Ritornare alla terra
Una proposta per rilanciare l’agroalimentare in Sardegna.
Tonio Mura |
Ritornare alla terra! È questo lo slogan che da più parti è presentato come scaccia crisi, con un occhio rivolto soprattutto ai giovani.
Uno slogan che potrebbe funzionare anche in Sardegna, specialmente dopo che la crisi dell’industria ha lasciato migliaia di famiglie senza stipendio e un numero indefinito di professionalità fuori mercato.
Ritornare alla terra significa affidarsi alla più grande risorsa che i sardi possiedono, ma significa anche riconquistarci la terra e il mare che ci appartengono.
Tra terra, cielo e mare, ben due terzi di ciò che ci appartiene è usato in modo esclusivo dalle servitù militari.
Un’altra buona parte è occupata dalla ruggine delle industrie dismesse, da cimiteri di ferro e di piombo, da infiltrazioni di idrocarburi, da discariche industriali abusive ed estremamente pericolose.
Ritornare alla terra! Perché i dati sono inquietanti, e denunciano la dipendenza alimentare del popolo sardo, una di quelle cose che Gandhi ha combattuto sino alla morte. Tra carne e prodotti agricoli entrano nella nostra isola una cosa come 225 milioni di euro. Quando va bene esportiamo poco più della metà, 140 milioni di euro, in prevalenza formaggi (dati Coldiretti).
Entrare in un supermercato è una tragedia, perché tolto Su Inu , Su Casu e S’Abba (non sempre) il resto è d’importazione. Si, è vero, il pane lo facciamo in Sardegna ma la farina viene da fuori, così è per i dolci e anche per la pasta. La salsiccia sarda è sarda solo di nome, perché la materia prima se non viene dall’Emilia viene dall’Olanda.
L’altro ieri sul bancone della verdura c’erano i pomodori dei Paesi Bassi e gli agrumi spagnoli! Ritornare alla terra, perché c’è una distanza tra import ed export di 100 milioni di euro, che possono essere trasformati in agricoltura moderna, in allevamenti a mare, in industria alimentare, con una ricaduta occupazionale non indifferente.
Ritornare alla terra! Perché c’è un’industria turistica che deve crescere soprattutto nella valorizzazione dei prodotti locali. Perché ciò possa realizzarsi è necessario garantire nel tempo prodotti di qualità e in quantità. Si tratta di rompere quel pregiudizio, tanto in voga in Sardegna, che la quantità non si sposa con la qualità. Non è vero: le mele del Trentino sono buone e sono tante! La città di Alghero era rinomata per i suoi pomodori, richiesti anche dai lontani cagliaritani, perché sapevano di sale, perché erano bagnati dall’umidità del mare e concimati con la palla marina! Se ne producevano tanti perché erano buoni e molto ricercati, anche fuori Alghero. Poi è arrivata la SIR, e qui mi fermo, perché altrimenti dovrei sentenziare il doppio fallimento delle politiche industriali attuate in Sardegna: uno,non è mai nata una vera industria; due, è morta l’agricoltura. Così non è stato altrove, dove industria e agricoltura convivono senza grosse difficoltà. Ogni anno entrano in Sardegna una cosa come 2 milioni di turisti, più della popolazione locale. Purtroppo allo stato attuale non riusciamo a nutrirli senza dipendere dal continente o dall’estero. Come si dice: abbiamo il pane ma non i denti!
Ritornare alla terra! Ma anche al mare! Purtroppo noi sardi non abbiamo mai avuto un buon rapporto col mare, e forse questo ci ha condizionati. Siamo pescatori di costa, che navigano a vista su piccole barche, ferme in porto ad ogni coda di vento. Pochi sono quelli che praticano la pesca d’altura, non sfonda l’allevamento ittico, gli stagni non sono sfruttati a sufficienza. Purtroppo si tratta di un settore sguarnito anche di scuole e poco gettonato dalla formazione professionale. Così succede che al mercato del pesce la specie più numerosa è quella dell’Adriatico, che notoriamente è un mare che non bagna la Sardegna. Poi ci sono gli Oceani. Eppure siamo circondati dal mare, si può dire che abbiamo più mare che terra, ma si tratta di una risorsa quasi dimenticata. E infatti non raramente sono di altre regioni i motopescherecci che calano le reti nel Mar di Sardegna. Un’altra occasione gettata al vento.
Ritornare alla terra! Perché la terra vale, e vale di più se è libera dalle pale eoliche e non coperta da migliaia di pannelli solari. Se poi aggiungiamo che le società che investono nell’eolico o nel fotovoltaico pagano le tasse in altre regioni e dirottano i profitti fuori dalla Sardegna il gioco è fatto: stiamo svendendo la nostra terra ai nuovi predatori travestiti da ambientalisti! Se lo chiedano i sardi se conviene di più coltivare o produrre energia pulita ma non troppo? Se lo chiedano i sardi quale danno provocano a livello ambientale e turistico i panorami inquinati dalle torri dell’eolico o i campi coperti da migliaia di specchi? Eppure esistono soluzioni alternative molto meno invasive e sicuramente interessanti per l’autosufficienza energetica delle nostre aziende agricole. Parlo del mini-eolico e della parabola a specchio, due sistemi rivoluzionari che a quanto pare non soddisfano le esigenze di chi dell’energia ha fatto un business, e perciò sono diffusi solo nelle nazioni più avvedute e attente alle reali esigenze del mondo agricolo. Ci sarebbero anche le serre fotovoltaiche, purché la loro estensione e copertura sia relazionata alle esigenze dell’azienda e non a quelle dei grossi investitori nel campo dell’energia.
Ritornare alla terra! Perché in Sardegna dobbiamo ancora inventare il nostro modello turistico, facendo leva sulle potenzialità degli agriturismo che già esistono, puntando sul biologico, creando un marchio che distingua la produzione e la filiera sarda, incentivando la nascita di una vera industria della trasformazione alimentare, incoraggiando la ristorazione a puntare esclusivamente sui prodotti sardi, vincolando l’assegnazione dei servizi mensa a protocolli che favoriscano la somministrazione di prodotti locali. Basterebbe quest’ultimo punto a creare la svolta, se si pensa che la ristorazione collettiva in Sardegna distribuisce più di 10 milioni di pasti all’anno. Bisognerà investire anche in pubblicità, è ovvio! Ma su questo punto voglio spiegarmi meglio: chi di noi, percorrendo la Carlo Felice, non si è fermato ad Abbasanta o a Tramatza? Ebbene io ci ho fatto caso: in questi due autogrill modello Sardegna non si vendono prodotti sardi! Avessi il potere di farlo ritirerei la licenza ai gestori, perché è vergognoso pensare che in spazi del genere non ci sia posto per la promozione delle nostre eccellenze alimentari.
Ritornare alla terra! Significa scuola professionale, corsi di formazione, alta specializzazione universitaria. Poi meccanica, elettricità, informatica, comunicazione. Significa enogastronomia, accoglienza, fattorie didattiche, escursionismo. Ma anche innovazione, ricerca, nuova cultura d’impresa, nuovi investimenti. Potrei continuare con l’elencazione e invece mi fermo, perché credo di aver già dimostrato che ritornare alla terra, nel 2013, significa pensare a una nuova agricoltura, senz’altro più tecnologica e avanzata. Vorrei invece soffermarmi sulla questione per me cruciale: quando usciamo a fare la spesa cerchiamo prima di tutto i prodotti sardi, è forse il modo migliore per dare un po’ di fiato alla nostra debole economia agricola. Sperando che il mondo delle imprese agricole sarde e la politica trovino al più presto un accordo per rilanciare questo importante settore dell’economia sarda, forse quello con le più alte potenzialità di crescita, anche nel breve periodo.
Ritornare alla terra! Ma anche al mare! Purtroppo noi sardi non abbiamo mai avuto un buon rapporto col mare, e forse questo ci ha condizionati. Siamo pescatori di costa, che navigano a vista su piccole barche, ferme in porto ad ogni coda di vento. Pochi sono quelli che praticano la pesca d’altura, non sfonda l’allevamento ittico, gli stagni non sono sfruttati a sufficienza. Purtroppo si tratta di un settore sguarnito anche di scuole e poco gettonato dalla formazione professionale. Così succede che al mercato del pesce la specie più numerosa è quella dell’Adriatico, che notoriamente è un mare che non bagna la Sardegna. Poi ci sono gli Oceani. Eppure siamo circondati dal mare, si può dire che abbiamo più mare che terra, ma si tratta di una risorsa quasi dimenticata. E infatti non raramente sono di altre regioni i motopescherecci che calano le reti nel Mar di Sardegna. Un’altra occasione gettata al vento.
Ritornare alla terra! Perché la terra vale, e vale di più se è libera dalle pale eoliche e non coperta da migliaia di pannelli solari. Se poi aggiungiamo che le società che investono nell’eolico o nel fotovoltaico pagano le tasse in altre regioni e dirottano i profitti fuori dalla Sardegna il gioco è fatto: stiamo svendendo la nostra terra ai nuovi predatori travestiti da ambientalisti! Se lo chiedano i sardi se conviene di più coltivare o produrre energia pulita ma non troppo? Se lo chiedano i sardi quale danno provocano a livello ambientale e turistico i panorami inquinati dalle torri dell’eolico o i campi coperti da migliaia di specchi? Eppure esistono soluzioni alternative molto meno invasive e sicuramente interessanti per l’autosufficienza energetica delle nostre aziende agricole. Parlo del mini-eolico e della parabola a specchio, due sistemi rivoluzionari che a quanto pare non soddisfano le esigenze di chi dell’energia ha fatto un business, e perciò sono diffusi solo nelle nazioni più avvedute e attente alle reali esigenze del mondo agricolo. Ci sarebbero anche le serre fotovoltaiche, purché la loro estensione e copertura sia relazionata alle esigenze dell’azienda e non a quelle dei grossi investitori nel campo dell’energia.
Ritornare alla terra! Perché in Sardegna dobbiamo ancora inventare il nostro modello turistico, facendo leva sulle potenzialità degli agriturismo che già esistono, puntando sul biologico, creando un marchio che distingua la produzione e la filiera sarda, incentivando la nascita di una vera industria della trasformazione alimentare, incoraggiando la ristorazione a puntare esclusivamente sui prodotti sardi, vincolando l’assegnazione dei servizi mensa a protocolli che favoriscano la somministrazione di prodotti locali. Basterebbe quest’ultimo punto a creare la svolta, se si pensa che la ristorazione collettiva in Sardegna distribuisce più di 10 milioni di pasti all’anno. Bisognerà investire anche in pubblicità, è ovvio! Ma su questo punto voglio spiegarmi meglio: chi di noi, percorrendo la Carlo Felice, non si è fermato ad Abbasanta o a Tramatza? Ebbene io ci ho fatto caso: in questi due autogrill modello Sardegna non si vendono prodotti sardi! Avessi il potere di farlo ritirerei la licenza ai gestori, perché è vergognoso pensare che in spazi del genere non ci sia posto per la promozione delle nostre eccellenze alimentari.
Ritornare alla terra! Significa scuola professionale, corsi di formazione, alta specializzazione universitaria. Poi meccanica, elettricità, informatica, comunicazione. Significa enogastronomia, accoglienza, fattorie didattiche, escursionismo. Ma anche innovazione, ricerca, nuova cultura d’impresa, nuovi investimenti. Potrei continuare con l’elencazione e invece mi fermo, perché credo di aver già dimostrato che ritornare alla terra, nel 2013, significa pensare a una nuova agricoltura, senz’altro più tecnologica e avanzata. Vorrei invece soffermarmi sulla questione per me cruciale: quando usciamo a fare la spesa cerchiamo prima di tutto i prodotti sardi, è forse il modo migliore per dare un po’ di fiato alla nostra debole economia agricola. Sperando che il mondo delle imprese agricole sarde e la politica trovino al più presto un accordo per rilanciare questo importante settore dell’economia sarda, forse quello con le più alte potenzialità di crescita, anche nel breve periodo.
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