È colpa nostra
Che lezione trarremo, da questa catastrofe? Nessuna.
Muttoni |
È colpa nostra. La nuova, annunciatissima tragedia che ha colpito la Gallura ed il Nuorese ha, come al solito, dato la stura alla parallela alluvione di commenti, che hanno coperto tutto il panorama dei sentimenti umani, dalla compassione all'ira.
Che lezione trarremo, da questa catastrofe? Nessuna.
Perché siamo di fronte ad una pianta malata, e ci affanniamo a curarne la chioma, mentre ad essere malate sono le radici.
La chioma, infatti, rappresenta il coacervo di norme, leggi e regolamenti di prevenzione e sicurezza, mentre le radici siamo noi.
Noi, e per noi intendo tutti coloro che ritengono di avere un minimo di buon senso, siamo infatti bravissimi a mettere insieme piani di organizzazione ed intervento, e i relativi protocolli, ma in quanto ad applicarli, bè, è un altro discorso.
A parte i comportamenti criminosi, quali la lottizzazione ed edificazione su aree a rischio, ed opere pubbliche fatte, diciamo così, col cemento depotenziato, esiste tutta una serie di superficialità e comportamenti che fanno sì che le perturbazioni si mutino in disastri.
Manca infatti totalmente l'educazione della cittadinanza, sarebbe meglio dire la profilassi, per affrontare le situazioni di crisi. Alzi la mano chi, avendo udito l'avviso di allerta della protezione civile, cambia in modo
percettibile il proprio comportamento o programma. Del resto, la maggior parte degli avvisi risultano, se non falsi, in manifestazioni molto modeste o su zone molto limitate.
E qui, la nostra genetica allergia alla disciplina, mostra tutta la sua potenziale pericolosità. Nonostante i regolamenti organizzativi dei soccorsi siano dettagliatissimi, le cose non funzionano perché, in quei frangenti, ognuno è obbligato a pensare a se stesso: in un momento in cui pensare è difficilissimo, e dovrebbero subentrare gli automatismi.
Automatismi che dovrebbero attivarsi se, periodicamente e regolarmente, in tutte le strutture pubbliche, scuole prima di tutto, fosse insegnato, detto, e qualche volta ordinato o addirittura proibito, il comportamento da adottare. Ma il tempo impiegato in antinfortunistica, in Italia, verrebbe considerato alla stregua dell'ora di religione o di educazione fisica: materie pedanti e con la sufficienza garantita.
Che lezione trarremo, da questa catastrofe? Nessuna.
Perché siamo di fronte ad una pianta malata, e ci affanniamo a curarne la chioma, mentre ad essere malate sono le radici.
La chioma, infatti, rappresenta il coacervo di norme, leggi e regolamenti di prevenzione e sicurezza, mentre le radici siamo noi.
Noi, e per noi intendo tutti coloro che ritengono di avere un minimo di buon senso, siamo infatti bravissimi a mettere insieme piani di organizzazione ed intervento, e i relativi protocolli, ma in quanto ad applicarli, bè, è un altro discorso.
A parte i comportamenti criminosi, quali la lottizzazione ed edificazione su aree a rischio, ed opere pubbliche fatte, diciamo così, col cemento depotenziato, esiste tutta una serie di superficialità e comportamenti che fanno sì che le perturbazioni si mutino in disastri.
Manca infatti totalmente l'educazione della cittadinanza, sarebbe meglio dire la profilassi, per affrontare le situazioni di crisi. Alzi la mano chi, avendo udito l'avviso di allerta della protezione civile, cambia in modo
percettibile il proprio comportamento o programma. Del resto, la maggior parte degli avvisi risultano, se non falsi, in manifestazioni molto modeste o su zone molto limitate.
E qui, la nostra genetica allergia alla disciplina, mostra tutta la sua potenziale pericolosità. Nonostante i regolamenti organizzativi dei soccorsi siano dettagliatissimi, le cose non funzionano perché, in quei frangenti, ognuno è obbligato a pensare a se stesso: in un momento in cui pensare è difficilissimo, e dovrebbero subentrare gli automatismi.
Automatismi che dovrebbero attivarsi se, periodicamente e regolarmente, in tutte le strutture pubbliche, scuole prima di tutto, fosse insegnato, detto, e qualche volta ordinato o addirittura proibito, il comportamento da adottare. Ma il tempo impiegato in antinfortunistica, in Italia, verrebbe considerato alla stregua dell'ora di religione o di educazione fisica: materie pedanti e con la sufficienza garantita.
Chi non ricorda, nei luoghi di lavoro, i corsi di 8 ore di antinfortunistica, mai verificati e ripetuti?
Dobbiamo perciò ricordarci, nelle emergenze, che la nostra indisciplina si somma all'imprevidenza della
pubblica amministrazione in tema di protezione del territorio. Per esempio, pensiamo alle migliaia di scantinati allagati: eppure tutti avrebbero dovuto essere dotati di pompa di sentina. Peccato che, durante i fenomeni naturali importanti, manchi la corrente elettrica. Eppure ci sono i progetti approvati.
Dobbiamo perciò ricordarci, nelle emergenze, che la nostra indisciplina si somma all'imprevidenza della
pubblica amministrazione in tema di protezione del territorio. Per esempio, pensiamo alle migliaia di scantinati allagati: eppure tutti avrebbero dovuto essere dotati di pompa di sentina. Peccato che, durante i fenomeni naturali importanti, manchi la corrente elettrica. Eppure ci sono i progetti approvati.
Anni fa andai per lavoro nello studio di un rinomatissimo collega. Al termine della visita, mi fu fatto notare, appeso al muro, un importante progetto per la realizzazione di una discarica, in località "Abba Currente". Ora, non serve una o dieci lauree per capire che in località Abba Currente non ci deve stare altro che acqua, quando è corrente: eppure nessuno si aspettava opposizioni alla realizzazione. Le carte, infatti, erano tutte a posto.
Non so se il progetto sia poi stato realizzato: ma quando dico che la pianta é malata alle radici, è questo che intendo.
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