Storie di ordinaria malasanità
I rappresentanti politici devono spiegazioni.
Antonio Budruni |
Qualche giorno fa, una persona mi ha scaricato addosso tutta la rabbia accumulata di recente.
Mi ha raccontato una storia piccola, accaduta a gente normale, cittadini comuni: quel “popolo sovrano” di cui spesso ci si riempie la bocca, per poi considerarlo un fastidio, una perdita di tempo, una seccatura.
Questa persona, seguendo le disposizioni vigenti, ha prenotato una visita al CUP (Centro Unico di Prenotazione) – istituito per ridurre i costi della sanità – ed è stata visitata, nel cosiddetto “Palazzo della sanità”, da un medico specialista (previo pagamento del ticket), il quale gli ha diagnosticato una patologia per la quale ha indicato, nell’impegnativa, l’intervento chirurgico “urgente”.
Sempre ligia alle disposizioni, la persona di cui sopra telefona al CUP per prenotare l’intervento. Primo intoppo. Al telefono dicono che non è possibile prenotare l’intervento chirurgico attraverso il Centro unico di prenotazione, ma che occorre recarsi direttamente nel reparto ospedaliero per ottenere la prenotazione.
La persona, sempre ligia alle disposizione e sempre molto “paziente”, si reca nel reparto ospedaliero, dove le dicono che, normalmente, le prenotazioni richiedono tempi lunghi: almeno tredici mesi! Lei ribatte, facendo notare che, nell’impegnativa, il medico ha indicato urgente. L’infermiera tace pensierosa per qualche minuto e poi, radiosa, invita la persona a ripassare domani, stessa ora, per stabilire la data dell’intervento.
Il giorno successivo, puntualissima, la persona attende oltre 20 minuti fuori dalla porta, dopo aver suonato ripetutamente. La persona, ormai lo sappiamo, è paziente: attende.
Dopo la lunga e paziente attesa – i pazienti, per definizione, non hanno altro da fare, devono essere a disposizione di medici e infermieri, mica l’opposto? – l’infermiera le dice che non è possibile fissare la data dell’intervento, perché l’ospedale non può accettare prognosi che non siano state fatte dai medici del reparto. E, il CUP? Loro non hanno contatti con tale organismo. La persona paziente, appoggiata alla parete, sta leggendo un cartello nel quale c’è scritto: CUP, con relativo numero di telefono. “Mah! Bisogna avere pazienza”, pensa tra sé e sé.
Dunque? Dunque è meglio prenotare la visita nel reparto ospedaliero per avere la certezza dell’urgenza dell’intervento e quindi poterlo programmare.
Quindi, occorre pagare un nuovo ticket? Già, proprio così.
Nota a margine: la persona vive dell’assegno di disoccupazione.
Fin qui la storia che, immagino, abbia fatto rivoltare le interiora di molti lettori. Il dramma è che di storie di questo tipo è costellata la giornata di migliaia di concittadini, soprattutto anziani, soprattutto povera gente. Gli altri, quelli che possono pagare, quelli che hanno conoscenze nei posti giusti, non vivono questi calvari.
Mi chiedo, e chiedo ai lettori: ma il sindaco, che è il responsabile della sanità cittadina, ha mai avuto conoscenza di queste prassi? E, se sì, ha mai fatto ciò che è in suo potere per arginare questa vergognosa gestione della sanità pubblica algherese? E gli altri esponenti politici di primo piano, dai consiglieri regionali in giù, ascoltano queste voci di dolore dei loro concittadini e ne fanno tesoro nella loro azione quotidiana di rappresentanti del popolo?
Sarebbe utile per tutti – perché tutti possano esercitare meglio i loro diritti di scelta dei rappresentanti – che ciascuno intervenisse per spiegare, per farci capire, per tranquillizzare e, anche, per inchiodare i responsabili ai loro doveri. Nell’interesse esclusivo dei cittadini.
Grazie.
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Questa persona, seguendo le disposizioni vigenti, ha prenotato una visita al CUP (Centro Unico di Prenotazione) – istituito per ridurre i costi della sanità – ed è stata visitata, nel cosiddetto “Palazzo della sanità”, da un medico specialista (previo pagamento del ticket), il quale gli ha diagnosticato una patologia per la quale ha indicato, nell’impegnativa, l’intervento chirurgico “urgente”.
Sempre ligia alle disposizioni, la persona di cui sopra telefona al CUP per prenotare l’intervento. Primo intoppo. Al telefono dicono che non è possibile prenotare l’intervento chirurgico attraverso il Centro unico di prenotazione, ma che occorre recarsi direttamente nel reparto ospedaliero per ottenere la prenotazione.
La persona, sempre ligia alle disposizione e sempre molto “paziente”, si reca nel reparto ospedaliero, dove le dicono che, normalmente, le prenotazioni richiedono tempi lunghi: almeno tredici mesi! Lei ribatte, facendo notare che, nell’impegnativa, il medico ha indicato urgente. L’infermiera tace pensierosa per qualche minuto e poi, radiosa, invita la persona a ripassare domani, stessa ora, per stabilire la data dell’intervento.
Il giorno successivo, puntualissima, la persona attende oltre 20 minuti fuori dalla porta, dopo aver suonato ripetutamente. La persona, ormai lo sappiamo, è paziente: attende.
Dopo la lunga e paziente attesa – i pazienti, per definizione, non hanno altro da fare, devono essere a disposizione di medici e infermieri, mica l’opposto? – l’infermiera le dice che non è possibile fissare la data dell’intervento, perché l’ospedale non può accettare prognosi che non siano state fatte dai medici del reparto. E, il CUP? Loro non hanno contatti con tale organismo. La persona paziente, appoggiata alla parete, sta leggendo un cartello nel quale c’è scritto: CUP, con relativo numero di telefono. “Mah! Bisogna avere pazienza”, pensa tra sé e sé.
Dunque? Dunque è meglio prenotare la visita nel reparto ospedaliero per avere la certezza dell’urgenza dell’intervento e quindi poterlo programmare.
Quindi, occorre pagare un nuovo ticket? Già, proprio così.
Nota a margine: la persona vive dell’assegno di disoccupazione.
Fin qui la storia che, immagino, abbia fatto rivoltare le interiora di molti lettori. Il dramma è che di storie di questo tipo è costellata la giornata di migliaia di concittadini, soprattutto anziani, soprattutto povera gente. Gli altri, quelli che possono pagare, quelli che hanno conoscenze nei posti giusti, non vivono questi calvari.
Mi chiedo, e chiedo ai lettori: ma il sindaco, che è il responsabile della sanità cittadina, ha mai avuto conoscenza di queste prassi? E, se sì, ha mai fatto ciò che è in suo potere per arginare questa vergognosa gestione della sanità pubblica algherese? E gli altri esponenti politici di primo piano, dai consiglieri regionali in giù, ascoltano queste voci di dolore dei loro concittadini e ne fanno tesoro nella loro azione quotidiana di rappresentanti del popolo?
Sarebbe utile per tutti – perché tutti possano esercitare meglio i loro diritti di scelta dei rappresentanti – che ciascuno intervenisse per spiegare, per farci capire, per tranquillizzare e, anche, per inchiodare i responsabili ai loro doveri. Nell’interesse esclusivo dei cittadini.
Grazie.
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- "Pratiche di malasanità, in risposta a Budruni", di Mario Bruno (12 Giugno 2013)
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