Un film giallo o il solito realismo all'italiana?
Avvincenti le scene che descrivono il periodo dal dicembre 2012 sino alla scena conclusiva, ovvero i 120 giorni che precedettero la fine della Seconda Repubblica.
La scena clou del film (può essere quella finale o la iniziale, dipende dalla tecnica narrativa utilizzata) è quella del nuovo capo del governo Enrico Letta che giura, con la sua compagine di governo Pd, Pdl e Scelta civica, nelle mani del presidente della Repubblica Napolitano. Fate caso alla data, 28 aprile 2013, perché è importante.
Nella costruzione del film il Regista (con la erre maiuscola, chiunque esso sia) aveva a disposizione due opzioni. La prima col giuramento di Letta come scena iniziale, intorno alla quale costruire il film. Lo spettatore rimane esterrefatto davanti al binomio Letta -Napolitano datato 28 aprile 2013, ed è ciò che il Regista vuole.
Tutto il film ruoterà, infatti, intorno a quella scena quasi inverosimile, e sulla descrizione degli avvenimenti che l'anno preceduta.
La seconda opzione, quella classica nella quale non si conosce il finale, parte dalla descrizione dei personaggi principali del film: le immagini si aprono con Silvio Berlusconi che giura, il 10 maggio del 1994, da presidente del consiglio dei ministri davanti a Scalfaro. "Dura minga", commenta qualche incredulo a Milano.
In quel momento Enrico Letta ha 28 anni ma è già un enfant prodige della politica: da lì a quattro anni verrà nominato, a soli 32 anni, ministro delle politiche comunitarie del governo D'Alema.
Bersani di anni ne ha, quel giorno, poco più di 43, ed è già politicamente affermato: dall'anno precedente è infatti, assai apprezzato, presidente della regione Emilia Romagna.
Giorgio Napolitano, invece, ha in quel momento 69 anni: è un "anziano" signore di grande spessore politico che, al termine del cursus honorum, è presidente della Camera dei deputati.
La storia, raccontata come una matassa di filo che si svolge e riavvolge più volte nel tempo, tiene lo spettatore sul chi vive, in una suspense continua, sino al finale davvero inimmaginabile.
Avvincenti le scene che descrivono il periodo dal dicembre 2012 sino alla scena conclusiva, ovvero i 120 giorni che precedettero la fine della seconda Repubblica.
Le primarie del Pd con la vittoria di Bersani, il disfacimento in quel momento del Pdl, la prevista sicura e schiacciante vittoria del Pd alle elezioni del febbraio 2013 e le ripetute dichiarazioni, dopo le elezioni stesse, della dirigenza del Pd, che mai e poi mai vi potrà essere un governo di "larghe intese" col Pdl, neanche a pensarci.
E, infine, Giorgio Napolitano che a 87 anni sta per lasciare, ad horas, il Quirinale al termine del suo mandato settennale.
Come nei migliori gialli, con la matassa svolta e ancora una volta riavvolta, salta fuori l'"assassino" meno prevedibile tra tutti: Enrico Letta. Il più insospettabile, che giura davanti a Napolitano. Sì, Napolitano, proprio lui, rieletto Presidente della Repubblica per altri sette anni. Un involontario complice, dal punto di vista filmico?
Un giallo d'autore, si direbbe, tanta è la maestria del Regista nel descrivere e concatenare gli eventi più imprevedibili ed inimmaginabili. Ma forse non è un giallo ma il solito, classico ed intramontabile, "realismo all'italiana".
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Carlo Mannoni |
Nella costruzione del film il Regista (con la erre maiuscola, chiunque esso sia) aveva a disposizione due opzioni. La prima col giuramento di Letta come scena iniziale, intorno alla quale costruire il film. Lo spettatore rimane esterrefatto davanti al binomio Letta -Napolitano datato 28 aprile 2013, ed è ciò che il Regista vuole.
Tutto il film ruoterà, infatti, intorno a quella scena quasi inverosimile, e sulla descrizione degli avvenimenti che l'anno preceduta.
La seconda opzione, quella classica nella quale non si conosce il finale, parte dalla descrizione dei personaggi principali del film: le immagini si aprono con Silvio Berlusconi che giura, il 10 maggio del 1994, da presidente del consiglio dei ministri davanti a Scalfaro. "Dura minga", commenta qualche incredulo a Milano.
In quel momento Enrico Letta ha 28 anni ma è già un enfant prodige della politica: da lì a quattro anni verrà nominato, a soli 32 anni, ministro delle politiche comunitarie del governo D'Alema.
Bersani di anni ne ha, quel giorno, poco più di 43, ed è già politicamente affermato: dall'anno precedente è infatti, assai apprezzato, presidente della regione Emilia Romagna.
Giorgio Napolitano, invece, ha in quel momento 69 anni: è un "anziano" signore di grande spessore politico che, al termine del cursus honorum, è presidente della Camera dei deputati.
La storia, raccontata come una matassa di filo che si svolge e riavvolge più volte nel tempo, tiene lo spettatore sul chi vive, in una suspense continua, sino al finale davvero inimmaginabile.
Avvincenti le scene che descrivono il periodo dal dicembre 2012 sino alla scena conclusiva, ovvero i 120 giorni che precedettero la fine della seconda Repubblica.
Le primarie del Pd con la vittoria di Bersani, il disfacimento in quel momento del Pdl, la prevista sicura e schiacciante vittoria del Pd alle elezioni del febbraio 2013 e le ripetute dichiarazioni, dopo le elezioni stesse, della dirigenza del Pd, che mai e poi mai vi potrà essere un governo di "larghe intese" col Pdl, neanche a pensarci.
E, infine, Giorgio Napolitano che a 87 anni sta per lasciare, ad horas, il Quirinale al termine del suo mandato settennale.
Come nei migliori gialli, con la matassa svolta e ancora una volta riavvolta, salta fuori l'"assassino" meno prevedibile tra tutti: Enrico Letta. Il più insospettabile, che giura davanti a Napolitano. Sì, Napolitano, proprio lui, rieletto Presidente della Repubblica per altri sette anni. Un involontario complice, dal punto di vista filmico?
Un giallo d'autore, si direbbe, tanta è la maestria del Regista nel descrivere e concatenare gli eventi più imprevedibili ed inimmaginabili. Ma forse non è un giallo ma il solito, classico ed intramontabile, "realismo all'italiana".
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