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Renzi, Berlusconi, la sinistra e la riforma elettorale
Meriti e limiti del giovane politico rampante.
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Antonio Budruni |
Ecco Italicum: l’oggetto di maggiore discussione di questi giorni. Non solo nelle chiuse stanze della politica, ma anche tra i milioni di cittadini italiani che, come si sa, a seconda dei momenti sono allenatori della nazionale, statisti, santi e navigatori. In questo momento storico: esperti di leggi elettorali.
Prima di entrare nel merito, però, bisogna fare qualche passo indietro per inquadrare meglio il tema di cui tutti ci occupiamo.
Mancavano pochi giorni al Natale del 2005, quando il Parlamento approvò la legge 270 che riformava radicalmente la legge elettorale precedente, quella introdotta nel nostro ordinamento nel 1993.
I giornalisti, che hanno, tra gli altri meriti, anche quello di semplificare le cose, hanno denominato la legge Calderoli del 2005, Porcellum. Non si trattò, allora, di uno sforzo di fantasia del politologo Sartori, ma della traduzione nel latinorum moderno della definizione (porcata) coniata in una trasmissione televisiva dallo stesso Ministro leghista per le riforme, in contrapposizione al Mattarellum.
Fin qui, il recupero della memoria e del gossip. Il succo della scelta legislativa del centro-destra nel 2005, per esplicite ammissioni dei loro padri, fu quella di impedire la vittoria del centrosinistra nelle elezioni del 2006, data per certa da tutti i sondaggi. E così fu! La stravaganza della nuova legge porcata diede una risicatissima maggioranza al senato, favorendo – grazie alla compravendita di senatori del centrosinistra da parte del paperone Silvio Berlusconi – la caduta del governo Prodi, nel 2008, e nuove elezioni, vinte dal centrodestra.
Il centrosinistra – è bene ricordarlo per i più distratti – si oppose con forza all’approvazione della legge elettorale porcata, ma non è riuscito, in tutti questi anni, a portare a termine una modifica di quella legge, neppure quando è stato maggioranza.
A mettere la parola fine al Porcellum ci ha pensato la Corte Costituzionale, con la sentenza del 4 dicembre 2013, le cui motivazioni sono state rese note, l’altro giorno: il 13 gennaio.
Dunque, per ben otto anni, le forze politiche tutte – che si erano impegnato nella campagna elettorale del 2013 a modificare la legge porcata, ma in particolare quelle del centrosinistra che l’avevano aspramente contestata sin dall’origine – non son riuscite a modificare una legge elettorale che era profondamente anticostituzionale. Questo è un fatto.
Nel giro di pochi giorni, il neosegretario del Pd, Renzi, è riuscito, con notevole piglio decisionista, a stanare tutte le forze politiche, a partire dalla propria, e a raggiungere un largo accordo per la revisione della legge elettorale. Il 27 gennaio, ha annunciato, il disegno di legge concordato direttamente con il pregiudicato Silvio Berlusconi, approderà alla Camera dei deputati. Questo è un altro fatto.
Prescindere dai fatti non è mai produttivo per nessuna delle attività umane, men che meno per quelle che devono risolvere questioni riguardanti la totalità dei cittadini.
Io, che non sono renziano, non lo sono mai stato e non lo sarà mai, riconosco che Renzi ha dato seguito, con una coerenza e una determinazione rarissime nella politica italiana, a suoi precisi impegni assunti al momento della candidatura alle primarie per l’elezione del segretario del Pd.
Ed è davvero sembrato un marziano, calato nella stagnante palude della politica italiana i cui miasmi generano quella antipolitica che tanto fa inorridire i padroni della palude.
Fin qui, i meriti di Renzi. Veniamo, adesso, ai limiti intellettuali e politici di questo giovane politico rampante.
I nei principali della proposta Berlurenziana, come hanno sottolineato diversi costituzionalisti, sono due: l’eccessivo premio di maggioranza – è sufficiente ottenere il 35% dei consensi per conquistare la maggioranza dei seggi – ; le liste bloccate – che impediscono, ancora una volta, ai cittadini di esprimere una preferenza, affidando in tal modo la scelta dei candidati ai segretari di partito (a garanzia della fedeltà a chi ti mette in lista, piuttosto che al progetto politico).
C’è un ulteriore neo in questa proposta: l’eccessiva soglia di sbarramento. Ma nel nostro Paese, dove tutti sono convinti di essere indispensabili e la proliferazione di liste, partiti e movimenti è da sempre una patologia della nostra democrazia, è necessario introdurre elementi che favoriscano le aggregazioni piuttosto che le scissioni degli atomi politici. Quindi è giusto ridurre la soglia di sbarramento, ma non eliminarla.
La battaglia politica, dunque, dovrebbe concentrarsi su questi aspetti. Ma Renzi – e questo è un altro grande limite del segretario del Pd – ha già messo le mani avanti: la proposta va presa in blocco, così com’è, e non può essere modificata. Proprio perché frutto dell’accordo con Berlusconi.
E se qualcuno nel suo partito si permette di muovere critiche ed obiezioni, scatta l’insulto, la richiesta di dimissioni. Partito democratico? Magari. Oggi, con la segreteria in mano a Renzi, sembra più una caserma.
Alla democrazia non si può né si deve rinunciare. Le battaglie politiche non sono e non debbono essere monopolio dei partiti, ma sono l’essenza stessa del potere sovrano che spetta al popolo, a tutti i cittadini.
La questione elettorale, quindi, non riguarda né può riguardare solo il Pd, ma tutti i cittadini italiani che hanno il diritto di elettorato attivo e passivo. Tutti noi, allora, dobbiamo mobilitarci per far arrivare un chiaro segnale ai parlamentari che dovranno, nei prossimi giorni, approvare la nuova legge elettorale. I tempi sono stretti, ma la battaglia può essere ancora vinta. Utilizzando tutti i mezzi consentiti. Certo, se ci fosse un partito rappresentato in Parlamento che si facesse portavoce delle esigenze di democrazia poste in questi giorni da numerosi intellettuali e da migliaia di cittadini, la sfida del popolo alla partitocrazia sarebbe agevolata.
Non è inutile ricordare che gli avversari non sono i politici, ma le loro idee. La lotta efficace è quella che riesce a cambiarle, quelle idee. Si può fare.
Prima di entrare nel merito, però, bisogna fare qualche passo indietro per inquadrare meglio il tema di cui tutti ci occupiamo.
Mancavano pochi giorni al Natale del 2005, quando il Parlamento approvò la legge 270 che riformava radicalmente la legge elettorale precedente, quella introdotta nel nostro ordinamento nel 1993.
I giornalisti, che hanno, tra gli altri meriti, anche quello di semplificare le cose, hanno denominato la legge Calderoli del 2005, Porcellum. Non si trattò, allora, di uno sforzo di fantasia del politologo Sartori, ma della traduzione nel latinorum moderno della definizione (porcata) coniata in una trasmissione televisiva dallo stesso Ministro leghista per le riforme, in contrapposizione al Mattarellum.
Fin qui, il recupero della memoria e del gossip. Il succo della scelta legislativa del centro-destra nel 2005, per esplicite ammissioni dei loro padri, fu quella di impedire la vittoria del centrosinistra nelle elezioni del 2006, data per certa da tutti i sondaggi. E così fu! La stravaganza della nuova legge porcata diede una risicatissima maggioranza al senato, favorendo – grazie alla compravendita di senatori del centrosinistra da parte del paperone Silvio Berlusconi – la caduta del governo Prodi, nel 2008, e nuove elezioni, vinte dal centrodestra.
Il centrosinistra – è bene ricordarlo per i più distratti – si oppose con forza all’approvazione della legge elettorale porcata, ma non è riuscito, in tutti questi anni, a portare a termine una modifica di quella legge, neppure quando è stato maggioranza.
A mettere la parola fine al Porcellum ci ha pensato la Corte Costituzionale, con la sentenza del 4 dicembre 2013, le cui motivazioni sono state rese note, l’altro giorno: il 13 gennaio.
Dunque, per ben otto anni, le forze politiche tutte – che si erano impegnato nella campagna elettorale del 2013 a modificare la legge porcata, ma in particolare quelle del centrosinistra che l’avevano aspramente contestata sin dall’origine – non son riuscite a modificare una legge elettorale che era profondamente anticostituzionale. Questo è un fatto.
Nel giro di pochi giorni, il neosegretario del Pd, Renzi, è riuscito, con notevole piglio decisionista, a stanare tutte le forze politiche, a partire dalla propria, e a raggiungere un largo accordo per la revisione della legge elettorale. Il 27 gennaio, ha annunciato, il disegno di legge concordato direttamente con il pregiudicato Silvio Berlusconi, approderà alla Camera dei deputati. Questo è un altro fatto.
Prescindere dai fatti non è mai produttivo per nessuna delle attività umane, men che meno per quelle che devono risolvere questioni riguardanti la totalità dei cittadini.
Io, che non sono renziano, non lo sono mai stato e non lo sarà mai, riconosco che Renzi ha dato seguito, con una coerenza e una determinazione rarissime nella politica italiana, a suoi precisi impegni assunti al momento della candidatura alle primarie per l’elezione del segretario del Pd.
Ed è davvero sembrato un marziano, calato nella stagnante palude della politica italiana i cui miasmi generano quella antipolitica che tanto fa inorridire i padroni della palude.
Fin qui, i meriti di Renzi. Veniamo, adesso, ai limiti intellettuali e politici di questo giovane politico rampante.
I nei principali della proposta Berlurenziana, come hanno sottolineato diversi costituzionalisti, sono due: l’eccessivo premio di maggioranza – è sufficiente ottenere il 35% dei consensi per conquistare la maggioranza dei seggi – ; le liste bloccate – che impediscono, ancora una volta, ai cittadini di esprimere una preferenza, affidando in tal modo la scelta dei candidati ai segretari di partito (a garanzia della fedeltà a chi ti mette in lista, piuttosto che al progetto politico).
C’è un ulteriore neo in questa proposta: l’eccessiva soglia di sbarramento. Ma nel nostro Paese, dove tutti sono convinti di essere indispensabili e la proliferazione di liste, partiti e movimenti è da sempre una patologia della nostra democrazia, è necessario introdurre elementi che favoriscano le aggregazioni piuttosto che le scissioni degli atomi politici. Quindi è giusto ridurre la soglia di sbarramento, ma non eliminarla.
La battaglia politica, dunque, dovrebbe concentrarsi su questi aspetti. Ma Renzi – e questo è un altro grande limite del segretario del Pd – ha già messo le mani avanti: la proposta va presa in blocco, così com’è, e non può essere modificata. Proprio perché frutto dell’accordo con Berlusconi.
E se qualcuno nel suo partito si permette di muovere critiche ed obiezioni, scatta l’insulto, la richiesta di dimissioni. Partito democratico? Magari. Oggi, con la segreteria in mano a Renzi, sembra più una caserma.
Alla democrazia non si può né si deve rinunciare. Le battaglie politiche non sono e non debbono essere monopolio dei partiti, ma sono l’essenza stessa del potere sovrano che spetta al popolo, a tutti i cittadini.
La questione elettorale, quindi, non riguarda né può riguardare solo il Pd, ma tutti i cittadini italiani che hanno il diritto di elettorato attivo e passivo. Tutti noi, allora, dobbiamo mobilitarci per far arrivare un chiaro segnale ai parlamentari che dovranno, nei prossimi giorni, approvare la nuova legge elettorale. I tempi sono stretti, ma la battaglia può essere ancora vinta. Utilizzando tutti i mezzi consentiti. Certo, se ci fosse un partito rappresentato in Parlamento che si facesse portavoce delle esigenze di democrazia poste in questi giorni da numerosi intellettuali e da migliaia di cittadini, la sfida del popolo alla partitocrazia sarebbe agevolata.
Non è inutile ricordare che gli avversari non sono i politici, ma le loro idee. La lotta efficace è quella che riesce a cambiarle, quelle idee. Si può fare.
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