Finanza e individuo
Occorre pensare a riaffermare e rilanciare i diritti dell’individuo e della collettività.
Giuseppe Santino |
Dall’inizio dell’aggravarsi della crisi economica, anno 2007, si sono registrati 1,2 milioni di disoccupati in più con un tasso in percentuale del 4,6 ed il dato sulla disoccupazione giovanile, specie al sud, è oltremodo allarmante con un numero a due cifre che tocca il 45%.
In questo quadro di per sé drammatico sembra non spuntare il sole della ripresa, mentre si assiste ad un ping-pong di cifre tra l’Istat ed il ministro dell’economia Sarcomanni.
A dar ragione all’Istat, che prevede lo sforamento del debito pubblico e il calo del Pil dell’1,8%, interviene l’Europa con le sue grigie previsioni sul nostro Paese, in barba ai viaggi della fiducia intrapresi da Sarcomanni.
Ma è anche l’Europa a dover fare una revisione sul ruolo svolto nella crisi che ha attanagliato e ancora stringe dentro una morsa i paesi europei.
Il presidente Schulz definisce “scioccante il bilancio degli stregoni europei della finanza della gestione della crisi economica a cinque anni dal fallimento delle Lehman Brothers”.
L’errore di fondo è proprio quello di aver inquadrato la crisi come crisi finanziaria e non strutturale di un sistema produttivo ormai incapace di reggere le sfide del nuovo millennio. La finanza ha pensato di sostituirsi all’impresa e ne ha accelerato la crisi. Da qui la politica di austerità e dei tagli nella falsa illusione che questo potesse favorire la crescita. Il primo risultato è stata l’immagine di “aguzzino” dell’Europa agli occhi dei cittadini, generando fenomeni di ostilità politica ed economica verso l’Unione.
Ma c’è un altro aspetto che non viene messo abbastanza in risalto ed è la conseguenza di questa anomala crisi economica. Anomala perché la si affronta solo dal punto di vista della finanza e non dell’economia e dei suoi riflessi sul sociale. E’ la ricaduta negativa sui diritti individuali ciò che caratterizza questo ormai lungo periodo, mettendoli drammaticamente in gioco, per cui è riduttivo inquadrare la crisi nell’ambito esclusivo dei beni materiali, di capacità di acquisto, di svalutazione e via discorrendo.
L’abbandono progressivo dei diritti fondamentali che fa del lavoratore una merce, prima che un uomo e un cittadino, è da inserire in un contesto generale della crisi della cultura, nella sua globalità, non più in grado di generare idee e di indicare vie di sviluppo. E’ venuta meno la caratteristica fondamentale del pensiero filosofico, per Marx come per Nietzsche i filosofi avrebbero dovuto trasformare il mondo, che parte da lontano, da quel Socrate che rinunciò alla vita per la verità, indicando la strada allo sviluppo del pensiero sociale. Così dalle speculazione platonica e aristotelica sul rapporto idee, cose-realtà si sviluppò quel pensiero sociale che ha trovato i suoi teorici nei liberali e nei socialisti, da Stuart Mill, a Locke , a Marx, a Daharendorf.
E’ proprio il pensiero liberale e socialista ad aver creato il nesso tra sviluppo economico e sviluppo sociale. La società, difatti, si definisce nella sua totalità che ha mille sfaccettature corrispondenti ciascuna ad una organizzazione. Queste gravitano attorni a due punti ben fermi: ciò che viene permesso e ciò che viene vietato. In questo spazio si inserisce la libertà dell’uomo che ha la capacità di cambiare le leggi e l’organizzazione sociale con l’affermazione di nuovi diritti. Tutto il pensiero filosofico è impregnato di questi capisaldi per cui il miglioramento economico di un singolo si trasforma nello sviluppo economico della società nella misura in cui riesce a salvaguardare i diritti individuali e collettivi.
La crisi ha intaccato questi gangli vitali. Il processo di degenerazione non è avvenuto all’interno di una società “chiusa”, per richiamarci ad una immagine di Popper, ma di una società aperta, frutto di un pensiero liberale dominante, e ha provocato uno sbilanciamento dei poteri con una crisi profonda dei valori. Per riprendere il percorso interrotto non si può prescindere, nel processo di sviluppo della società, dalla condivisione ed affermazione dei diritti fondamentali. Dalla filosofia classica al liberalismo e al socialismo, la struttura sociale ed economica si accompagna all’affermazione dei diritti inalienabili dell’individuo; questi, nel momento stesso in cui trovano realizzazione, diventano diritti collettivi, (si pensi alla sanità, all’istruzione, al lavoro,) e trasformano l’individuo stesso in cittadino.
Questo connubio, che è il filo rosso che collega i diversi “pensieri,” nel corso dei secoli ha interpretato e tracciato le linee guida dello sviluppo sociale, ma nel momento stesso in cui si incrina lascia il campo agli egoismi e alla crisi, prima di ogni cosa, dei valori. Si genera una forte crasi tra individuo-cittadino e la realtà socio-economica-politica entro cui si esercitavano i suoi diritti, con la conseguenza di un avanzamento dei vari populismi, pericoloso per la democrazia. Allora non basta pensare, come è giusto che sia, solo ad una nuova classe imprenditoriale, occorre pensare contemporaneamente a riaffermare e rilanciare i diritti dell’individuo e della collettività; senza questi si rischia di percorrere, chissà per quanto, un arido e desolato deserto, dove l’unico diritto è quello della sopravvivenza.
Altri in
Recenti in
Recenti in
Commenti