirebbe di gran lunga governarle lui medesimo; si darebbe dunque da fare per fucilare uno dopo l’altro i nomi che a questo scopo erano stati fatti, da Marini in poi. Si sa che D’Alema sarebbe gradito al cavaliere, perché le maglie delle larghe intese nella versione dalemiana sono assai larghe.
Può darsi che il nome del vincitore appaia da oggi pomeriggio ma, vista l’improvvisazione dei vertici dei partiti, è possibile che gli sgambetti continuino, nella piazza del Quirinale, come in quella di Palazzo Chigi.” (come si è constato è finito peggio del previsto, con la riproposizione ferrea delle larghe intese, la vittoria di Berlusconi. Mentre forse D'Alema ride sotto i baffi.)
Angelo Tirrito, “A”, rivista anarchica, numero in stampa:“Non so quante volte ho scritto sia in questa rivista, ... che quello cui tendeva il capitalismo finanziario attaccando per prima l'Europa, iniziando dall'Italia, non era quello di fare soldi, perché i soldi li avevano già in abbondanza, ma per eliminare quanti più diritti civili e politici dei cittadini fosse loro possibile eliminare. Scuola, sanità, lavoro, pensioni, libertà politica ecc. ecc. Inoltre cercavo di ricordare ai più disattenti che l'attacco ai diritti civile condotta attraverso la gestione della miseria, avrebbe resa necessaria la più capillare e bestiale repressione. ...
E l'Italia, per il semplicissimo fatto che ha una costituzione più protettiva tra le altre contro i soprusi del potere, ha per conseguenza assoluta e necessaria la firma del Presidente della Repubblica per approvare una qualsiasi legge. E chi credete che sia il capo della magistratura e delle forze armate? Bene, è il Presidente della Repubblica. E il potere sa benissimo che senza magistratura e forze armate ben comandate la repressione sarà una parola vuota di fronte alla forza ed alla giusta disperazione dei lavoratori.
Ecco perché Rodotà non poteva, per nessuna ragione al mondo diventare presidente della repubblica. Lo conosciamo e lo conoscono e sanno che mai e poi mai Rodotà firmerebbe leggi di tali contenuti”.
Francesco Indovina |
In questi giorni, campanello di amici, scambi di opinioni via telefono e mail con amici lontani, lettura di giornali, riflessioni, considerazioni, ecc., permettono di stendere una sorta di resoconto di tutta la vicenda. Certo si tratta solo di un'interpretazione, che riprende anche idee già espresse in questa sede.
Premetto che giudicavo e giudico Bersani una persona per bene, ma in tutta la vicenda post elettorale vengono fuori le sue debolezze, ma anche una strategia per la distruzione del PD. Ma andiamo con ordine.
Il Presidente Napolitano, a Camere insediate, incarica Bersani quale Presidente del Consiglio. Ma non gli conferisce un “incarico pieno” ma un incarico esplorativo per la verifica dell’esistenza di una “maggioranza numericamente certa”. Napolitano ha in mente un governo PD-PDL, una soluzione che Bersani non condivide e che sa spaccherebbe il PD (ma questo è il disegno di Napolitano).
Il primo errore di Bersani è quello di non aver messo il Presidente con le spalle al muro pretendendo un incarico pieno e se negato rifiutare l'incarico esplorativo. Doveva fiutare la trappola e capire il disegno di Napolitano, non assecondarlo.
Dopo un po’ di traccheggi di varia natura nei quali Bersani dichiara la volontà di costruire un governo per il cambiamento antagonista al centrodestra e cerca di ottenere l'appoggio del M5*, il tempo passa e si avvicina la scadenza delle lezioni del Presidente della Repubblica.
A questo punto Bersani cede alla pressione che vuole il Presidente della repubblica “condiviso” (soprattutto col PDL) avanza la proposta di separare l’elezione del Presidente della Repubblica, che va condivisa tra tutte le forze politiche, dalla questione del governo. La partita del governo sarebbe stata affrontata dal nuovo Presidente della Repubblica. Napolitano, più che preoccupato è stufo e amareggiato di non aver saputo e potuto piegare il PD all'accordo con il PDL, così si inventa i “dieci saggi” (cioè il perditempo o il guadagnatempo).
Il PDL, si scrive cosi ma si legge Berlusconi, della separazione delle due questioni non è d'accordo. Un Presidente della Repubblica condiviso va legato anche ad un accordo sul governo, da chiamare come si vuole (grande alleanza, governo del presidente, governo di scopo, ecc.) purché sia esplicitamente formato dal PD e dal PDL). Bersani fa finta di non sentire e di non capire, per di più pensa di avere un partito compatto e comprensibile, in realtà non è compatto ed egli non lo capisce.
Pensando di fare bene, Bersani evita la “rosa” dei nomi e privilegia un nome secco, che sottopone al PDL, che sembra approvare, poi lo sottopone all’assemblea dei suoi grandi elettori, nella supposizione che l’aver convenuto di eleggere un presidente condiviso fosse compito suo cercare il nome adatto. Ma tra i grandi elettori del PD, non tutti condividono la candidatura di Marini. (Renzi in modo esplicito che candida Chiapparino, come uomo di bandiera). Marini, come è noto viene abbattuto in aula.
Emerge con evidenza che dentro il PD si sta combattendo una battaglia di potere e singole ambizioni la fanno da padrone.
Il PD entra in fibrillazione e in confusione. A questo punto Bersani cambia approccio, non più un Presidente condiviso, ma un presidente di parte, e lancia Romano Prodi (candidatura invisa oltre ogni misura dal PDL, altroché presidente condiviso), un presidente eletto soltanto dal PD con la speranza di avere qualche altro voto da racimolare tra i montiani e dal M5* (che ha inserito Prodi tra le possibili personalità da votare come Presidente), per raggiungere il quorum.
Tutto sembrava fatto, mentre si stava preparando una enorme frittata. Bersani si illudeva che il nome di Prodi avrebbe ricompattato il PD, e così sembrava. All’assemblea dei grandi elettori Prodi trionfa, un’ovazione e una elezione all’unanimità. Nelle urne i franchi tiratori impallino Prodi, che ritira la sua candidatura.
Il PD sembra finito, la Bindi si dimette, Bersani comunica che eletto il Presidente della Rapubblica si sarebbe dimesso anche lui. Mentre le correnti si accusano vicendevolmente di tradimento.
Una cosa è certa, il PD non è in grado più di fare una proposta, anche perché nessuno accetterebbe di essere maciullato nel tritacarne che è diventato il PD.
L’operazione Prodi è stata portata avanti in modo maldestro. Dato che non è possibile, come è noto, trattare con il M5*, si poteva (doveva) fare da parte di Bersani, una nobile dichiarazione che mettesse in luce la grande portata della candidatura avanzata dal M5*, che sempre ha votato Stefano Rodotà e che ha raccolto sempre più voti dei grandi elettori del M5*, ma anche la caratura (esperienza, rapporti internazionali, ecc.) di Prodi; due personalità che insieme avrebbero potuto fare uscire l'Italia dalla crisi economica e istituzionale.
Una dichiarazione che affermasse esplicitamente o implicitamente che l’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica avrebbe avuto come esito l'incarico di formare il governo a Rodotà. Ma così non è stato, Bersani è stato preso dalla sindrome dell’autosufficienza. La bocciatura di Prodi getta il PD in marasma. Non ha un'idea, non ha una possibilità.
Approfittando di questa situazione, Berlusconi in accordo con Monti (c'era da dirlo) hanno imposto a Bersani di andare tutti insiemi e premere su Napolitano perché si ricandidasse. Bersani è dovuto andare dal suo nemico e chiedergli di levarlo dai guai e di continuare la demolizione del PD.
Napolitano, buon, grande, sicuro, ecc. Presidente fa forza su sé stesso (di questo non dubito) e accetta alle sue condizioni (governo di tutte le forze, cioè governo PD/PDL); che ci siano queste condizioni è evidente dalla dichiarazione e precisazione non richiesta della Presidenza della Repubblica: “Naturalmente, nei colloqui di questa mattina, non si è discusso di argomenti estranei al tema dell'elezione del Presidente della Repubblica”.
Napolitano è stato eletto, l'allenza PD/SEL è stata rotta, e siamo in attesa del nuovo incarico a formare il governo.
E ora?
Berlusconi canta vittoria e pensa ad Alfano come vice presidente del Consiglio dei ministri.
Minniti, esponente del PD, dichiara la sua contentezza per la vittoria riportata dal PD; non avendo la virtù dell'ironia i casi sono: non ha capito quello che è successo; il disegno era quello di far fuori Bersani e la maggioranza uscita dal congresso e dalle primaria; felice per la rottura con SEL mal digerita da una parte del PD. Ma Minniti a parte, i guai del PD sono solo all'inizio:
a. C'è una parte, non piccola, che non accetterà un accordo di governo con il PDL. È pronta fino alla spaccatura? Non si sa. Anche perché alcuni “giovani turchi” parlano come vecchi politicanti.
b. Renzi non è chiaro che cosa farà, non è certo che questo sia il suo tempo, ha paura di farsi tritare dentro la guerra che c'è nel PD, guerra che ha contribuito a innescare.
c. La dichiarazione di Fabrizio Barca a proposito della candidatura di Napolitano sembra farne un polo di riferimento degli scontenti, soprattutto di quelli fuori dal parlamento.
SEL ha rotto l'alleanza con il PD e si presenta come una polarità che potrà contribuire a ricostruire una sinistra.
Il M5* sembra, insieme a Berlusconi, esito scontato, uno dei vincitori. Ma forse un milione di voti in più (che non so se ci saranno) non risolve nessun problema.
Il PD, o quello che rimarrà, pagherà un prezzo elettorale enorme. Non è detto che il PDL alla fine non prema per elezioni, magari entro l'anno. Avrebbe molto da guadagnare.
Certo il tempo non è favorevole, non solo in Italia, per una sinistra in grado di contrastare la destra fallimentare sul piano sociale ma potente sul piano politico. Ma su questo converrà riflettere, non ci sono facile ricette ma sicuramente amare medicine.
I voti che valgono
In queste settimane molto spesso per auspicare la coalizione PDL-PD, gli esponenti della destra hanno rivendicato il rispetto per i voti ottenuti alle elezioni. Quello del rispetto dei 10 milioni di voti è stato un tema ricorrente, il rifiuto veniva presentato come un'offesa ai milioni di elettori.
Questa posizione, in realtà, sotto traccia ha un’altra considerazione: che gli 8 milioni di voti ottenuti dal M5* non meritassero lo stesso rispetto. Quello che si ripeteva non era la maggiore forza del PDL rispetto al M5*, cosa in un certo senso legittima, ma tutt’altro: che i voti del M5* non meritassero lo stesso rispetto, insomma voti di categoria B.
In democrazia i voti si contano, non si pesano diversamente, e siccome non c’è nessuno in grado di avere la maggioranza assoluta, si tratta di costruire qualche forma di alleanza, ed eventualmente una alleanza PD-M5*, non disprezza gli elettori del PD, ma solamente mette in chiaro una differenza politica.
Citazioni: nel bene e nel male
Rossana Rossanda, sito Sbilanciamoci, 19 aprile 2013: "La cosa più significativa non è dunque solo che è mancato il primo nome per il Quirinale del centrosinistra, forza seppur di poco maggioritaria, ma è venuta meno la prospettiva di un governo di unità nazionale, che inglobava Silvio Berlusconi. Bastava vedere il suo volto livido ieri sera, furente forse anche perché era persuaso che quelli che lui chiama i comunisti, cioè i democratici, sarebbero stati di una disciplina di ferro, mentre non hanno rispettato nessuna decisione. Bersani avrebbe fatto per ieri pomeriggio un nome diverso “per uno scenario del tutto diverso”, questo nome sarebbe Prodi con furore del Pdl e giubilo della Margherita. Ma non è detto che Prodi sia molto gradito al Pd di generazione ex comunista. Alcuni osservatori sottili mi spingono a pensare che l’invito alla ribellione della base sarebbe stato sollecitato o addirittura orchestrato da Massimo D’Alema il quale lavora sì per le larghe intese ma, anzitutto, non è nel cuore dei grandi elettori e in secondo luogo preferirebbe di gran lunga governarle lui medesimo; si darebbe dunque da fare per fucilare uno dopo l’altro i nomi che a questo scopo erano stati fatti, da Marini in poi. Si sa che D’Alema sarebbe gradito al cavaliere, perché le maglie delle larghe intese nella versione dalemiana sono assai larghe.
Può darsi che il nome del vincitore appaia da oggi pomeriggio ma, vista l’improvvisazione dei vertici dei partiti, è possibile che gli sgambetti continuino, nella piazza del Quirinale, come in quella di Palazzo Chigi.” (come si è constato è finito peggio del previsto, con la riproposizione ferrea delle larghe intese, la vittoria di Berlusconi. Mentre forse D'Alema ride sotto i baffi.)
Angelo Tirrito, “A”, rivista anarchica, numero in stampa:“Non so quante volte ho scritto sia in questa rivista, ... che quello cui tendeva il capitalismo finanziario attaccando per prima l'Europa, iniziando dall'Italia, non era quello di fare soldi, perché i soldi li avevano già in abbondanza, ma per eliminare quanti più diritti civili e politici dei cittadini fosse loro possibile eliminare. Scuola, sanità, lavoro, pensioni, libertà politica ecc. ecc. Inoltre cercavo di ricordare ai più disattenti che l'attacco ai diritti civile condotta attraverso la gestione della miseria, avrebbe resa necessaria la più capillare e bestiale repressione. ...
E l'Italia, per il semplicissimo fatto che ha una costituzione più protettiva tra le altre contro i soprusi del potere, ha per conseguenza assoluta e necessaria la firma del Presidente della Repubblica per approvare una qualsiasi legge. E chi credete che sia il capo della magistratura e delle forze armate? Bene, è il Presidente della Repubblica. E il potere sa benissimo che senza magistratura e forze armate ben comandate la repressione sarà una parola vuota di fronte alla forza ed alla giusta disperazione dei lavoratori.
Ecco perché Rodotà non poteva, per nessuna ragione al mondo diventare presidente della repubblica. Lo conosciamo e lo conoscono e sanno che mai e poi mai Rodotà firmerebbe leggi di tali contenuti”.
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