Grillo scende, a quando il prossimo highlander?
Nelle crisi con connotati di rivolta globale nascono gruppi sotto la guida di un capo carismatico.
Giuseppe Santino |
Scrive Giovenale, il grande satirico latino: “due cose il popolo desidera panem et circenses". Così avveniva nella Roma repubblicana come in quella imperiale; chi aspirava a cariche pubbliche o intendeva consolidare il proprio potere con il consenso popolare elargiva frumento ed organizzava giochi circensi con grande spargimento di sangue umano ed animale.
Per la captatio benevolentiae si faceva leva sul bisogno primario del cibo e sulla naturale predisposizione dell’uomo alla violenza. E sulla base del principio di rispondere alle istintive necessità e alle manifestazioni di ribellione globale si sono affacciate, nel corso della storia dell’umanità, forme simili che vanno sotto il nome di populismo.
Fenomeni che fanno la loro apparizione in momenti particolari della vita pubblica, la conquista del consenso in occasione delle elezioni o la gestione dell’opposizione totale al sistema, incapace di garantire la coesione sociale per far fronte ai bisogni del popolo. Soprattutto nei momenti in cui si rompe il rapporto fiduciario tra governanti e governati e il popolo non si sente più rappresentato o garantito.
È proprio nei momenti di crisi dell’intero sistema che la contrapposizione tra popolo e potere politico veste i connotati della rivolta globale. Nascono i gruppi che si riconoscono sotto la guida di un capo carismatico, capace di intercettare gli istinti rivoltosi e guidarli verso un risultato finale che dovrebbe soddisfare la sete di giustizia ed il desiderio di un miglioramento della condizione socio-economica.
Nel medioevo I ciompi, i piagnoni, le folle di Roma e di Napoli sono guidati da uomini che cavalcano la ribellione in nome di un nuovo sistema sociale e politico e a volte anche religioso e passano alla storia con il nome dei loro condottieri da Michele di Lando a Cola di Rienzo a Masaniello e a Savonarola. E la storia si ripete nel secolo della rivoluzione francese e nell’era napoleonica e nel ‘900, con l’origine dei regimi totalitari.
Alla fine della seconda guerra mondiale il nuovo assetto dell’Europa non sembra voler lasciare molto spazio al populismo. Sono ben poche le formazioni, prima del nuovo millennio, che, all’interno di un quadro democratico rappresentativo, dove molto solida è la fiducia dei cittadini nei partiti, soprattutto di massa, e nelle stesse istituzioni, possono essere inserite in questo quadro di relazioni politiche. che caratterizzano il rapporto diretto tra il popolo ed il capo carismatico.
La fine del comunismo, l’abbattimento del muro di Berlino, la scomparsa dei partiti di massa e un sistema politico, economico e finanziario che comincia già negli anni novanta a dare segni importanti di crisi fanno in modo che la rappresentanza popolare entri in fibrillazione in un sistema che va sgretolandosi sempre di più, con il conseguente sopraggiungere di fenomeni non compatibili, fino agli anni ottanta, con la democrazia rappresentativa.
È il fenomeno della personalizzazione della politica e dei partiti che si identificano in un leader carismatico in grado di gestire e di imporre di fatto le proprie idee e la propria visione della società. Se fino ai primi anni novanta i gruppi populisti in Europa hanno un ruolo marginale da quel momento si moltiplicano, acquistando sempre maggior peso nei singoli paesi. Nel Regno unito il Partito per l’indipendenza, l’Ukip, è al 23%; in Francia tra il Front de Gauche e il Front National siamo al 20%; in Ungheria il Fidesz con il 52,7% è al potere; in Grecia Alba Dorata è al 13% e in Italia Grillo alle politiche ottiene un insperato 25%.
È chiaro che nel nostro Paese il populismo è marcato nel M5S, ma ha anche una forte componente nella Lega Nord e nel Pdl. Tutti sappiamo cosa è accaduto in Italia nelle elezioni del 1994, elezioni che ancora condizionano la vita politica del nostro Paese.
In comune queste formazioni hanno i temi del nazionalismo, del razzismo ma rivisitati ed ammantati da un veste di difesa dei diritti democratici dei cittadini e dei loro interessi economici. Proprio gli aspetti economici, in un momento di particolare crisi, portano ad alzare il tiro contro l’Europa e l’euro, considerati la causa fondamentale del disastro economico e sociale.
Anche il populismo nostrano si inserisce in questo coro contro l’Europa e l’euro, e non soltanto Grillo, ma anche chi ci ha portato in una situazione drammatica veste i panni dell’innocente e del puro che lotta per il bene comune.
Sono forme di populismo che nascono dentro un sistema democratico rappresentativo e ne incrinano i gangli vitali, grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione che hanno creato un sistema di democrazia partecipata, dove però i cittadini non decidono le linee di movimento della politica e gli obiettivi da raggiungere.
Il populismo basa la sua forza unicamente sulla figura del leader che “guida” i seguaci verso il ribaltamento globale della politica, contro la casta, verso la distruzione delle Istituzione e quindi verso la fine della democrazia.
La democrazia del web può non essere un fenomeno di sfilacciamento politico solo se si accompagna ad un progetto fattibile e concreto di cambiamento con l’indicazione delle azioni conseguenti. In Grillo non sembra affiorare questo spirito costruttivo tanto da cominciare ad avere problemi di rappresentatività e di coesione del gruppo. Non tiene conto che anche questa nuova forma di populismo porta, al suo interno, spinte ancestrali al rigetto con il conseguente abbandono del leader. Paradossalmente la democrazia partecipativa, che non elabora il progetto ma si affida al capo, crea sistemi di controllo e di contrappesi per cui un leader potrà continuare ad essere guida fino a quando risponderà ai bisogni reali di cambiamento per i quali ha avuto il consenso.
L’antropologo Arjun Appadurai scrive “Nell’era della globalizzazione (con la comunicazione via web) la novità più interessante è che la stessa dinamica produce i flussi culturali e gli ostacoli che ne minacciano la libertà di movimento”. È quanto sta succedendo a Grillo con la contestazione delle scelte isolazioniste e con la perdita di consensi nelle elezioni amministrative, ad appena tre mesi da un inimmaginabile successo.
Se è vero che il leader populista tende ad identificare ideologicamente l’azione del popolo con la sua persona è anche vero, dunque, che questo processo, come ci insegna anche la sorte dei capipopolo sopra ricordati, produce gli anticorpi contro una flessione autoritaria. E se i consensi continueranno ad imboccare la via in discesa e si allargherà l’area del dissenso, Grillo rischia di non essere lui l’ultimo degli highlander, degli immortali.
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