L'Italia fondata fiscalmente sul lavoro dipendente
Evasione fiscale conclamata che ha toccato percentuali sino al 25% del reddito prodotto in Italia.
I quotidiani danno risalto, ai risultati dell'analisi del Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia in base alla quale i 20,1 milioni di lavoratori dipendenti, ovvero il 49% dei contribuenti italiani, dichiarano un reddito medio di 20.680 euro, contro i 20.469 euro medi dei 1,5 milioni di contribuenti con reddito d’impresa.
Il dato è apparentemente sorprendente, soprattutto se si associa all'altro che vede i possessori di reddito da lavoro dipendente o pensione costituire l’83% dei contribuenti italiani, l'ossatura portante del fisco italiano.
Ma c'è poco da sorprendersi davanti ad un'evasione fiscale conclamata che ha toccato percentuali sino al 25% del reddito realmente prodotto in Italia.
Un dato inquietante che richiama la figura di Ezio Vanoni, il ministro delle Finanze che, rendendo obbligatoria nel 1951 la dichiarazione dei redditi, affermò il sacrosanto principio secondo cui il cittadino di uno stato democratico, che pretende di poter partecipare sempre più alla politica, ha prima di tutto il dovere di contribuire al finanziamento della spesa pubblica.
C'è poco da sorprendersi, inoltre, se esaminiamo la storia fiscale italiana dalla quale emerge che il male viene da lontano. Lo stesso Saverio Nitti, a proposito dell’accentuata progressività dell'imposta di ricchezza mobile del 1864, quasi giustificava l'evasione diffusa di quel tributo nei primi decenni del 900, con le società “costrette” a tenere due contabilità, una per il fisco, l'altra per gli azionisti. E prima della Grande Guerra si calcolava che circa il 50% del reddito nazionale fosse sfuggito alla tassazione. Assai più delle attuali percentuali di evasione ma con valori nettamente dissimili, dato che l’accresciuta ricchezza del paese ha reso oggi il fenomeno molto più grande in termini assoluti.
Dati confermati dall'esiguo numero dei contribuenti tassati nel 1924: il 75% dei notai, il 38% degli avvocati, il 53% dei medici, il 18% degli ingegneri, il 26% dei geometri, il 52% dei veterinari ed il 5% dei ragionieri e dottori commerciali. Come anche nello scarso contributo al fisco dato nello stesso anno dagli imprenditori individuali (3.740 lire di reddito medio in lire correnti), dai professionisti (3.171 lire) rispetto agli impiegati statali con un reddito medio di 9.258 lire.
Nessuna novità, dunque, nel panorama fiscale italiano, con le tante battaglie perse contro l'evasione dalle imposte nonostante le misure, ovviamente insufficienti, messe in campo. Da ricordare, a tale riguardo, i meccanismi materiali come il “contatore meccanico” dell’ingegnere Quintino Sella utilizzato nei mulini per la tassa sul macinato o i “misuratori” delle imposte di fabbricazione. O quelli giuridici come i prelievi alla fonte per le pensioni e gli stipendi pubblici (1866), per gli interessi pubblici (1869) e per gli stipendi privati (1874), mentre quella dei salari degli operai sarebbe intervenuta tra il 1933 ed il 1944. O ancora il “contatore burocratico” rappresentato dal catasto istituito nel 1886 per fornire un dato stabile per il calcolo della rendita dei terreni.
Sullo sfondo, però, il lavoro dipendente, compreso quello da pensione inteso come retribuzione differita, al quali l'evasione non è consentita e che costituisce, oggi più che mai, la base fiscale di questa nostra modernissima Italia.
Mannoni |
Il dato è apparentemente sorprendente, soprattutto se si associa all'altro che vede i possessori di reddito da lavoro dipendente o pensione costituire l’83% dei contribuenti italiani, l'ossatura portante del fisco italiano.
Ma c'è poco da sorprendersi davanti ad un'evasione fiscale conclamata che ha toccato percentuali sino al 25% del reddito realmente prodotto in Italia.
Un dato inquietante che richiama la figura di Ezio Vanoni, il ministro delle Finanze che, rendendo obbligatoria nel 1951 la dichiarazione dei redditi, affermò il sacrosanto principio secondo cui il cittadino di uno stato democratico, che pretende di poter partecipare sempre più alla politica, ha prima di tutto il dovere di contribuire al finanziamento della spesa pubblica.
C'è poco da sorprendersi, inoltre, se esaminiamo la storia fiscale italiana dalla quale emerge che il male viene da lontano. Lo stesso Saverio Nitti, a proposito dell’accentuata progressività dell'imposta di ricchezza mobile del 1864, quasi giustificava l'evasione diffusa di quel tributo nei primi decenni del 900, con le società “costrette” a tenere due contabilità, una per il fisco, l'altra per gli azionisti. E prima della Grande Guerra si calcolava che circa il 50% del reddito nazionale fosse sfuggito alla tassazione. Assai più delle attuali percentuali di evasione ma con valori nettamente dissimili, dato che l’accresciuta ricchezza del paese ha reso oggi il fenomeno molto più grande in termini assoluti.
Dati confermati dall'esiguo numero dei contribuenti tassati nel 1924: il 75% dei notai, il 38% degli avvocati, il 53% dei medici, il 18% degli ingegneri, il 26% dei geometri, il 52% dei veterinari ed il 5% dei ragionieri e dottori commerciali. Come anche nello scarso contributo al fisco dato nello stesso anno dagli imprenditori individuali (3.740 lire di reddito medio in lire correnti), dai professionisti (3.171 lire) rispetto agli impiegati statali con un reddito medio di 9.258 lire.
Nessuna novità, dunque, nel panorama fiscale italiano, con le tante battaglie perse contro l'evasione dalle imposte nonostante le misure, ovviamente insufficienti, messe in campo. Da ricordare, a tale riguardo, i meccanismi materiali come il “contatore meccanico” dell’ingegnere Quintino Sella utilizzato nei mulini per la tassa sul macinato o i “misuratori” delle imposte di fabbricazione. O quelli giuridici come i prelievi alla fonte per le pensioni e gli stipendi pubblici (1866), per gli interessi pubblici (1869) e per gli stipendi privati (1874), mentre quella dei salari degli operai sarebbe intervenuta tra il 1933 ed il 1944. O ancora il “contatore burocratico” rappresentato dal catasto istituito nel 1886 per fornire un dato stabile per il calcolo della rendita dei terreni.
Sullo sfondo, però, il lavoro dipendente, compreso quello da pensione inteso come retribuzione differita, al quali l'evasione non è consentita e che costituisce, oggi più che mai, la base fiscale di questa nostra modernissima Italia.
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