La manomissione dell’urbanistica algherese
La nuova variante urbanistica. Non c'è bisogno.
“Non c’è bisogno”, rispondeva l’indimenticabile Nottola – il personaggio principale de Le mani sulla città di Francesco Rosi – al compare che gli chiedeva “e mo’ cambiamo il piano regolatore?”. Già: perché affannarsi ad un nuovo piano urbanistico?, perché può far ballare l’amministrazione comunale? E perché si dovrebbero mantenere gli impegni presi in campagna elettorale, individuando una figura di Garante sui conflitti di interesse che potrebbero emergere con la pianificazione urbanistica?
Ma veniamo ai fatti. Su proposta dalla Giunta e dall’Assessore competente, venerdì scorso la Commissione urbanistica ha approvato con alcune astensioni il testo di una variante al Piano Particolareggiato delle zone B1 e B2. La variante, che riguarda la buona parte della città consolidata nelle estese aree attorno al centro storico, ora attende la discussione in Consiglio Comunale per l’approvazione finale.
L’edificabilità di queste aree è aumentata da che è entrato in vigore (peraltro con una procedura anomala, giacché lo adottò un Commissario prefettizio e non il Consiglio Comunale) il Piano Particolareggiato. La maggior volumetria edificabile, sinora, era limitata da alcune ragioni di ordine – per così dire – estetico: per garantire continuità e omogeneità dei fronti, l’altezza massima in molti casi non poteva superare la quota raggiunta dagli immobili confinanti. E ora con questa variante si intende superare alcune di queste limitazioni (ma non in tutti i casi, generando così differenze tra gli edifici realizzati prima e dopo dell’approvazione del vigente Piano Regolatore). Non c’è bisogno.
Ci sono vari aspetti tecnici di dettaglio che per ragioni di spazio non possiamo qui approfondire, per cui solleveremo solo alcune questioni per spiegare perché riteniamo inopportuno che il Consiglio Comunale adotti la variante.
Per consentire a chi ci legge di seguire meglio queste nostre note, mettiamo a disposizione le Norme tecniche di attuazione ancora in vigore, la proposta di variante e la sentenza del Tribunale Penale di Sassari che è stata consegnata ai consiglieri comunali a supporto delle motivazioni allegate alla proposta di variante.
Nelle motivazioni della variante si legge che le norme attuali presentano “problemi interpretativi” sul coordinamento e la prevalenza tra i diversi commi di alcuni articoli del citato Piano particolareggiato. A supporto di questa tesi, come abbiamo detto, ai consiglieri comunali è stato consegnato un pronunciamento del Tribunale penale di Sassari del 7 Maggio 2012 (riferito ad una richiesta di riesame di un decreto di sequestro preventivo per un presunto abuso edilizio).
Alla nostra lettura, il pronunciamento del Tribunale non pare sollevare problemi interpretativi. Infatti, come i lettori possono verificare alla pagina 2 della sentenza, i magistrati, applicando comuni criteri giuridici, stabiliscono senza ambiguità non solo la prevalenza tra i vari commi delle citate norme ma, soprattutto, rispetto al Regolamento Edilizio (di cui Alghero è dotata prima di qualunque piano), le cui norme non possono essere disattese.
Un inciso. Il Tribunale menziona anche un procedimento per reati di abuso d’ufficio per favoritismo legato al rilascio delle autorizzazioni per l’intervento sottoposto al sequestro. Non abbiamo notizie se il procedimento è ancora in corso, ma se lo fosse, potrebbe essere influenzato da una variante con la quale il Consiglio Comunale svolge una funzione “giustificativa” avallando la tesi dei “problemi interpretativi” e dell’ambiguità delle norme esistenti. Non c’è bisogno.
Ma lasciamo da parte le questioni legali ed entriamo nel merito urbanistico. Gli obiettivi urbanistici che le motivazioni alla variante dichiarano di voler perseguire sono: parità di trattamento e miglior coordinamento delle singole norme che si proponevano di raggiungere l’omogeneità prospettica degli edifici e più in generale il consolidamento urbanistico di queste parti della città. Si tratta certamente di obiettivi di valore che meriterebbe perseguire.
Eppure, la variante non è coerente con questi obiettivi: ad esempio, in fatto di parità di trattamento, mentre la proposta amplia in alcune situazioni la possibilità di sopraelevare anche al di là delle altezze dei fabbricati adiacenti (si veda il nuovo comma 12), questa facoltà non viene concessa in altre situazioni (commi 13 e 14). Com’è ovvio, questo fa decadere anche l’omogeneità dei prospetti.
Analogamente, in alcuni casi permane il vincolo di altezza di quattro piani, mentre in altri questo vincolo non c’è. In generale, il combinato disposto dei nuovi commi 10, 12, 13 e 14 non garantisce insieme né la parità di trattamento né l’uniformità prospettica, due obiettivi che – come abbiamo detto – sono alla base delle motivazione della variante e, in generale, dell’impianto delle norme di attuazione del Piano particolareggiato.
Sia detto tra parentesi, per perseguire l’obiettivo di omogeneità prospettica, in genere è elementare prassi urbanistica stabilire in modo rigoroso le altezze massime. Una lucida politica urbanistica potrebbe anche prevedere forme di premialità in cambio del riposizionamento dei volumi all’interno del fabbricato, per fornire ai privati incentivi a realizzare questo obiettivo. Ma per fare questo ci vuole una lucida politica urbanistica, non un’orba variante.
Moltiplicare fattispecie che possono condurre ad esiti diversi da tale obiettivo, come già le norme fanno e la variante ulteriormente complica, sarebbe una prassi da evitare. Non c’è bisogno.
E, parlando della complessiva impostazione delle norme su cui interviene la variante, sempre nelle motivazioni si afferma che l’impianto originario era coerente sino all’introduzione (con la delibera del Consiglio Comunale n. 32 del 1999) dell’emendamento al comma 1bis degli articoli 4.1 e 4.2. A proposito di questo emendamento, nelle motivazioni abbiamo letto congetture su quale “pare” fosse stata all’epoca la volontà del Consiglio Comunale. Non ci permettiamo di speculare sulle intenzioni dal passato, ma vogliamo invece suggerire che, se il comma 1bis risulta incoerente con l’impianto complessivo delle norme, sarebbe più logico e coerente proporre di “cassare” il comma, anziché introdurre una complicata serie di interventi e modifiche che, a nostro avviso, snaturano ulteriormente gli obiettivi di cui sopra, che il Piano si prefiggeva. Non c’è bisogno.
E poi, ci chiediamo: è stata fatta una valutazione degli effetti delle nuove norme? Quanti e quali lotti e fabbricati ricadrebbero nelle nuove fattispecie? Quali effetti ricadrebbero sulla forma e sull’immagine della città? Di tutto questo, nella documentazione della variante non c’è traccia… eppure, senza queste valutazioni, tralasciando anche tutte le altre riserve che abbiamo espresso sopra, sarebbe molto difficile esprimersi a favore della variante.
Sia chiaro: le vigenti norme per le zone B1 e B2, e ancor più le pratiche della loro applicazione, non ci entusiasmano. Ma metterci le mani in questo modo non risolve i problemi, anzi potrebbe aggravarli perché nuove norme hanno spesso bisogno di “assestarsi”, di tradursi in nuove pratiche edilizie, che potrebbero far sorgere nuove controversie. Non c’è bisogno.
Vogliamo infine portare all’attenzione altri effetti, che si produrrebbero sulle aree da cedere per i servizi (i cosiddetti standard urbanistici). Aumentando i volumi edificati, aumenta la popolazione insediabile e, di conseguenza, la domanda di servizi (che nel piano regolatore di Alghero, va ricordato, sono “di quartiere” e la cui entità complessiva è pari a 18 mq per abitante), per i quali bisogna reperire aree. Nelle zone ormai sature, queste aree spesso non sono disponibili. Per questo, prassi urbanistiche anche sarde (è il caso di Cagliari) prevedono, per esempio, una classificazione mista: alcuni lotti edificabili possono utilizzare la volumetria disponibile solo a prezzo della cessione di una porzione del lotto da destinare ad aree verdi, al gioco e allo sport.
Ma per farlo ci vuole una riconsiderazione complessiva della potenziale popolazione insediabile, un censimento delle aree già disponibili e una valutazione dei lotti potenzialmente utilizzabili per queste politiche.
Ammettiamo per un momento (ma solo per un momento!) che una variante s’ha da fare. Anziché selettivamente liberalizzare le altezze, perché invece non intervenire per rendere effettivi i meccanismi per dotare la città di servizi?
Infatti, le norme vigenti contemplano la possibilità di rinvenire nei piani seminterrati o terreni le aree da cedersi per servizi. A quote inferiori al livello stradale, l’unico servizio di quartiere accettabile sono i parcheggi, che devono essere pubblici e non di pertinenza dell’edificio. Degli altri servizi, vorremmo augurarci che – per la tutela della salute della sempre meno numerosa infanzia e gioventù algherese – né le aree per l’istruzione (le cosiddette S1) né quelle per il gioco e lo sport (S3) venissero reperite al seminterrato. E anche per le zone S2, che comprendono i luoghi di culto, troveremmo poco adeguati i locali seminterrati (a meno che le messe che vi si celebrano non siano di quelle “nere”…).
Anche per queste ragioni le norme contemplano la prassi delle cosiddette “monetizzazioni”: in sostanza, anziché prevedere e stabilire le aree da cedere al Comune per servizi, in alternativa è consentito pagare (da qui il termine “monetizzazione”). Ora, è innegabile che la dinamica degli ultimi anni con l’aumento delle densità edilizie abbia reso la città pesantemente sotto-dotata di servizi, scaricando questi deficit su residenti e frequentanti della città. Sarebbe dunque più opportuno ripensare e limitare la pratica delle monetizzazioni. A maggior ragione se, come il testo propone, la monetizzazione della mancata corresponsione di un obbligo (la cessione di aree per servizi) viene addirittura scomputata dagli oneri di urbanizzazione (una parte della cosiddetta “Bucalossi”) da pagare per ottenere la concessione edilizia. “Noi dobbiamo solo fare in modo che il Comune porti qui le strade, le fogne e l’acqua, il gas, la luce e il telefono”, concludeva il citato Nottola de Le mani sulla città: le zone B di Alghero, a parte il gas, sono già state dotate di tutto questo, a spese della collettività. Chi aumenta il carico urbanistico usa di più le infrastrutture e gli spazi pubblici; chi aumenta il carico urbanistico usa di più le reti tecnologiche: dunque è giusto che le paghi, senza sconti che graverebbero infine sulla collettività di residenti.
Consentiteci in chiusura qualche considerazione di metodo. L’organizzazione e la pianificazione urbanistica delle zone B sono determinanti per lo sviluppo complessivo della città di Alghero. Sono anche decisive per le “contabilità” nelle quali si incorre nella stesura di un piano urbanistico. Per questo sarebbe opportuno avviare un riordino urbanistico complessivo della città, anziché procedere in maniera frammentaria, senza una chiara visione degli scenari urbanistici che le norme introdotte ad hoc rendono possibili.
Questa amministrazione si è impegnata a realizzare un nuovo PUC. E quando si intende fare questo al massimo ci si può affidare a norme transitorie che non mettano a repentaglio e non limitino il ventaglio delle opzioni e scelte che la nuova pianificazione potrebbe adottare. La variante proposta va invece in direzione opposta. Esattamente opposta.
Dopo un anno di nuova amministrazione, quando la stesura del PUC avrebbe dovuto essere su saldi binari e il dibattito pubblico ad uno stadio avanzato, ci capita invece di non riscontrare altro che una discutibile variante che mette le mani negli ingranaggi di una norma che, palesemente, in passato non ha saputo produrre uno sviluppo urbanistico di qualità. Del quale, invece, c’è bisogno.
Ma anche al di là delle nostre valutazioni nel merito della variante, speriamo almeno di far comprendere che decisioni come queste possono avere importanti effetti di breve, medio e lungo termine. Crediamo che le questioni sollevate siano di interesse pubblico e che, quindi, debbano essere sottoposte alla valutazione e al dibattito pubblico. Avevamo capito (e sperato) che questo sarebbe stato il metodo costante della nuova amministrazione, perché esso è anche il metodo imprescindibile per fare urbanistica. Noi a questo dibattito pubblico siamo stati, siamo e saremo disponibili. Anche se, forse, non c’è bisogno...
Ivan Blečić e Alessandra Casu sono ricercatori presso il Dipartimento di Architettura Design e Urbanistica dell’Università di Sassari
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L’edificabilità di queste aree è aumentata da che è entrato in vigore (peraltro con una procedura anomala, giacché lo adottò un Commissario prefettizio e non il Consiglio Comunale) il Piano Particolareggiato. La maggior volumetria edificabile, sinora, era limitata da alcune ragioni di ordine – per così dire – estetico: per garantire continuità e omogeneità dei fronti, l’altezza massima in molti casi non poteva superare la quota raggiunta dagli immobili confinanti. E ora con questa variante si intende superare alcune di queste limitazioni (ma non in tutti i casi, generando così differenze tra gli edifici realizzati prima e dopo dell’approvazione del vigente Piano Regolatore). Non c’è bisogno.
Ci sono vari aspetti tecnici di dettaglio che per ragioni di spazio non possiamo qui approfondire, per cui solleveremo solo alcune questioni per spiegare perché riteniamo inopportuno che il Consiglio Comunale adotti la variante.
Per consentire a chi ci legge di seguire meglio queste nostre note, mettiamo a disposizione le Norme tecniche di attuazione ancora in vigore, la proposta di variante e la sentenza del Tribunale Penale di Sassari che è stata consegnata ai consiglieri comunali a supporto delle motivazioni allegate alla proposta di variante.
Nelle motivazioni della variante si legge che le norme attuali presentano “problemi interpretativi” sul coordinamento e la prevalenza tra i diversi commi di alcuni articoli del citato Piano particolareggiato. A supporto di questa tesi, come abbiamo detto, ai consiglieri comunali è stato consegnato un pronunciamento del Tribunale penale di Sassari del 7 Maggio 2012 (riferito ad una richiesta di riesame di un decreto di sequestro preventivo per un presunto abuso edilizio).
Alla nostra lettura, il pronunciamento del Tribunale non pare sollevare problemi interpretativi. Infatti, come i lettori possono verificare alla pagina 2 della sentenza, i magistrati, applicando comuni criteri giuridici, stabiliscono senza ambiguità non solo la prevalenza tra i vari commi delle citate norme ma, soprattutto, rispetto al Regolamento Edilizio (di cui Alghero è dotata prima di qualunque piano), le cui norme non possono essere disattese.
Un inciso. Il Tribunale menziona anche un procedimento per reati di abuso d’ufficio per favoritismo legato al rilascio delle autorizzazioni per l’intervento sottoposto al sequestro. Non abbiamo notizie se il procedimento è ancora in corso, ma se lo fosse, potrebbe essere influenzato da una variante con la quale il Consiglio Comunale svolge una funzione “giustificativa” avallando la tesi dei “problemi interpretativi” e dell’ambiguità delle norme esistenti. Non c’è bisogno.
Ma lasciamo da parte le questioni legali ed entriamo nel merito urbanistico. Gli obiettivi urbanistici che le motivazioni alla variante dichiarano di voler perseguire sono: parità di trattamento e miglior coordinamento delle singole norme che si proponevano di raggiungere l’omogeneità prospettica degli edifici e più in generale il consolidamento urbanistico di queste parti della città. Si tratta certamente di obiettivi di valore che meriterebbe perseguire.
Eppure, la variante non è coerente con questi obiettivi: ad esempio, in fatto di parità di trattamento, mentre la proposta amplia in alcune situazioni la possibilità di sopraelevare anche al di là delle altezze dei fabbricati adiacenti (si veda il nuovo comma 12), questa facoltà non viene concessa in altre situazioni (commi 13 e 14). Com’è ovvio, questo fa decadere anche l’omogeneità dei prospetti.
Analogamente, in alcuni casi permane il vincolo di altezza di quattro piani, mentre in altri questo vincolo non c’è. In generale, il combinato disposto dei nuovi commi 10, 12, 13 e 14 non garantisce insieme né la parità di trattamento né l’uniformità prospettica, due obiettivi che – come abbiamo detto – sono alla base delle motivazione della variante e, in generale, dell’impianto delle norme di attuazione del Piano particolareggiato.
Sia detto tra parentesi, per perseguire l’obiettivo di omogeneità prospettica, in genere è elementare prassi urbanistica stabilire in modo rigoroso le altezze massime. Una lucida politica urbanistica potrebbe anche prevedere forme di premialità in cambio del riposizionamento dei volumi all’interno del fabbricato, per fornire ai privati incentivi a realizzare questo obiettivo. Ma per fare questo ci vuole una lucida politica urbanistica, non un’orba variante.
Moltiplicare fattispecie che possono condurre ad esiti diversi da tale obiettivo, come già le norme fanno e la variante ulteriormente complica, sarebbe una prassi da evitare. Non c’è bisogno.
E, parlando della complessiva impostazione delle norme su cui interviene la variante, sempre nelle motivazioni si afferma che l’impianto originario era coerente sino all’introduzione (con la delibera del Consiglio Comunale n. 32 del 1999) dell’emendamento al comma 1bis degli articoli 4.1 e 4.2. A proposito di questo emendamento, nelle motivazioni abbiamo letto congetture su quale “pare” fosse stata all’epoca la volontà del Consiglio Comunale. Non ci permettiamo di speculare sulle intenzioni dal passato, ma vogliamo invece suggerire che, se il comma 1bis risulta incoerente con l’impianto complessivo delle norme, sarebbe più logico e coerente proporre di “cassare” il comma, anziché introdurre una complicata serie di interventi e modifiche che, a nostro avviso, snaturano ulteriormente gli obiettivi di cui sopra, che il Piano si prefiggeva. Non c’è bisogno.
E poi, ci chiediamo: è stata fatta una valutazione degli effetti delle nuove norme? Quanti e quali lotti e fabbricati ricadrebbero nelle nuove fattispecie? Quali effetti ricadrebbero sulla forma e sull’immagine della città? Di tutto questo, nella documentazione della variante non c’è traccia… eppure, senza queste valutazioni, tralasciando anche tutte le altre riserve che abbiamo espresso sopra, sarebbe molto difficile esprimersi a favore della variante.
Sia chiaro: le vigenti norme per le zone B1 e B2, e ancor più le pratiche della loro applicazione, non ci entusiasmano. Ma metterci le mani in questo modo non risolve i problemi, anzi potrebbe aggravarli perché nuove norme hanno spesso bisogno di “assestarsi”, di tradursi in nuove pratiche edilizie, che potrebbero far sorgere nuove controversie. Non c’è bisogno.
Vogliamo infine portare all’attenzione altri effetti, che si produrrebbero sulle aree da cedere per i servizi (i cosiddetti standard urbanistici). Aumentando i volumi edificati, aumenta la popolazione insediabile e, di conseguenza, la domanda di servizi (che nel piano regolatore di Alghero, va ricordato, sono “di quartiere” e la cui entità complessiva è pari a 18 mq per abitante), per i quali bisogna reperire aree. Nelle zone ormai sature, queste aree spesso non sono disponibili. Per questo, prassi urbanistiche anche sarde (è il caso di Cagliari) prevedono, per esempio, una classificazione mista: alcuni lotti edificabili possono utilizzare la volumetria disponibile solo a prezzo della cessione di una porzione del lotto da destinare ad aree verdi, al gioco e allo sport.
Ma per farlo ci vuole una riconsiderazione complessiva della potenziale popolazione insediabile, un censimento delle aree già disponibili e una valutazione dei lotti potenzialmente utilizzabili per queste politiche.
Ammettiamo per un momento (ma solo per un momento!) che una variante s’ha da fare. Anziché selettivamente liberalizzare le altezze, perché invece non intervenire per rendere effettivi i meccanismi per dotare la città di servizi?
Infatti, le norme vigenti contemplano la possibilità di rinvenire nei piani seminterrati o terreni le aree da cedersi per servizi. A quote inferiori al livello stradale, l’unico servizio di quartiere accettabile sono i parcheggi, che devono essere pubblici e non di pertinenza dell’edificio. Degli altri servizi, vorremmo augurarci che – per la tutela della salute della sempre meno numerosa infanzia e gioventù algherese – né le aree per l’istruzione (le cosiddette S1) né quelle per il gioco e lo sport (S3) venissero reperite al seminterrato. E anche per le zone S2, che comprendono i luoghi di culto, troveremmo poco adeguati i locali seminterrati (a meno che le messe che vi si celebrano non siano di quelle “nere”…).
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Dopo un anno di nuova amministrazione, quando la stesura del PUC avrebbe dovuto essere su saldi binari e il dibattito pubblico ad uno stadio avanzato, ci capita invece di non riscontrare altro che una discutibile variante che mette le mani negli ingranaggi di una norma che, palesemente, in passato non ha saputo produrre uno sviluppo urbanistico di qualità. Del quale, invece, c’è bisogno.
Ma anche al di là delle nostre valutazioni nel merito della variante, speriamo almeno di far comprendere che decisioni come queste possono avere importanti effetti di breve, medio e lungo termine. Crediamo che le questioni sollevate siano di interesse pubblico e che, quindi, debbano essere sottoposte alla valutazione e al dibattito pubblico. Avevamo capito (e sperato) che questo sarebbe stato il metodo costante della nuova amministrazione, perché esso è anche il metodo imprescindibile per fare urbanistica. Noi a questo dibattito pubblico siamo stati, siamo e saremo disponibili. Anche se, forse, non c’è bisogno...
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