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Avanza la carica degli analfabeti
La politica e la cultura non sono più manifestazioni di una società che pensa se stessa e progetta il futuro.
Giuseppe Santino |
“Cultura come risorsa” è il tema di un convegno organizzato dalla CGIL ma non ieri o in un giorno prossimo venturo, bensì nel lontano marzo 1988.
È dell’8 ottobre 2013 la notizia che siamo gli ultimi tra i paesi sviluppati per competenze alfabetiche e penultimi per quelle matematiche.
Il divario tra il nostro Paese e gli altri, Estonia e Cipro compresi, è notevole tanto da far pensare ad un marcato analfabetismo soprattutto nella fascia d’età tra i 16 e i 25 anni; nuovi giovani e nuovi analfabeti, in barba ad ogni teoria sull’apprendimento lungo il corso della vita.
L’indagine del PIAAC (Programme for the International Sessment of Adult Competencies) segna, inoltre, ancora una volta, il netto divario tra le regioni del centro sud e del centro nord. E a fronte di una media nazionale di abbandono scolastico del 17,6 per cento abbiamo un 25,8 in Sardegna, un 25,00 in Sicilia ed un 21,8 in Campania. Ma tra le due date, dall’83 ad oggi, che cosa è accaduto?
La risposta può essere ovvia e per questo anche velata di banalità:
“c’è stato il ventennio berlusconiano”.
Niente di più vero e di più falso allo stesso tempo.
È vero che la scesa in campo di Berlusconi ha cambiato il modo di fare politica e di approccio ai problemi della società, mettendo l’accento su ciò che appare e non su ciò che è nella realtà, facendo un largo uso della demagogia populista. Ormai sappiamo tutto su Berlusconi e sul berlusconismo.
È falso perché non si tiene conto di due trasformazioni che hanno caratterizzato l’Italia; una politica che vede il mutamento della sinistra che, con la svolta della Bolognina di Occhetto, a mio avviso, ha perso la propria identità di forza progressista e una economica con un capitalismo che ha cambiato il volto con la globalizzazione. Una nuova classe imprenditoriale si è sostituita a quella che aveva portato il Paese fuori dalla crisi del dopoguerra; una classe borghese che, pur nel conflitto con il mondo operaio, aveva sempre tenuto in particolare attenzione l’interesse nazionale e la nobiltà del lavoro come manifestazione della dignità dell’uomo.
La nuova classe borghese, spregiudicata nella sua visione e nelle sue scelte, a braccetto con un’altrettanto spregiudicata classe finanziaria, ha trasformato il mondo del lavoro in pura speculazione economico-finanziaria, togliendogli ogni dignità ed espressione di democrazia e libertà. Merce umana che si aggiunge a merce e tutto viene monetizzato in un sistema globalizzato, utile solo alla proprietà che trova il modo di incrementare i guadagni senza reinvestimenti e ammodernamento che avrebbero creato occupazione.
Non sto a fare l’elenco delle speculazioni e del trasferimento a proprietà straniere di quelle imprese che una volta erano i gioielli dell’economia italiana. Sono dati stranoti. Un degrado economico che si accompagna a quello politico di cui il berlusconismo è anche effetto. E l’effetto deriva dalla incapacità della sinistra, e di una cultura autonoma e attenta ai processi socio-culturali, (un esempio è la crisi degli studi classici e la riduzione delle iscrizioni alle facoltà di lettere), di contrastare efficacemente la proposta di Berlusconi. Al contrario si sono fatti trarre in una imboscata, uscendone sconfitti.
La politica e la cultura non sono più manifestazioni di una società che pensa se stessa e progetta il futuro. La prima diviene manovra di basso profilo, la seconda mercificazione di prodotti e diffusione di banalità. (Per tacere dei professionisti dell’antiberlusconismo).
Il traboccare di libri nelle librerie non è affatto indice di manifestazione di vivacità culturale; la gran parte sono assolutamente insignificanti e privi di quella grandezza narrativa e di valori che fa del libro un oggetto al di là del tempo. Anche le case editrici, una volta fucine di Cultura, pubblicano di tutto e di più e affidano al mercato la permanenza di un autore sugli scaffali. La gran parte sono meteore. In questa mercificazione della cultura e di disinteressamento politico dei processi culturali, è tutto il nostro Paese a divenire quel “borgo selvaggio” che, per scomodare Leopardi ritiene
“argomento di riso e di trastullo […] dottrina e saper.”
E mentre le nostre città, da Urbino a Perugia-Assisi, Palermo e la stessa Carbonia si candidano, a buon diritto, a “città europea della cultura 2019” i siti archeologici ed i centri storici sono trascurati, se a Pompei cadono le case ad Agrigento crollano i palazzi barocchi; le biblioteche, i teatri, il cinema versano in difficoltà a causa dei tagli operati dalla politica: “Con la cultura non si mangia”, disse un ministro. Per non parlare della scuola, che ha perso la centralità nel processo di istruzione e la compartecipazione in quello educativo, costretta ad inseguire i modelli di una società da cui sono stati banditi idee capaci di progettare un futuro in grado di garantire la valorizzazione dell’uomo e la sua tendenza alla libertà.
Anche in questo caso grazie ad una sinistra che ha “saputo” ben adoperare il fuoco amico contro ministri come Luigi Berlinguer e Tullio de Mauro. Ci siamo trovati così con la riforma Gelmini. Una sinistra che ha preferito inseguire Berlusconi su un terreno non suo , non avendone il denaro, le tv, la carta stampata e soprattutto la spregiudicatezza politica. Dopo la svolta di Occhetto, il PD, per fermarci all’ultima sigla, ha dato l’impressione dell’albatros di Baudelaire, che non potendo mostrare la propria maestosità ed eleganza nel volo, rimane a terra, goffo, impacciato e deriso. Con la chiusura della “fabbrica” delle idee e della progettualità politica, abbiamo assistito alle sconfitte elettorali, alle mezze vittorie ed alla fine ingloriosa dei governi di centro-sinistra. L’ultima la miserevole vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica. L’unico intervento in campo culturale risale all’era Monti, il primo delle larghe intese, con la circolare sulla rimozione, dopo tre anni di permanenza, dei direttori dei musei e dei siti archeologici, per evitare fenomeni di corruzione e di connivenza.
Mi ricorda del bue che dice cornuto all’asino; a meno che il Presidente Letta non voglia prestar fede fino in fondo a quanto da lui stesso affermato:
“La cultura è la bandiera principale del nostro Governo”.
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