Alghero S.p.a.
Affidare il servizio di cura e manutenzione urbana ad un'impresa privata è una buona idea?
È circolata nei giorni scorsi la proposta di privatizzare la società partecipata Alghero In House e di assegnarle, una volta passata in mano agli imprenditori, il servizio di cura e manutenzione urbana.
Come sapete, la In House è la protesi del Comune di Alghero per la cura e manutenzioni urbane. Da piccoli interventi edili a micro-manutenzioni stradali, da tosature a transennamenti, da trasporto a supporto per gli eventi organizzati dal Comune, la In House è stata, con tutti pregi e difetti, il factotum della città.
Ma non voglio qui parlare dei destini della In House. Voglio invece provare a spiegare perché in generale affidare questo servizio ad un'impresa privata potrebbe non essere una buona idea. Ci tornerò tra un momento.
Prima qualche nota su che cosa ci dicono alcune esperienze e il recente dibattito economico sui modi di organizzare questo tipo di servizi.
Organizzazioni, private o pubbliche, hanno bisogno di beni e servizi, e possono decidere o di comprarli sul mercato o di produrseli da sole. Come e perché esse si comportano di fronte a questo dilemma del fare-o-comprare è una delle più affascinanti domande dell’indagine economica (a Oliver Williamson ha fruttato il premio Nobel nel 2009).
Un punto a favore del comprare si ha quando il mercato produce il bene o il servizio richiesto con maggiore efficienza. Ad esempio perché si tratta di un bene standard o con forti economie di scala nella produzione o quando è relativamente facile controllarne la qualità.
Per capirci, se il Comune di Alghero dovesse voler avere un’auto blu, ha in linea di principio queste due opzioni: acquistarla attraverso una gara oppure fabbricarsela da solo. Hm, come potrebbe funzionare questa seconda cosa? Ecco la storia. Il Sindaco e un paio di assessori acquistano pezzi di una Fiat Panda su Internet, o in una versione più temeraria si producono i pezzi da soli partendo dalle materie prime, o meglio ancora la storia inizia con loro che raccolgono la legna nel bosco. Poi si richiudono in un garage. E montano l’automobile. Hm…
Come capite, proprio perché l’automobile è un bene standardizzato e la sua produzione esibisce grandi economie di scala, si tende ad acquistarla anziché farsela sa soli. Lo stesso vale per la carta, per la vernice, per il caffè, per il toner, per i computer, tutte cose che il Sindaco e gli assessori, non abbiamo motivi di dubitare, sarebbero capacissimi di produrre, e invece fanno bene ad acquistare sul mercato.
Ma non tutti beni e servizi sono standard né esibiscono economie di scala. Alcuni sono così particolari, richiedono soluzioni così su misura, devono essere così flessibili, sono così delicati e critici e decisivi, è così difficile controllarne la qualità che conviene mantenere un diretto controllo sui processi, tempi, modi e esiti della loro produzione. Questa loro particolarità rende molto rischioso affidarsi al mercato anche perché è molto complicato scrivere un contratto di compravendita o un capitolato d’appalto che preveda tutte le particolarità, tutti i dettagli e tutti i casi futuri che potrebbero verificarsi.
Ebbene, di che tipo sono i servizi pubblici di cura e manutenzione urbana? Ci sono molte ragioni per sostenere che sono di questo secondo tipo. Certamente si tratta di servizi che è molto difficili da contrattualizzare, come peraltro tutte le attività che richiedono di prendersi cura delle cose. L’annoso problema di organizzare su base commerciale un decente servizio di raccolta rifiuti e di nettezza urbana in questa città ne è uno dei più netti (si fa per dire) esempi. Eppure, rispetto al servizio di cura e manutenzione urbana con tutte le sue casualità, eccezionalità, imprevedibilità, flessibilità e necessità di pronto intervento, la raccolta dei rifiuti è forse più facile da immaginare in termini in standard e parametri di prestazione da riportare in un capitolato d’appalto. Certamente sui rifiuti esiste una più solida base di esperienze a cui ispirarsi.
Non saprei nemmeno da dove si potrebbe iniziare a scrivere un appalto in cui ad una società privata si affida la cura e la manutenzione di un’intera città: prevedere tutte le esigenze, tutte le possibili circostanze, codificarle in parametri di prestazione e penali in caso di inadempienze. Forse si potrebbe immaginare una forma di disponibilità “a tassametro”, un ammontare di ore-uomo che il Comune usa alla bisogna, quando e dove servono. Ma allora in che cosa questo modello sarebbe diverso dal rivolgersi ad un’agenzia interinale o accedere a un semplice leasing del personale o ramo d’azienda, cioè in sostanza tornando al punto a capo attraverso forme che ulteriormente complicano ciò che si desidera semplificare?
Conosco un’obiezione: con la privatizzazione si eliminano clientele e corruzione. Hm, no sul pianeta dal quale provengo io. E tenderei a non rassegnarmi che il pubblico debba sempre essere clientelare e corrotto. Ma su questo, consentitemi, magari ne parliamo un’altra volta.
Come dicevo, tutto questo non riguarda strettamente i destini della società Alghero In House e la sua eventuale privatizzazione (semmai qualcuno volesse rilevarla, non riesco proprio a vederci dietro un progetto imprenditoriale, salvo qualche temporanea garanzia di rendita che il pubblico potrebbe del tutto impropriamente promettere).
Ciò che invece non deve convincerci è l’idea che si possa facilmente avere un efficace servizio pubblico di cura e manutenzione urbana affidandosi al mercato.
Ci sono attività e servizi che si possono con agilità affidare alle imprese private: che so, il lavaggio dei vetri a S. Anna, forse pure la manutenzione di qualche area verde o parco, forse persino la nettezza urbana (anche se ho sempre maggiori dubbi), ma non la cura e manutenzione dell’intera città. Come ho spiegato, non perché il privato è opera del demonio, ma perché la speciale natura del servizio pone problemi di fattibilità, efficacia e qualità che rendono questa una soluzione precaria e fragile.
Sarebbe bene invece studiare efficaci modelli di gestione pubblica di questa fondamentale attività. La cura della città è un servizio pubblico troppo complicato, delicato, sensibile e importante per pensare di comprarlo in un supermarket.
Ivan Blečić |
Come sapete, la In House è la protesi del Comune di Alghero per la cura e manutenzioni urbane. Da piccoli interventi edili a micro-manutenzioni stradali, da tosature a transennamenti, da trasporto a supporto per gli eventi organizzati dal Comune, la In House è stata, con tutti pregi e difetti, il factotum della città.
Ma non voglio qui parlare dei destini della In House. Voglio invece provare a spiegare perché in generale affidare questo servizio ad un'impresa privata potrebbe non essere una buona idea. Ci tornerò tra un momento.
Prima qualche nota su che cosa ci dicono alcune esperienze e il recente dibattito economico sui modi di organizzare questo tipo di servizi.
Organizzazioni, private o pubbliche, hanno bisogno di beni e servizi, e possono decidere o di comprarli sul mercato o di produrseli da sole. Come e perché esse si comportano di fronte a questo dilemma del fare-o-comprare è una delle più affascinanti domande dell’indagine economica (a Oliver Williamson ha fruttato il premio Nobel nel 2009).
Un punto a favore del comprare si ha quando il mercato produce il bene o il servizio richiesto con maggiore efficienza. Ad esempio perché si tratta di un bene standard o con forti economie di scala nella produzione o quando è relativamente facile controllarne la qualità.
Per capirci, se il Comune di Alghero dovesse voler avere un’auto blu, ha in linea di principio queste due opzioni: acquistarla attraverso una gara oppure fabbricarsela da solo. Hm, come potrebbe funzionare questa seconda cosa? Ecco la storia. Il Sindaco e un paio di assessori acquistano pezzi di una Fiat Panda su Internet, o in una versione più temeraria si producono i pezzi da soli partendo dalle materie prime, o meglio ancora la storia inizia con loro che raccolgono la legna nel bosco. Poi si richiudono in un garage. E montano l’automobile. Hm…
Come capite, proprio perché l’automobile è un bene standardizzato e la sua produzione esibisce grandi economie di scala, si tende ad acquistarla anziché farsela sa soli. Lo stesso vale per la carta, per la vernice, per il caffè, per il toner, per i computer, tutte cose che il Sindaco e gli assessori, non abbiamo motivi di dubitare, sarebbero capacissimi di produrre, e invece fanno bene ad acquistare sul mercato.
Ma non tutti beni e servizi sono standard né esibiscono economie di scala. Alcuni sono così particolari, richiedono soluzioni così su misura, devono essere così flessibili, sono così delicati e critici e decisivi, è così difficile controllarne la qualità che conviene mantenere un diretto controllo sui processi, tempi, modi e esiti della loro produzione. Questa loro particolarità rende molto rischioso affidarsi al mercato anche perché è molto complicato scrivere un contratto di compravendita o un capitolato d’appalto che preveda tutte le particolarità, tutti i dettagli e tutti i casi futuri che potrebbero verificarsi.
Ebbene, di che tipo sono i servizi pubblici di cura e manutenzione urbana? Ci sono molte ragioni per sostenere che sono di questo secondo tipo. Certamente si tratta di servizi che è molto difficili da contrattualizzare, come peraltro tutte le attività che richiedono di prendersi cura delle cose. L’annoso problema di organizzare su base commerciale un decente servizio di raccolta rifiuti e di nettezza urbana in questa città ne è uno dei più netti (si fa per dire) esempi. Eppure, rispetto al servizio di cura e manutenzione urbana con tutte le sue casualità, eccezionalità, imprevedibilità, flessibilità e necessità di pronto intervento, la raccolta dei rifiuti è forse più facile da immaginare in termini in standard e parametri di prestazione da riportare in un capitolato d’appalto. Certamente sui rifiuti esiste una più solida base di esperienze a cui ispirarsi.
Non saprei nemmeno da dove si potrebbe iniziare a scrivere un appalto in cui ad una società privata si affida la cura e la manutenzione di un’intera città: prevedere tutte le esigenze, tutte le possibili circostanze, codificarle in parametri di prestazione e penali in caso di inadempienze. Forse si potrebbe immaginare una forma di disponibilità “a tassametro”, un ammontare di ore-uomo che il Comune usa alla bisogna, quando e dove servono. Ma allora in che cosa questo modello sarebbe diverso dal rivolgersi ad un’agenzia interinale o accedere a un semplice leasing del personale o ramo d’azienda, cioè in sostanza tornando al punto a capo attraverso forme che ulteriormente complicano ciò che si desidera semplificare?
Conosco un’obiezione: con la privatizzazione si eliminano clientele e corruzione. Hm, no sul pianeta dal quale provengo io. E tenderei a non rassegnarmi che il pubblico debba sempre essere clientelare e corrotto. Ma su questo, consentitemi, magari ne parliamo un’altra volta.
Come dicevo, tutto questo non riguarda strettamente i destini della società Alghero In House e la sua eventuale privatizzazione (semmai qualcuno volesse rilevarla, non riesco proprio a vederci dietro un progetto imprenditoriale, salvo qualche temporanea garanzia di rendita che il pubblico potrebbe del tutto impropriamente promettere).
Ciò che invece non deve convincerci è l’idea che si possa facilmente avere un efficace servizio pubblico di cura e manutenzione urbana affidandosi al mercato.
Ci sono attività e servizi che si possono con agilità affidare alle imprese private: che so, il lavaggio dei vetri a S. Anna, forse pure la manutenzione di qualche area verde o parco, forse persino la nettezza urbana (anche se ho sempre maggiori dubbi), ma non la cura e manutenzione dell’intera città. Come ho spiegato, non perché il privato è opera del demonio, ma perché la speciale natura del servizio pone problemi di fattibilità, efficacia e qualità che rendono questa una soluzione precaria e fragile.
Sarebbe bene invece studiare efficaci modelli di gestione pubblica di questa fondamentale attività. La cura della città è un servizio pubblico troppo complicato, delicato, sensibile e importante per pensare di comprarlo in un supermarket.
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