Navigando verso il cambiamento. Emigranti che fanno la storia.
Tonio Mura |
Il mare è una striscia, un pezzo di Mediterraneo, tra l’Africa e la Sicilia.
Oggi ci navigano i disperati, una volta i greci, i fenici o i romani, e le terre bagnate da quel mare erano sorelle: Atene e Alessandria, Cartagine e Tharros, Roma e Bisanzio.
Quel mare che oggi trasforma le spiagge in cimiteri, quel mare dalle profondità nere di lutto, ieri era la strada della cultura, dello scambio, delle alleanze. Mare delle divinità dell’Olimpo, mare dei primi missionari Cristiani, mare del califfo e dei seguaci del Profeta. Il centro del mondo, anzi il Mondo per eccellenza!
In questi giorni, dopo l’ultima strage del mare e dell’egoismo umano, ho sentito tante voci stonate, ho visto il pianto degli ipocriti e ho ascoltato con l’amaro in bocca la discolpa e l’accusa di uomini fuori dal tempo ma dentro le istituzioni, gente che continua a coltivare il disprezzo per i più deboli e la divisione, personaggi ignoranti che non sanno onorare la lunga storia del nostro mare. Si sapeva che sarebbe successo, sappiamo che potrà nuovamente accadere che una carretta del mare, spinta da un vecchio motore agonizzante, caricata all’inverosimile di uomini e di donne alla ricerca di una nuova vita, col favore del vento e con la calma dell’acqua, possa raggiungere le coste dell’isola di Lampedusa. Sappiamo che su quelle barche si carica solo carne umana, l’unica pagante, l’unica il cui peso vale oro per i nuovi negrieri, per i doganieri corrotti, per le organizzazioni del crimine di casa loro e di casa (cosa!) nostra. Non acqua da bere, non cibo, non giubbotti di salvataggio, non un razzo per segnalare la posizione: questi sono solo pesi e costi inutili!
È vero, il mare ha sempre due volti: la vita e la morte, la guerra e la pace, la divisione e la fratellanza. Nel Mediterraneo hanno navigato le navi uncinate della conquista romana, quelle delle scorribande saracene, le portaerei americane; poi le navi degli aiuti umanitari, quelle di crociera, le petroliere. Tutti i volti della storia in un bacino che bagna mille terre e mille popoli. Oggi quel mare svela le nostre contraddizioni, le paure delle società del benessere, rivela a noi stessi l’apatia dei nostri cuori, il superfluo della nostra carità, il sonno delle nostre coscienze.
Oggi su quel mare si combatte un’altra guerra per la conquista di un’altra libertà: la società multietnica! Non una guerra fatta di armi, non più vele insanguinate, ma la spinta di migliaia e migliaia di esseri umani che vogliono abitare il mondo, che chiedono di rompere i confini, che sfidano il nostro senso di sicurezza, che cercano quella possibilità che a nessuno dovrebbe essere negata, neanche ai condannati!
Bisogna visitarle le città del nord Africa, bisogna girare tra le viuzze della qasba, e di tanto in tanto alzare lo sguardo. Dieci, cento, mille parabole puntano il cielo, appese alle finestre, legate ai balconi, fissate sui muri. Sono gli occhi del desiderio, la vetrina del nostro occidente, le TV che deformano la realtà. Non sono lì per seguire i programmi in arabo di Al Jazzera bensì per far entrare il nostro mondo nelle loro povere case, perché con mio enorme stupore ho saputo che conoscevano tutti i programmi dello stupidario di prima serata della RAI e di Mediaset.
Da una parte la guerra, le rivolte, la miseria e i sacrifici, la dittatura e il fanatismo religioso; dall’altra i caroselli pubblicitari, i concorsi per le Miss, la sanità e l’istruzione per tutti, le belle auto, i soldi facili, la democrazia e la libertà, le città metropolitane, cibo in abbondanza. Ma quale giovane, uomo o donna che sia, rapito da questo miraggio, non sogna di raggiungere una nostra spiaggia? Se tutto va bene è una notte di mare e poi altre favole, altre Mille e una notte da vivere da protagonisti, tra gli eccessi e le falsificazioni della modernità. Si, è vero, tra i migranti ci sono i politici perseguitati, gli intellettuali in fuga, i profughi; ma il grosso è povera gente, che fa zapping tra le TV francesi, spagnole, italiane, tedesche o inglesi. È gente che desidera essere come noi, nel bene e purtroppo anche nel male. Siamo noi il modello da imitare, nonostante tutto!
Storie di migrazione, storie conosciute anche da noi sardi, quando le famiglie si dividevano per un lavoro al nord o all’estero, quando si partiva per fare fortuna, quando non sempre si veniva trattati con il rispetto che si deve agli uomini. Quando il telefono era un lusso e si scrivevano le lettere, e si scrivevano in italiano perché anche la nuova lingua era una conquista, un segno di emancipazione. Anche noi sardi abbiamo conosciuto quel miraggio, per poi ritrovarci anche più poveri, perché strappati dalla nostra terra e senza affetti.
Perché se il miraggio è il sogno, la realtà può essere un incubo, la negazione di tutto ciò che si era sperato. Noi si partiva con la valigia di cartone legata a spago, dal nord Africa si parte con i vestiti portati addosso. Noi si saliva su piroscafi rumorosi ma quasi sicuri, loro vengono caricati su barche di sfortuna, destinate all’abbandono.
Però c’è qualcuno, c’è sempre qualcuno che contro la dignità umana chiede l’applicazione della legge, e se la legge è un elogio del rifiuto, l’inno del rimpatrio, la prigione dell’ingenuo o dell’innocente poco conta. Prima la legge! Anche se si chiama Bossi-Fini. Poi ci sono i pregiudizi, i più duri a morire, la paura del diverso e dello straniero, peggio ancora se ha la pelle scura, esattamente come Gesù. Siamo quello a cui loro aspirano, sono le vittime della nostra propaganda del benessere, del nostro modello culturale, della nostra egemonia coloniale.
Da qualche giorno sono lì, i nostri ammiratori, nella tomba di una barca; fra qualche mese conosceranno un’altra tomba, quella della dimenticanza! Siamo il canto delle sirene, l’attraente pazzia che spinge la barca all’orizzonte, verso il vuoto di domani. Come sempre mi sorprende il coraggio delle mamme, di queste donne coraggiose pronte a sfidare il mare pur di dare una nuova speranza ai figli, donne coperte dai vestiti della tradizione ma con la mente aperta al futuro, donne che non hanno paura della sorte avversa.
Mentre noi costruiamo monumenti al milite ignoto, nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa ogni tomba ha un numero, e tutte le tombe sono un macabro monumento agli emigrati ignoti, a uomini, donne e bambini che un nome ce l’avevano, veri pionieri della storia. Perché il mediterraneo, la culla delle nostre civiltà, non è indifferente. Esso è sempre un ponte, nonostante tutto sta nuovamente cambiando il corso della storia, e fra venti, trent’anni, quando capiremo che per tutti è più conveniente convivere, forse qualcuno ricorderà a quale costo si è ottenuto tutto questo. E magari quel giorno un volo collegherà Alghero ad Orano.
Il mondo sta cambiando, non c’è cosa peggiore del voler restare fermi a difendere le nostre malferme convinzioni.
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