“Ritornare a casa”
Finanziamenti con divieto di accesso.
Paola Correddu |
Martedì 10 dicembre 2013 si è stata approvata, in Consiglio Regionale, la proposta di Legge n° 588, primo firmatario l’On.Pittalis, avente per oggetto l’incremento del fondo di spesa per il programma “Ritornare a casa” di ulteriori 8 milioni, in aggiunta ai 20 milioni già stanziati dalla legge finanziaria 2013, in modo da porre a carico del bilancio regionale, esclusivamente per il 2013, non solo la quota di finanziamento spettante alla Regione (80%), ma anche quella di cofinanziamento spettante ai Comuni (20%).
Incrementare il fondo di spesa può risultare insufficiente, o addirittura inutile, se non si consente l’accesso al finanziamento da parte dei beneficiari.
Incrementare il fondo di spesa può risultare insufficiente, o addirittura inutile, se non si consente l’accesso al finanziamento da parte dei beneficiari.
Nel corso degli anni, infatti, il programma è stato oggetto di una serie di rivisitazioni che, lungi dal migliorarne la funzionalità e gli obiettivi, lo hanno snaturato, rendendo i criteri d’accesso sempre più restrittivi e complicando le procedure burocratiche, in modo da favorire l’esclusione piuttosto che l’inclusione.
Gli aventi diritto, passati da 1000 nel 2009 a 1776 al 30 settembre 2013, sarebbero stati molti di più se la risposta della Regione al crescente numero di domande, non fosse stata quella di rendere le maglie dell’inclusione sempre più strette, controbilanciando l’aumentato numero con la maggiore gravità della patologia per avere accesso al finanziamento, così da escludere tutte quelle fasce di popolazione per le quali il programma “Ritornare a casa” era stato istituito.
Infatti le prime Linee di Indirizzo per l’attuazione del programma, allegate alla Deliberazione n 42/11 del 2006, nel descrivere gli obiettivi indicavano chiaramente che “il programma era rivolto prioritariamente ad anziani non autosufficienti o con grave rischio di perdita di autosufficienza, a persone con disabilità psichiche o fisiche, dando particolare attenzione alle persone con demenza o nella fase terminale della vita”.
Indicavano anche tre livelli di intensità assistenziale: assistenziale medio; assistenziale elevato; assistenziale molto elevato a seconda del grado di perdita di autonomia e della necessità di assistenza nell’arco della giornata.
Nelle stesse linee guida era ben esplicitato che i progetti personalizzati, oltre a dover assicurare un servizio più consono ai bisogni della persona, migliorandone la qualità di vita, si proponevano di favorire un più efficace uso delle risorse attraverso il superamento di forme di istituzionalizzazione costose e spesso poco rispondenti alle esigenze degli assistiti e delle loro famiglie (già allora i costi per il mantenimento di anziani in comunità alloggio e case protette veniva stimato attorno ai 30.000 € l’anno per utente).
Peccato che nessuno dell’Assessorato Regionale alla Sanità della Regione, ci abbia mai comunicato di che entità sia stata tale riduzione di spesa conseguente alla mancata istituzionalizzazione di tutte le persone che ad oggi beneficiano dei finanziamenti del programma “Ritornare a casa”! Probabilmente è diminuito anche il numero dei ricoveri ospedalieri impropri e il numero dei ricoveri per fratture di femore a cui gli anziani vanno incontro se non adeguatamente custoditi, con conseguente ulteriore risparmio sulla spesa sanitaria. Ma anche a tal proposito non si conoscono i dati.
A partire dalla Delibera n 8/9 del 2008 si trovano le tracce di una prima modifica dell’impianto del programma poiché si dispone che vengano finanziati prioritariamente i progetti in favore dei pazienti affetti da SLA, in fase terminale della loro vita o con grave stato di demenza ai quali venga attribuito un punteggio pari a 3 sulla base della scala CDR (Clinical Dementia Rating Scale).
In questo modo, con la scomparsa dei livelli assistenziali, vengono esclusi a priori tutti quei soggetti anziani non autosufficienti o a grave rischio di perdita di autosufficienza, non affetti da grave deterioramento cognitivo.
Con la successiva Delibera n 28/12 del 2009, per l’accesso dei soggetti con grave stato di demenza il punteggio alla CDRs viene portato da 3 a 5. Una bella trovata per escludere, questa volta, un gran parte di individui affetti da deterioramento cognitivo, ovvero tutti quelli con grave perdita di memoria, disorientati, privi di capacità di giudizio e quindi di valutare le situazioni di pericolo, incapaci di comunicare i propri bisogni che, per il solo fatto di non essere allettati, in quanto privi di disturbi motori, non vengono ritenuti tali da dover beneficiare di una assistenza continua. Una vera follia!
Come se tutto ciò non bastasse, a partire dal 2013, come già accennato in un mio precedente articolo, l’accesso è diventato ancor più restrittivo grazie alla revisione delle linee di indirizzo del programma “Ritornare a Casa”, allegate alla Delibera n 44/8 del 2012, che impongono che la scala di valutazione del grado di deterioramento cognitivo, la cosiddetta CDRs, sia somministrata e firmata esclusivamente da uno specialista di struttura pubblica o convenzionata.
Un nuovo artificio, in questo caso burocratico, che complica l’iter procedurale in quanto riduce la possibilità di presentare la domanda di accesso al finanziamento nei tempi stabiliti (30 giorni per una prima attivazione,2 mesi per il innovo annuale), a causa delle lunghe liste d’attesa presso i servizi di Specialistica Ambulatoriale distribuiti nel territorio, con conseguente esclusione dei soggetti aventi diritto non per mancanza dei requisiti richiesti ma a causa di impedimenti organizzativi indipendenti dalla volontà dei cittadini.
E non può certo addursi a giustificazione di un simile provvedimento la volontà di superare la disomogeneità nelle procedure al fine di uniformare su tutto il territorio regionale la gestione del programma “Ritornare a casa”, come dichiarato alla stampa dall’Assessore De Francisci, dopo aver disertato la seduta del Consiglio Regionale, in cui si sarebbe dovuta discutere l’interpellanza presentata su tale argomento, prima firmataria l’On. Zuncheddu. E’ una buona cosa mirare ad una valutazione omogenea delle richieste da parte dei Comuni proponenti e delle UVT (unità di valutazione territoriali della ASL) esaminatrici. E’ senza dubbio utile usare una metodologia standardizzata su tutto il territorio regionale nelle modalità di valutazione dei progetti.
Ma questo nulla ha a che vedere con la compilazione delle scale di valutazione e con la violazione del diritto di ciascun individuo di scegliere liberamente lo specialista a cui affidare la gestione della propria salute come stabilito dall’Art. 27 del Codice di Deontologia Medica che parla di libera scelta del medico come diritto fondamentale del cittadino.
E neanche si può giustificare tale modifica con il fatto che bisogna attuare un maggiore controllo sulla procedura affinché venga espletata correttamente poiché questo compito di supervisione viene già svolto dal medico dell’UVT che è un medico dipendente della ASL che redige la sua relazione dopo aver preso visione del documento specialistico e dopo aver visitato personalmente il soggetto richiedente.
Per concludere, la Regione dovrebbe evitare il paradosso di stanziare finanziamenti con divieto d’accesso.
Gli aventi diritto, passati da 1000 nel 2009 a 1776 al 30 settembre 2013, sarebbero stati molti di più se la risposta della Regione al crescente numero di domande, non fosse stata quella di rendere le maglie dell’inclusione sempre più strette, controbilanciando l’aumentato numero con la maggiore gravità della patologia per avere accesso al finanziamento, così da escludere tutte quelle fasce di popolazione per le quali il programma “Ritornare a casa” era stato istituito.
Infatti le prime Linee di Indirizzo per l’attuazione del programma, allegate alla Deliberazione n 42/11 del 2006, nel descrivere gli obiettivi indicavano chiaramente che “il programma era rivolto prioritariamente ad anziani non autosufficienti o con grave rischio di perdita di autosufficienza, a persone con disabilità psichiche o fisiche, dando particolare attenzione alle persone con demenza o nella fase terminale della vita”.
Indicavano anche tre livelli di intensità assistenziale: assistenziale medio; assistenziale elevato; assistenziale molto elevato a seconda del grado di perdita di autonomia e della necessità di assistenza nell’arco della giornata.
Nelle stesse linee guida era ben esplicitato che i progetti personalizzati, oltre a dover assicurare un servizio più consono ai bisogni della persona, migliorandone la qualità di vita, si proponevano di favorire un più efficace uso delle risorse attraverso il superamento di forme di istituzionalizzazione costose e spesso poco rispondenti alle esigenze degli assistiti e delle loro famiglie (già allora i costi per il mantenimento di anziani in comunità alloggio e case protette veniva stimato attorno ai 30.000 € l’anno per utente).
Peccato che nessuno dell’Assessorato Regionale alla Sanità della Regione, ci abbia mai comunicato di che entità sia stata tale riduzione di spesa conseguente alla mancata istituzionalizzazione di tutte le persone che ad oggi beneficiano dei finanziamenti del programma “Ritornare a casa”! Probabilmente è diminuito anche il numero dei ricoveri ospedalieri impropri e il numero dei ricoveri per fratture di femore a cui gli anziani vanno incontro se non adeguatamente custoditi, con conseguente ulteriore risparmio sulla spesa sanitaria. Ma anche a tal proposito non si conoscono i dati.
A partire dalla Delibera n 8/9 del 2008 si trovano le tracce di una prima modifica dell’impianto del programma poiché si dispone che vengano finanziati prioritariamente i progetti in favore dei pazienti affetti da SLA, in fase terminale della loro vita o con grave stato di demenza ai quali venga attribuito un punteggio pari a 3 sulla base della scala CDR (Clinical Dementia Rating Scale).
In questo modo, con la scomparsa dei livelli assistenziali, vengono esclusi a priori tutti quei soggetti anziani non autosufficienti o a grave rischio di perdita di autosufficienza, non affetti da grave deterioramento cognitivo.
Con la successiva Delibera n 28/12 del 2009, per l’accesso dei soggetti con grave stato di demenza il punteggio alla CDRs viene portato da 3 a 5. Una bella trovata per escludere, questa volta, un gran parte di individui affetti da deterioramento cognitivo, ovvero tutti quelli con grave perdita di memoria, disorientati, privi di capacità di giudizio e quindi di valutare le situazioni di pericolo, incapaci di comunicare i propri bisogni che, per il solo fatto di non essere allettati, in quanto privi di disturbi motori, non vengono ritenuti tali da dover beneficiare di una assistenza continua. Una vera follia!
Come se tutto ciò non bastasse, a partire dal 2013, come già accennato in un mio precedente articolo, l’accesso è diventato ancor più restrittivo grazie alla revisione delle linee di indirizzo del programma “Ritornare a Casa”, allegate alla Delibera n 44/8 del 2012, che impongono che la scala di valutazione del grado di deterioramento cognitivo, la cosiddetta CDRs, sia somministrata e firmata esclusivamente da uno specialista di struttura pubblica o convenzionata.
Un nuovo artificio, in questo caso burocratico, che complica l’iter procedurale in quanto riduce la possibilità di presentare la domanda di accesso al finanziamento nei tempi stabiliti (30 giorni per una prima attivazione,2 mesi per il innovo annuale), a causa delle lunghe liste d’attesa presso i servizi di Specialistica Ambulatoriale distribuiti nel territorio, con conseguente esclusione dei soggetti aventi diritto non per mancanza dei requisiti richiesti ma a causa di impedimenti organizzativi indipendenti dalla volontà dei cittadini.
E non può certo addursi a giustificazione di un simile provvedimento la volontà di superare la disomogeneità nelle procedure al fine di uniformare su tutto il territorio regionale la gestione del programma “Ritornare a casa”, come dichiarato alla stampa dall’Assessore De Francisci, dopo aver disertato la seduta del Consiglio Regionale, in cui si sarebbe dovuta discutere l’interpellanza presentata su tale argomento, prima firmataria l’On. Zuncheddu. E’ una buona cosa mirare ad una valutazione omogenea delle richieste da parte dei Comuni proponenti e delle UVT (unità di valutazione territoriali della ASL) esaminatrici. E’ senza dubbio utile usare una metodologia standardizzata su tutto il territorio regionale nelle modalità di valutazione dei progetti.
Ma questo nulla ha a che vedere con la compilazione delle scale di valutazione e con la violazione del diritto di ciascun individuo di scegliere liberamente lo specialista a cui affidare la gestione della propria salute come stabilito dall’Art. 27 del Codice di Deontologia Medica che parla di libera scelta del medico come diritto fondamentale del cittadino.
E neanche si può giustificare tale modifica con il fatto che bisogna attuare un maggiore controllo sulla procedura affinché venga espletata correttamente poiché questo compito di supervisione viene già svolto dal medico dell’UVT che è un medico dipendente della ASL che redige la sua relazione dopo aver preso visione del documento specialistico e dopo aver visitato personalmente il soggetto richiedente.
Per concludere, la Regione dovrebbe evitare il paradosso di stanziare finanziamenti con divieto d’accesso.
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