Quale Zona franca per la Sardegna?
Le soluzioni possono essere diverse: alcune sono praticabili, altre no.
Tonio Mura |
Quale zona franca per la Sardegna? Ce lo chiediamo perché le soluzioni possono essere diverse: alcune sono praticabili perché seguono il dettato dello Statuto Autonomo della Sardegna e norme successive; altre al momento non sono praticabili ma potrebbero diventarlo. Altre ancora non sono assolutamente praticabili ma, guarda caso, potrebbero rappresentare la miglior soluzione per la Sardegna e per i sardi.
1. I Punti Franchi. Trattasi della soluzione legalmente riconosciuta. Non sto a citare né leggi né articoli perché presumo che il lettore di questo pezzo, dato l’interesse, sappia come orientarsi.
1. I Punti Franchi. Trattasi della soluzione legalmente riconosciuta. Non sto a citare né leggi né articoli perché presumo che il lettore di questo pezzo, dato l’interesse, sappia come orientarsi.
Dico solo che la legge che individua i punti franchi è molto tardiva, e viene quarant’anni dopo lo Statuto Sardo. Di chi è la responsabilità di tale ritardo? Perché la classe politica isolana non ha chiesto da subito un regime fiscale di vantaggio, seppur in limitati punti? Perché la nostra isola, che ne aveva più bisogno, è passata indietro al porto di Trieste, a Livigno, a Campione d’Italia, a Gorizia, alla Valle d’Aosta, che da tempo sono punti franchi? Riflettiamoci, perché anche qui c’è una risposta alla nostra condizione di subalternità.
Meglio tardi che mai, direbbe qualcuno, e allora ecco le aree portuali interessate: Cagliari, Portovesme, Olbia, Oristano, Arbatax, Porto Torres. Cinquant’anni dopo, con l’allora Governo Soru e dopo un travagliato confronto col Governo Berlusconi, vengono indicate le ZFU (Zona franca urbana) della Sardegna (inizialmente esclusa dal programma del governo nazionale), che attualmente sono nove: Cagliari, Iglesias, Quartu S.Elena, Sassari, Alghero, Oristano, Carbonia, Selargius e Olbia.
La differenza tra Punti franchi e ZFU è sostanziale: il punto franco è una zona dove le lavorazioni e il commercio sono quasi esenti da tasse, e può essere la risposta locale alla delocalizzazione industriale (= spostare le industrie dove costa meno la manodopera e tutto il resto, purtroppo anche la sicurezza dei lavoratori).
Sui punti franchi, inoltre, pesano le norme del Codice doganale europeo, che limita l’applicazione delle agevolazioni agli scambi extracomunitari. La ZFU è un intervento che oserei definire quasi assistenziale, nel senso che è limitato ai quartieri e alle piccole imprese ivi operanti (per Alghero si è individuata La Pietraia) e si traduce in agevolazioni fiscali per compensare le sofferenze nella produzione e nella vendita. Definito il quadro a che punto siamo nel 2013? Mi verrebbe da dire quasi all’anno zero, se non fosse che qualcosa si muove ma limitatamente al porto di Cagliari. Tutti gli altri sono ancora progetti di carta! Purtroppo il tema è usato solo a fini di propaganda politica ed elettoralistica. Al contrario della Francia, con due grandi Free Zone al porto di Bordeaux e in Guinea, e un centinaio di ZFU sul territorio nazionale, tutte perfettamente operanti.
2. Una Zona Franca in deroga. Premesso che l’articolato legislativo sulle Zone franche è molto vario e complesso, e precisato che l’Unione Europea a tal proposito vigila in modo severo, questa proposta mira a superare i limiti dell’attuale situazione, che di fatto porta alla paralisi.
2. Una Zona Franca in deroga. Premesso che l’articolato legislativo sulle Zone franche è molto vario e complesso, e precisato che l’Unione Europea a tal proposito vigila in modo severo, questa proposta mira a superare i limiti dell’attuale situazione, che di fatto porta alla paralisi.
Non si tratta di agire solo sul piano legislativo, ma soprattutto sul piano politico. L’attuale crisi economica, di proporzione mondiale, ha fatto emergere le sacche di povertà che stazionavano anche nel vecchio continente. Talvolta le aree depresse coincidono col territorio di una nazione, per esempio la Grecia.
Tuttavia credo che non ci voglia molto per dimostrare che la Sardegna non se la tira meglio della Grecia! Non è nell’interesse dell’Europa permettere che intere nazioni della Comunità Europea o vasti territori nazionali versino in queste condizioni, mettendo a rischio la democrazia prima ancora che l’alta finanza. Spesso, nelle aree più in crisi, il regime fiscale è più alto, e lo Stato è identificato come la sanguisuga che attenta ai nostri risparmi o ci impone altri salassi.
La proporzione dei problemi è tale che certi Stati ormai, pur di vederli risolti, stanno rinunciando a pezzi di sovranità o alla qualità dei servizi alla persona. Data la situazione una cosa è certa: la crisi non si combatte da soli! Nel contempo si spera in un sussulto d’orgoglio politico della Comunità europea che, libera dai condizionamenti di certe lobby mondiali, sappia progettare il rientro delle fabbriche delocalizzate sul territorio europeo, o su alcune aree Free Zone, con la ridefinizione dei vantaggi fiscali, da applicare anche all’interno degli scambi comunitari.
Lo impone la logica del federalismo, la necessità di riequilibrare sul piano economico i territori attraverso interventi perequativi. Considerato che le risorse per dare aiuti economici diretti scarseggiano, si punti con più decisione a rendere fiscalmente più facile la vita delle imprese. I primi risultati si avrebbero sul piano occupazionale e, successivamente, su quello dei consumi. La nostra isola presenta tutti i requisiti per essere considerata una Free Zone integrale, anche per la sua centralità geografica.
Ecco la proposta attualmente non praticabile, che però di tanto in tanto fa capolino a Bruxelles. Una soluzione simile, meritevole però di aggiustamenti, è in vigore nelle isole Canarie, che gode di uno Statuto speciale per la Zona Franca approvato dalla Comunità europea. Peccato che l’argomento non sia nell’agenda politica dei nostri benemeriti partiti nazionali!
3. Dalla Free Zone alla Sardegna liberata. Non sto qui a dimostrare perché la Sardegna ha tutti i requisiti per essere riconosciuta uno Stato indipendente. In ogni caso mi sembra che a livello politico, specie tra gli indipendentisti, stia passando il concetto di vedere riconosciuta prima l’indipendenza delle nostre idee e, in seguito e come effetto logico, l’indipendenza nazionale. L’idea di Zona franca che meglio rappresenta i nostri progetti è quella integrale, non credo che a questo proposito possano esserci dei dubbi.
3. Dalla Free Zone alla Sardegna liberata. Non sto qui a dimostrare perché la Sardegna ha tutti i requisiti per essere riconosciuta uno Stato indipendente. In ogni caso mi sembra che a livello politico, specie tra gli indipendentisti, stia passando il concetto di vedere riconosciuta prima l’indipendenza delle nostre idee e, in seguito e come effetto logico, l’indipendenza nazionale. L’idea di Zona franca che meglio rappresenta i nostri progetti è quella integrale, non credo che a questo proposito possano esserci dei dubbi.
Se ci devono essere dei vantaggi questi devono essere diffusi e per tutti, per la Società che decide di delocalizzare in Sardegna e per l’allevatore che da sempre vive sui nostri territori. Ma prima della Zona Franca Integrale, e perché la Zona Franca funzioni, bisogna infrastrutturale l’isola.
In primis bisogna adeguare e potenziare i porti, gli aeroporti e le vie di comunicazione interne, compresa la ferrovia. Poi bisogna coinvolgere nell’operazione le Università sarde, perché si creino le figure in grado di programmare, gestire e migliorare il funzionamento della Zona Franca. Ci vogliono anche le banche, ma di banche sarde ormai c’è poco o niente (forse solo il nome), ma quel poco che c’è va potenziato e modernizzato tecnologicamente. Detto in breve: senza un riequilibrio infrastrutturale, culturale e finanziario dell’Isola, neanche la Zona Franca Integrale sarà sufficiente a ridefinire i nostri destini economici.
Per questo è necessario liberare la Sardegna dalle dipendenze, e questo può avvenire sul piano politico solo se si rafforzano i partiti locali e si mette in atto una politica di forti investimenti, magari sostenuti anche dall’Unione Europea, considerato che andremo a servire soprattutto i paesi del Mediterraneo. Mi hanno raccontato che in Veneto una strada a quattro corsie come l’Alghero-Sassari è stata completata in due anni, da noi ce ne vorranno trenta! Basti questa specie di metafora per dire che la Zona Franca deve essere un’occasione per liberare la Sardegna, per renderla competitiva e produrre un cambio di mentalità imprenditoriale. Senza questo c’è il serio rischio di dare vaste aree dei nostri territori agli speculatori internazionali, che si spostano qua e là a seconda dei vantaggi immediati che ne derivano. Sarebbe una nuova forma di schiavitù!
Invece la Zona Franca deve essere l’occasione per pretendere quello che fino ad oggi ci è stato negato, cioè la modernizzazione dell’isola. Sperando che continui la crisi degli Stati di ottocentesca memoria, e si aprano in Italia e in Europa nuove occasioni di indipendenza pacifica. Ecco perché bisogna arrivare all’appuntamento ben preparati, ed ecco perché non lo so se questa soluzione sarà praticabile, per quanto sia la più utile.
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