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Oggi ho incontrato la disperazione negli occhi di una donna
Sono centinaia le famiglie algheresi (e non solo) che sono costrette a ricorrere alla carità pubblica e privata.
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Budruni |
Sabato 18 gennaio, di fronte ad un supermercato cittadino.
Passo accelerato, pensiero rivolto alle quattro cose da acquistare.
È tardi, ma non posso evitare di assistere ad una scena che mi colpisce profondamente.
Una donna è seduta per terra, nell’angolo di solito occupato da Rom o altri mendicanti.
La donna è ben vestita, vive in città, ha una famiglia. Discute animatamente con un’altra donna, anch’essa ben vestita, in piedi davanti a lei, quasi volesse nasconderla alla vista dei distratti clienti.
La invita a sollevarsi da lì, ad evitare quella vergogna. Ma lei resiste, dice di essere disperata, di non avere altre possibilità se non quella di chiedere l’elemosina.
Ho fretta, entro nel supermercato senza riuscire a liberarmi da quell’immagine. Faccio i miei acquisti, esco, deposito le buste in auto e torno indietro. Adesso quella donna è sola. Mi avvicino, le chiedo se è di Alghero, le parlo con un tono dolce, cerco di farle capire che vorrei aiutarla. Le chiedo quali siano i suoi problemi. Gli occhi le si riempiono di lacrime. Mi dice che il suo problema è l’affitto di casa: non riesce a pagarlo. Le chiedo se si è rivolta ai servizi sociali del comune. Come per incanto smette di piangere. Il volto si indurisce e anche la voce, nella risposta:
“Con loro non voglio più avere a che fare”. Non insisto, non mi sembra opportuno indagare, chiedere. Lei mi dice che il suo padrone di casa sarebbe disposto a ridurre il canone, ma, comunque, senza uno stipendio, anche quella cifra è inarrivabile.
Mi dice che il suo compagno non ha ricevuto lo stipendio. Le chiedo dove lavorasse. Mi risponde che era stato assunto dal Comune: Linea 3, estreme povertà. Mi chiede se posso trovarle un lavoro.
Io le rispondo che faccio l’insegnante e non ho, purtroppo, la possibilità di trovarle un lavoro. Però prometto di impegnarmi, in qualche modo, a cercare, insieme ad altri, una soluzione.
Solo in quel momento mi rendo conto che, intorno, ci sono alcune monete, pochi spiccioli, lasciate dai clienti del supermercato. Lei si accorge della mia espressione vagamente disgustata e, con un tono di voce dolcissimo, mi spiazza: “Io ringrazio tutti coloro che me li danno”.
Mi faccio lasciare il suo numero di telefono, per poterla rintracciare nel caso in cui fossi riuscito a trovare un via d’uscita, anche provvisoria, alla sua situazione.
I suoi occhi si sono nuovamente riempiti di lacrime. Erano occhi pieni di disperazione e di rabbia, occhi di una concittadina che è stata costretta ad umiliarsi pur di trovare una soluzione ai problemi della famiglia.
Io voglio sperare che questa città conservi ancora quel senso di umanità, di solidarietà e di altruismo che spesso ha dimostrato. Questa è solo la punta dell’iceberg di un’umanità sofferente, dolente, schiantata dalla crisi economica.
Ho fretta, entro nel supermercato senza riuscire a liberarmi da quell’immagine. Faccio i miei acquisti, esco, deposito le buste in auto e torno indietro. Adesso quella donna è sola. Mi avvicino, le chiedo se è di Alghero, le parlo con un tono dolce, cerco di farle capire che vorrei aiutarla. Le chiedo quali siano i suoi problemi. Gli occhi le si riempiono di lacrime. Mi dice che il suo problema è l’affitto di casa: non riesce a pagarlo. Le chiedo se si è rivolta ai servizi sociali del comune. Come per incanto smette di piangere. Il volto si indurisce e anche la voce, nella risposta:
“Con loro non voglio più avere a che fare”. Non insisto, non mi sembra opportuno indagare, chiedere. Lei mi dice che il suo padrone di casa sarebbe disposto a ridurre il canone, ma, comunque, senza uno stipendio, anche quella cifra è inarrivabile.
Mi dice che il suo compagno non ha ricevuto lo stipendio. Le chiedo dove lavorasse. Mi risponde che era stato assunto dal Comune: Linea 3, estreme povertà. Mi chiede se posso trovarle un lavoro.
Io le rispondo che faccio l’insegnante e non ho, purtroppo, la possibilità di trovarle un lavoro. Però prometto di impegnarmi, in qualche modo, a cercare, insieme ad altri, una soluzione.
Solo in quel momento mi rendo conto che, intorno, ci sono alcune monete, pochi spiccioli, lasciate dai clienti del supermercato. Lei si accorge della mia espressione vagamente disgustata e, con un tono di voce dolcissimo, mi spiazza: “Io ringrazio tutti coloro che me li danno”.
Mi faccio lasciare il suo numero di telefono, per poterla rintracciare nel caso in cui fossi riuscito a trovare un via d’uscita, anche provvisoria, alla sua situazione.
I suoi occhi si sono nuovamente riempiti di lacrime. Erano occhi pieni di disperazione e di rabbia, occhi di una concittadina che è stata costretta ad umiliarsi pur di trovare una soluzione ai problemi della famiglia.
Io voglio sperare che questa città conservi ancora quel senso di umanità, di solidarietà e di altruismo che spesso ha dimostrato. Questa è solo la punta dell’iceberg di un’umanità sofferente, dolente, schiantata dalla crisi economica.
Sono centinaia le famiglie algheresi (e non solo) che sono costrette a ricorrere alla carità pubblica e privata. Famiglie che vedono ridurre, giorno dopo giorno, la propria dignità e, soprattutto, si disperano per non riuscire a garantire ai propri figli il minimo necessario per un’esistenza libera e dignitosa, nella quale ci sia spazio anche per i sogni, per un futuro migliore.
Spero che molti leggano queste righe e si fermino un momento a pensare e ad agire. Stiamo parlando di Alghero, Sardegna, Italia. Anno 2014.
Spero che molti leggano queste righe e si fermino un momento a pensare e ad agire. Stiamo parlando di Alghero, Sardegna, Italia. Anno 2014.
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