Addio a “ciù Migheri”
Se n'è andato "un ragazzo della Muraglia”.
Antonio Budruni |
Giorni tristissimi, questi a cavallo tra giugno e luglio.
L’ultimo giorno del mese, un’auto pirata ha strappato alla vita un mio ex alunno, a soli diciannove anni.
Due giorni fa, una malattia si è portato via un “ragazzo della Muraglia”, Michele Solinas, per tutti noi: “ciù Migheri”.
Nella copertina del mio romanzo, dedicato ai ragazzi che nei primi anni Sessanta del secolo scorso, pieni di vita e di futuro, vivevano quasi come una comunità di bambini in quel piccolo spazio tra la torre di San Giacomo e quella di Sulis, Michele è il primo sulla destra, nella seconda fila.
Penultimo di un nugolo di fratelli e sorelle, tutti di carnagione scura al punto da ereditare il soprannome del primogenito “lu negra”, lui, da bambino, forse per un crudele gioco del destino, aveva i capelli biondi, tanto che qualcuno, allora, anziché alla famiglia d’origine, lo inseriva – per il colore dei capelli – in una schiatta di versa, quella dei Derriu, più noti come gli “ave Maria” o “pisciacuroms”.
Michele, proprio così come appare nella foto di quegli anni, era un bambino timido. Così timido che, se dovessi ora pensare a una sua caratteristica saliente, mi viene in mente, soprattutto, il suo modo di parlare: sotto voce, come per volersi nascondere, quasi per paura di disturbare, di suscitare la reazione altrui.
Michele, come quasi tutti gli altri bambini della Muraglia, era un animale acquatico, di quelli che vivono in simbiosi con l’ambiente marino, che dal mare, da quel piccolo tratto di mare che era il loro paradiso in terra, riuscivano a ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno: attrezzi per le loro attività di pesca, materiali per costruire i loro giocattoli o per procurarsi il loro piccolo reddito vendendo le esche ai “grandi” o il ferrovecchio a “ciccoratina”.
Ciù Migheri è stato parte della mia (della nostra) infanzia; è stato compagno di giochi, di nuotate, di scherzi, di guerre contro i ragazzi degli altri quartieri, di piccole avventure e di grandi e piccoli sogni.
Eppure, anche quando rideva e sembrava felice, Michele aveva nella sguardo un fondo di tristezza mista a paura. Forse ombre mai rimosse, timori ancestrali, rudi metodi correttivi subiti sin da piccolissimo. Forse.
Nel periodo della giovinezza, i percorsi di molti di noi si differenziarono. Michele, insieme a pochi altri, non riuscì ad attrezzarsi per superare quel mondo. Scelse, come un eremita, di abitare in un “fortino” alla Speranza, continuando a vivere come sempre aveva vissuto: a diretto contatto col mare. Quella vita aspra, dura, in mezzo alle intemperie e alle avversità lo minò nel fisico.
La morte, ora, ha chiuso per sempre quello sguardo timido, spaventato, con un fondo di tristezza.
Ciao Michele, anche tu come Pasqualino, Tore C. e Tore E. vi portate via un pezzetto della nostra vita. Sono certo che vivrete a lungo nei nostri ricordi.
Che ti sia lieve la terra.
Michele, proprio così come appare nella foto di quegli anni, era un bambino timido. Così timido che, se dovessi ora pensare a una sua caratteristica saliente, mi viene in mente, soprattutto, il suo modo di parlare: sotto voce, come per volersi nascondere, quasi per paura di disturbare, di suscitare la reazione altrui.
Michele, come quasi tutti gli altri bambini della Muraglia, era un animale acquatico, di quelli che vivono in simbiosi con l’ambiente marino, che dal mare, da quel piccolo tratto di mare che era il loro paradiso in terra, riuscivano a ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno: attrezzi per le loro attività di pesca, materiali per costruire i loro giocattoli o per procurarsi il loro piccolo reddito vendendo le esche ai “grandi” o il ferrovecchio a “ciccoratina”.
Ciù Migheri è stato parte della mia (della nostra) infanzia; è stato compagno di giochi, di nuotate, di scherzi, di guerre contro i ragazzi degli altri quartieri, di piccole avventure e di grandi e piccoli sogni.
Eppure, anche quando rideva e sembrava felice, Michele aveva nella sguardo un fondo di tristezza mista a paura. Forse ombre mai rimosse, timori ancestrali, rudi metodi correttivi subiti sin da piccolissimo. Forse.
Nel periodo della giovinezza, i percorsi di molti di noi si differenziarono. Michele, insieme a pochi altri, non riuscì ad attrezzarsi per superare quel mondo. Scelse, come un eremita, di abitare in un “fortino” alla Speranza, continuando a vivere come sempre aveva vissuto: a diretto contatto col mare. Quella vita aspra, dura, in mezzo alle intemperie e alle avversità lo minò nel fisico.
La morte, ora, ha chiuso per sempre quello sguardo timido, spaventato, con un fondo di tristezza.
Ciao Michele, anche tu come Pasqualino, Tore C. e Tore E. vi portate via un pezzetto della nostra vita. Sono certo che vivrete a lungo nei nostri ricordi.
Che ti sia lieve la terra.
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