La lotta giusta dei giornalisti della Nuova Sardegna
I giornalisti della Nuova Sardegna si battono per difendere una storia preziosa.
“Centovent'anni meritano rispetto”. Così comincia il testo dell’appello lanciato dal CDR de “La Nuova Sardegna” prima dello sciopero di due giorni (il 26 e il 27 luglio) proclamato per protestare contro la decisione dell’ editore Finegil (gruppo Espresso) di incorporare la testata sarda nella finanziaria del gruppo De Benedetti, spostandone la sede a Roma e decretando, quindi, la fine dell’autonomia di uno dei due più importanti quotidiani sardi.
Antonio Budruni |
Penso che i cento vent’anni della Nuova Sardegna meritino un grande, uno speciale, rispetto. Per ciò che il giornale nato a Sassari alla fine del secolo XIX ha rappresentato per la Sardegna democratica e per l’intero Paese.
Non spetta a me, in questa sede, ricostruire la storia del glorioso quotidiano voluto dalla borghesia progressista sassarese. Voglio soffermarmi, invece, sul ruolo che il giornale, allora diretto da Medardo Riccio, svolse in campo regionale, ma, forse mai come allora, anche in campo nazionale, nei mesi di luglio e agosto del 1911: cinquantenario dell’Unità d’Italia.
Il 12 e 13 luglio del 1911 un consistente gruppo di lavoratori sardi, impiegati nella costruzione della ferrovia direttissima Roma-Napoli, fu aggredito dalla popolazione inferocita di un paesino del basso Lazio (Itri, allora in provincia di Caserta e, oggi, in quella di Latina) che ne uccisi alcuni a colpi di arma da fuoco e ne ferì diverse decine.
Le cause dell’”eccidio di Itri” – come titolò la Nuova Sardegna in quei giorni – sono spiegate in un mio libro, uscito in occasione del centenario (I giorni del massacro, Itri, 1911: la camorra contro gli operai sardi, Carlo Delfino editore, Sassari 2011) e a quelle pagine rimando. Ciò che è importante ricordare oggi, invece, quando i giornalisti della Nuova scioperano per l’autonomia della testata, è proprio il ruolo svolto dal giornale allora. Un ruolo e una funzione impensabili senza l’autonomia e del giornale sardo.
Senza la battaglia politica e culturale del giornale sassarese, la notizia del massacro di Itri sarebbe stata tutta intera contenuta nella “velina” diffusa dalla camorra all’intera stampa nazionale che, piena di pregiudizi e spesso indifferente ai destini dei poveracci, aveva diffuso la versione addomestica di una lotta furibonda tra lavoratori di diverse regioni. E, quelli sardi, se l’erano meritata la reazione furiosa degli abitanti del “mite” paesino alle porte di Gaeta, in quanto si resero protagonisti di atti di intimidazione ripetuti, di aggressione alle donne del paese, di attentati dinamitardi, di disturbi alla quiete pubblica e via elencando.
Tutti i quotidiani italiani, tutti, riportarono le notizie di quei tragici avvenimenti riproducendo quell’unica “velina”. Anche la Nuova Sardegna, nel suo primo resoconto (inviato dal corrispondente da Roma S.M.) si adeguò.
Ma, già dal successivo articolo, comparso sul quotidiano sassarese il 17 luglio, si comprende appieno l’importanza dell’autonomia (politica e finanziaria) di un organo d’informazione. L’articolo, di Claudio Demartis, scuote non solo le coscienze dei lettori della Nuova Sardegna, ma diventa un grimaldello che spingerà molti altri quotidiani nazionali a rinnegare le prime ricostruzioni della vicenda e a riscriverla da cima a fondo.
A partire dal 17 luglio 1911, il giornale sassarese si eleva, con forza, nel panorama giornalistico nazionale, dando dimostrazione di civiltà e democrazia, di apertura mentale e lungimiranza, diventando un punto di riferimento per l’intera Sardegna.
Il giornale, diretto sapientemente da Medardo Riccio, detta la linea della democrazia e della civiltà, difendendo la Sardegna e i sardi, non con malintesi nazionalismi, ma semplicemente per le ragioni del buon diritto, della civiltà e della democrazia.
Leggere gli editoriali di quei giorni è istruttivo per la storia stessa del giornalismo italiano e per cogliere le differenze culturali, profonde, davvero molto profonde, tra l’isola e il resto del meridione d’Italia.
I giornalisti della Nuova Sardegna si battono oggi, giustamente, per difendere questa storia preziosa. I cittadini democratici non possono che stare dalla loro parte.
Non spetta a me, in questa sede, ricostruire la storia del glorioso quotidiano voluto dalla borghesia progressista sassarese. Voglio soffermarmi, invece, sul ruolo che il giornale, allora diretto da Medardo Riccio, svolse in campo regionale, ma, forse mai come allora, anche in campo nazionale, nei mesi di luglio e agosto del 1911: cinquantenario dell’Unità d’Italia.
Il 12 e 13 luglio del 1911 un consistente gruppo di lavoratori sardi, impiegati nella costruzione della ferrovia direttissima Roma-Napoli, fu aggredito dalla popolazione inferocita di un paesino del basso Lazio (Itri, allora in provincia di Caserta e, oggi, in quella di Latina) che ne uccisi alcuni a colpi di arma da fuoco e ne ferì diverse decine.
Le cause dell’”eccidio di Itri” – come titolò la Nuova Sardegna in quei giorni – sono spiegate in un mio libro, uscito in occasione del centenario (I giorni del massacro, Itri, 1911: la camorra contro gli operai sardi, Carlo Delfino editore, Sassari 2011) e a quelle pagine rimando. Ciò che è importante ricordare oggi, invece, quando i giornalisti della Nuova scioperano per l’autonomia della testata, è proprio il ruolo svolto dal giornale allora. Un ruolo e una funzione impensabili senza l’autonomia e del giornale sardo.
Senza la battaglia politica e culturale del giornale sassarese, la notizia del massacro di Itri sarebbe stata tutta intera contenuta nella “velina” diffusa dalla camorra all’intera stampa nazionale che, piena di pregiudizi e spesso indifferente ai destini dei poveracci, aveva diffuso la versione addomestica di una lotta furibonda tra lavoratori di diverse regioni. E, quelli sardi, se l’erano meritata la reazione furiosa degli abitanti del “mite” paesino alle porte di Gaeta, in quanto si resero protagonisti di atti di intimidazione ripetuti, di aggressione alle donne del paese, di attentati dinamitardi, di disturbi alla quiete pubblica e via elencando.
Tutti i quotidiani italiani, tutti, riportarono le notizie di quei tragici avvenimenti riproducendo quell’unica “velina”. Anche la Nuova Sardegna, nel suo primo resoconto (inviato dal corrispondente da Roma S.M.) si adeguò.
Ma, già dal successivo articolo, comparso sul quotidiano sassarese il 17 luglio, si comprende appieno l’importanza dell’autonomia (politica e finanziaria) di un organo d’informazione. L’articolo, di Claudio Demartis, scuote non solo le coscienze dei lettori della Nuova Sardegna, ma diventa un grimaldello che spingerà molti altri quotidiani nazionali a rinnegare le prime ricostruzioni della vicenda e a riscriverla da cima a fondo.
A partire dal 17 luglio 1911, il giornale sassarese si eleva, con forza, nel panorama giornalistico nazionale, dando dimostrazione di civiltà e democrazia, di apertura mentale e lungimiranza, diventando un punto di riferimento per l’intera Sardegna.
Il giornale, diretto sapientemente da Medardo Riccio, detta la linea della democrazia e della civiltà, difendendo la Sardegna e i sardi, non con malintesi nazionalismi, ma semplicemente per le ragioni del buon diritto, della civiltà e della democrazia.
Leggere gli editoriali di quei giorni è istruttivo per la storia stessa del giornalismo italiano e per cogliere le differenze culturali, profonde, davvero molto profonde, tra l’isola e il resto del meridione d’Italia.
I giornalisti della Nuova Sardegna si battono oggi, giustamente, per difendere questa storia preziosa. I cittadini democratici non possono che stare dalla loro parte.
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