Auguri a Andreino Silanos, un grande campione
Oggi, 27 giugno 2013, Andrea Silanos (Andreino, da sempre) compie 75 anni. Mi rendo conto che i lettori più giovani si chiederanno, stupiti, chi sarà mai questo Silanos del quale oggi il quotidiano on-line partecipa l’anniversario.
Ebbene, questa domanda contiene già in sé la corretta risposta. La non conoscenza della storia della propria città e delle donne e degli uomini protagonisti di questa storia non è attribuibile alla distrazione o alla disattenzione dei giovani, ma è conseguenza della perdita della memoria collettiva, dell’interruzione dei fili che legano le vicende di una popolazione che fatica a riconoscersi come tale.
Andrea Silanos è stato un grande campione di pugilato degli anni Sessanta del secolo scorso. È stato campione italiano dei pesi piuma e si è battuto, senza successo, per la conquista del titolo europeo della categoria.
Cresciuto alla scuola del maestro Mulas, in quella cantéra, per dirla alla catalana, in cui si sono formati grandissimi pugili del calibro di Tore Burruni, Paolo Spinetti e Carmelo Chessa, quando Alghero proponeva all’attenzione italiana, europea e mondiale fior di campioni e di maestri della “noble art”.
Silanos, da professionista, disputò 33 incontri nell’arco di un settennio (dai 23 ai 30 anni), vincendone 29 (10 dei quali per KO) e perdendone solo 4.
Sin da ragazzino dimostrò interesse e passione per la boxe. Cercava di intrufolarsi nelle palestre, dove sudavano altri ragazzi, poco più grandi di lui. Come tanti ragazzini della sua età, lavorava nell’edilizia. Ma, smessi gli abiti da lavoro, correva ad allenarsi, a “tirare”, ad osservare con voracità, tentando di carpirne i segreti, i ragazzi più grandi di lui.
Dopo aver vinto il titolo italiano juniores, da dilettante, cominciò la sua carriera professionistica nei pesi piuma (al limite dei 57 kg) vincendo, nella sua città per KOT, contro Paolo Amisano. Era il 25 febbraio del 1961. In quell’anno disputò altri sette incontri, vincendoli tutti (2 per KO e 1 per KOT).
Nel 1962 disputò 5 combattimenti: tutti vinti (1 per KO e 2 per KOT). Andreino era una furia. Il ring, un quadrato nel quale per gli avversari non c’era tregua. In quegli anni si comincia a parlare di lui anche a Roma, a Milano e in Europa. Il ragazzo è forte, tenace, combattivo; maledettamente astuto e vigile. Sembra un predestinato alla vittoria e, ormai, acquisita consapevolezza dei propri mezzi, aspira alla conquista del titolo italiano.
Ma i suoi maestri frenano, chiedono più impegno, più allenamenti; gli propongono nuovi incontri con avversari sempre più forti. Nel 1963 disputa 7 incontri e, ancora una volta, per gli avversari non c’è storia: vince sempre. In tre occasione per KOT.
L’anno successivo, allenatore e procuratore rallentano gli incontri ufficiali: c’è nell’aria la possibilità di battersi per il titolo italiano. Andreino Silanos è un nome sul quale puntare, riempie gli stadi anche nelle grandi città. Combatte 5 volte e perde un solo incontro, ai punti, con Giancarlo Casti, allo stadio Olimpico di Roma. Una sconfitta, ogni tanto, aiuta a crescere; ti strappa di dosso l’aura d’invincibilità e ti rende più umano, anche da campione.
Il 1964 è l’anno della conquista del titolo italiano. Il 22 dicembre, a Sassari, Andreino Silanos strappa la corona al campione Alberto Serti. Alghero, dopo Spinetti (medaglia d’oro a Mosca, nel 1957, in occasione del Festival Internazionale della gioventù) e Burruni (campione italiano ed europeo dei pesi mosca), iscrive un altro nome nel Palmares della boxe nazionale.
Il ragazzo, dopo una dura gavetta, assapora la gioia del titolo: adesso è un personaggio della boxe italiana. I giornali pubblicano articoli su di lui, sulle sue imprese, sulle sue vittorie. È tempo di allargare lo sguardo (e le ambizioni): vuole battersi per il titolo europeo, sente di avere la forza, le capacità e i mezzi. Gli dicono di aspettare, di non correre con la fantasia. Gli fanno capire che combattere per il titolo europeo significa sfidare dei campioni al di fuori della sua portata. Gli dicono che deve fare più palestra, più allenamento, che si deve irrobustire, che deve lavorare sulla forza dei colpi, che deve migliorare la tecnica e l’abilità nei movimenti e che deve essere più cinico, più attento, più guardingo.
Ma Andreino morde il freno, non vuole perdere il momento, intuisce che, nel pugilato, il passare degli anni pesa, affatica, rende più vulnerabili. Si rende conto che rientrare nei limiti di peso diventa ogni giorno più difficile.
Nel 1965 disputa 3 incontri, in uno dei quali difende il titolo di campione italiano contro Mario Sitri. Il combattimento si disputa nella sua città, Alghero. Andreino vince ancora una volta, per KOT.
Nel 1966, in attesa di battersi per il titolo europeo, comincia ad accusare qualche colpo. Disputa 4 incontri e ne perde 2: uno per KOT. Un brutto segnale. Ma non si arrende, non demorde, vuole l’occasione della vita, non è ancora pago delle luci della ribalta. Il suo allenatore e il suo procuratore lo accontentano. Il 7 marzo del 1966, a Sassari, si combatte per il titolo europeo dei pesi piuma. Da una parte, il campione, il britannico Howard Winston; dall’altra, lo sfidante: Andreino Silanos. Il pugile algherese sale sul ring col cuore che batte a mille. Scruta subito l’avversario, ne cerca lo sguardo per impressionarlo. Ma Winston è un osso duro: colpisce e arretra, cerca (e trova) i punti deboli, lo mette subito alle corde. Andreino intuisce in un attimo la difficoltà, riconosce la supremazia dell’avversario, rimugina sulle raccomandazioni e i consigli del suo allenatore e sugli avvertimenti del suo procuratore. Si rende conto di aver peccato di presunzione. Tenta una difesa più accorta, prova ad uscire dall’angolo, picchia duro in più di un’occasione. Ma l’avversario mira sempre all’occhio destro. Andreino sanguina, non può continuare l’incontro. Winston vince per KOT. L’avventura europea di Andreino Silanos finisce in quel freddo giorno di marzo del 1967.
Tuttavia, la voglia di rivalsa e la consapevolezza dei suoi mezzi lo spingono ad andare avanti. Ormai ha trent’anni e i pugni ricevuti cominciano a farsi sentire. Le braccia perdono velocità, respirare costa sempre più fatica, assorbire i colpi, anche. Ma, soprattutto, l’occhio destro continua a rappresentare un problema. L’anno successivo disputa l’ultimo incontro della carriera a Melbourne, in Australia, contro Johnny Fanechon. Il match è un incubo: Andreino perde per KO.
La carriera del piccolo pugile algherese, tutto testa e nervi, cominciata ad Alghero nel 1961 si chiude lontano, in Australia, poco prima del compimento del trentesimo compleanno. Appendere i guantoni al chiodo è stato difficile, ma necessario: i medici gli sconsigliano di continuare, la lesione all’occhio potrebbe acuirsi e determinare danni irreparabili.
Grazie, Andreino, per aver rappresentato la città in uno sport duro e difficile, insieme a tanti altri ragazzi algheresi. Ragazzi poveri, ma determinati e fieri. Fieri di appartenere a questa terra.
Auguri per le sue settantacinque primavere.
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