L’anno zero della posidonia oceanica spiaggiata
Non sarà che stiamo sottovalutando il rapporto uomo-terra-mare, tipico del nostro territorio?
Mura |
Nonostante la seducente ipotesi che l’origine del nome della nostra città sia da ricercarsi nella sequenza sonora alghe-alghero (sottolineo il seducente più che la validità dell’ipotesi), resta il fatto che la sua vocazione turistica è messa a dura prova dal fenomeno della posidonia spiaggiata, quasi a dispetto del titolo che la città porta!
Si aggiunga che per agire su tale deposito di alghe è necessario adeguarsi alle normative che regolano tali interventi, essendo riconosciuta la resistenza che tale massa oppone all’erosione delle coste e specialmente degli arenili. Va da se quindi che tale prodotto, così inviso dagli operatori del settore e dai turisti più schizzinosi, è la base che garantisce la conservazione di buona parte del nostro lido e di tante altre spiagge del territorio di Alghero. Facile intuire quindi che in gioco ci sono due interessi, e che tali interessi potrebbero apparire contrastanti.
Alghero è una città che dipende dal mare e dal suo paesaggio marino e costiero. Alcune delle sue spiagge sono dentro il perimetro cittadino, qualcosa di raro e se vogliamo da valorizzare. Tali spiagge sono messe in pericolo non tanto dalla posidonia oceanica quanto da un’urbanizzazione selvaggia e spianificata, che ha speculato al Lido e vorrebbe speculare a Maria Pia e a Calabona. Diciamo che una parte del sistema dunale di fatto è già compromesso, considerato che appena il vento si fa più teso la sabbia invade strade, case e cortili, senza possibilità di ritorno.
Nonostante tutto questo ad Alghero, da anni, sembrerebbe che l’unico problema legato alla posidonia sia la sua rimozione, e l’infinita discussione su quale sia il tempo migliore per intervenire, dando quasi per scontato che operare a maggio sia già troppo tardi.
Verità vuole che mai si siano monitorati i litorali interessati dal deposito di posidonia, così da avere una valutazione del fenomeno nel tempo; che non esista una ricerca accurata delle correnti e degli effetti che hanno sugli arenili e sullo spostamento di materiale, comprese le alghe; che non ci sia uno studio che stabilisca un limite di stoccaggio a San Giovanni e che non si conoscano le quantità medie di posidonia che ogni anno bisogna rimuovere, se non altro per fare un preventivo delle spese o per individuare siti di deposito temporaneo.
Abbiamo una città riversata sul mare ma è stato chiuso il corso universitario di biologia marina; a parte qualche flebile contestazione, su ciò che è accaduto nessuna riflessione, neppure a posteriori. Ecco perché sento la necessità di tentarne una, perché vorrei che si superasse il guado della sterile polemica e si cominciasse a trattare l’argomento in termini più scientifici. Domanda: non sarà che stiamo sottovalutando il rapporto uomo-terra-mare, tipico del nostro territorio? Potevano avvalerci di personale qualificato per la gestione del problema (sempre che di problema si tratti) e invece ci siamo rassegnati all’idea che un corso universitario dedicato chiudesse. Abbiamo (forse avevamo) un Istituto Agrario e lo pensiamo riversato solo sui campi, quando invece potrebbe occuparsi anche di preservazione dei paesaggi, di riutilizzo delle alghe, di coltivazioni e di allevamenti marini. Abbiamo, e lo dico perché le conosco, figure professionali in grado di indirizzare gli interventi sulla posidonia piaggiata in modo controllato e sicuro, ma nessuno le contatta. Abbiamo una porzione di spiaggia sottoposta a sperimentazione (rotonda di Fertilia) ma i risultati sono sconosciuti ai più. Mi sembra evidente che se questa è la situazione più generale, siamo di fronte ad un fallimento totale della politica, della programmazione e della promozione turistica del territorio. E questo lo dico solo parlando di alghe! Un chiaro esempio di come non si dovrebbe amministrare.
Poi c’è il lungo capitolo degli utilizzi alternativi di questo tipo di alghe, che neppure apro, perché è chiaro che niente è possibile in questa direzione se non c’è la volontà politica di affrontare in modo serio tutta la problematica. Nel mentre dentro la città ci teniamo un sito di stoccaggio, senza sapere se esista una valutazione di impatto ambientale da relazionare agli effetti che ciò comporta, fossero anche positivi. Di sicuro, però, appena quel materiale andrà in decomposizione, dovremmo sopportare odori nauseabondi e una quantità infinita di insetti. A due passi dalla passeggiata Barcellona. Tutto detto, o quasi. Perché se bisogna ripartire da qui è chiaro che siamo ancora all’anno zero. E, paradossalmente, può essere anche un vantaggio.
Alghero è una città che dipende dal mare e dal suo paesaggio marino e costiero. Alcune delle sue spiagge sono dentro il perimetro cittadino, qualcosa di raro e se vogliamo da valorizzare. Tali spiagge sono messe in pericolo non tanto dalla posidonia oceanica quanto da un’urbanizzazione selvaggia e spianificata, che ha speculato al Lido e vorrebbe speculare a Maria Pia e a Calabona. Diciamo che una parte del sistema dunale di fatto è già compromesso, considerato che appena il vento si fa più teso la sabbia invade strade, case e cortili, senza possibilità di ritorno.
Nonostante tutto questo ad Alghero, da anni, sembrerebbe che l’unico problema legato alla posidonia sia la sua rimozione, e l’infinita discussione su quale sia il tempo migliore per intervenire, dando quasi per scontato che operare a maggio sia già troppo tardi.
Verità vuole che mai si siano monitorati i litorali interessati dal deposito di posidonia, così da avere una valutazione del fenomeno nel tempo; che non esista una ricerca accurata delle correnti e degli effetti che hanno sugli arenili e sullo spostamento di materiale, comprese le alghe; che non ci sia uno studio che stabilisca un limite di stoccaggio a San Giovanni e che non si conoscano le quantità medie di posidonia che ogni anno bisogna rimuovere, se non altro per fare un preventivo delle spese o per individuare siti di deposito temporaneo.
Abbiamo una città riversata sul mare ma è stato chiuso il corso universitario di biologia marina; a parte qualche flebile contestazione, su ciò che è accaduto nessuna riflessione, neppure a posteriori. Ecco perché sento la necessità di tentarne una, perché vorrei che si superasse il guado della sterile polemica e si cominciasse a trattare l’argomento in termini più scientifici. Domanda: non sarà che stiamo sottovalutando il rapporto uomo-terra-mare, tipico del nostro territorio? Potevano avvalerci di personale qualificato per la gestione del problema (sempre che di problema si tratti) e invece ci siamo rassegnati all’idea che un corso universitario dedicato chiudesse. Abbiamo (forse avevamo) un Istituto Agrario e lo pensiamo riversato solo sui campi, quando invece potrebbe occuparsi anche di preservazione dei paesaggi, di riutilizzo delle alghe, di coltivazioni e di allevamenti marini. Abbiamo, e lo dico perché le conosco, figure professionali in grado di indirizzare gli interventi sulla posidonia piaggiata in modo controllato e sicuro, ma nessuno le contatta. Abbiamo una porzione di spiaggia sottoposta a sperimentazione (rotonda di Fertilia) ma i risultati sono sconosciuti ai più. Mi sembra evidente che se questa è la situazione più generale, siamo di fronte ad un fallimento totale della politica, della programmazione e della promozione turistica del territorio. E questo lo dico solo parlando di alghe! Un chiaro esempio di come non si dovrebbe amministrare.
Poi c’è il lungo capitolo degli utilizzi alternativi di questo tipo di alghe, che neppure apro, perché è chiaro che niente è possibile in questa direzione se non c’è la volontà politica di affrontare in modo serio tutta la problematica. Nel mentre dentro la città ci teniamo un sito di stoccaggio, senza sapere se esista una valutazione di impatto ambientale da relazionare agli effetti che ciò comporta, fossero anche positivi. Di sicuro, però, appena quel materiale andrà in decomposizione, dovremmo sopportare odori nauseabondi e una quantità infinita di insetti. A due passi dalla passeggiata Barcellona. Tutto detto, o quasi. Perché se bisogna ripartire da qui è chiaro che siamo ancora all’anno zero. E, paradossalmente, può essere anche un vantaggio.
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