La sentenza sulla marea gialla
Una sentenza che suscita confusione in coloro che sono coinvolti, e non dovrebbe.
Enrico Muttoni |
La sentenza che ha chiuso, non si sa per quanto tempo, i risvolti penali dell’"affare marea mialla" ha, nella sua chiarezza, suscitato altra confusione in coloro che sono, più o meno direttamente, coinvolti.
La confusione deriva dal non riuscire ad comprendere il problema: il quale, bisogna dire, non è di facile divulgazione e spiegazione.
La prima causa di disorientamento è che si continua a parlare di vecchio e nuovo impianto di depurazione. No, l’inizio dell’attività a S. Marco non è coincisa con la chiusura di quello del Mariotti. L’impianto, sempre unico, è stato diviso in due sezioni, distanti tra loro otto chilometri, di cui quella terminale è stata portata nella zona industriale. Con l’aggravante che il Mariotti poteva lavorare liquami per 110 mila abitanti, mentre S. Marco solo per 77 mila. Un imbuto, potenziale generatore di gravi problemi. Per unire le due sezioni, è stata spesa una cifra enorme, uniti ad un consistente aumento di quelli di gestione, e alla bolletta elettrica per il pompaggio dei liquami.
Non si è inoltre ancora recepito il fatto che la marea gialla non è causata dalla qualità dei reflui, ma soprattutto dalla loro quantità. In precedenza, infatti, il Calich riceveva addirittura i modestissimi reflui non trattati di Olmedo, senza fastidio alcuno per le spiagge di Maria Pia. Non si capisce, a questo punto, come ci sia ancora chi parla di depuratore "tarato male", secondo quanto riporta la Nuova Sardegna. Se così fosse, aspettiamoci proposte mirabolanti per un’ ulteriore depurazione delle acque, con esborsi ingenti e nessun sollievo, perché la quantità di refluo da collocare non cambia.
La domanda a cui bisogna dar risposta è: dove versare 20 mila e passa metri cubi di acqua giornaliera trattata, anche ammettendo che sia legalmente idonea al riutilizzo?
Non nel Calich, certo. Ma nemmeno nelle campagne della Nurra, per una serie di motivi. Il primo è che non c’è stata sperimentazione, per capire se veramente la campagna accetti questi reflui senza problemi, e quanto il depuratore sia affidabile. Il secondo è, che in caso di fuori servizio dell’impianto, la campagna sarebbe obbligata a ricevere liquami non trattati. Il terzo è che questa irrigazione è obbligatoria 365 giorni l’anno. Questa obbligatorietà fa sì che la campagna sia costretta ad accettare acqua sporca e salina anziché quella pulita della rete, anche in periodi piovosi e di abbondanza; con conseguenze di un microinquinamento cumulativo che darebbe i suoi frutti, questa volta senza rimedio, alle generazioni future.
Ci sono poi problemi più squisitamente tecnici, derivanti dalla spregiudicatezza progettuale. Che vede scelte disinvolte come far passare acque reflue o fresche nelle medesime tubazioni di distribuzione, destinate così a periodici intasamenti. O come raddoppiare la bolletta elettrica, per la ridistribuzione dei reflui.
Conclusione: la destinazione dei reflui dev’essere il mare. Dove e come, andrà stabilito tenendo conto di com’era organizzato il vecchio sistema di depurazione, e di quello che fanno gli altri comuni costieri della regione.
Resta un’ultima domanda, riguardo a quanto riferito da la Nuova Sardegna. Perché il parere autorevole, decisivo e vincolante sul da farsi deve provenire da un consulente esterno? Questo signore, in ogni modo, non darà mai garanzie scritte o accetterà penali in caso di insuccesso. A questa domanda potrei dare tante risposte, ma tutte così brutte che le tengo per me.
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