Violenza? Niente di nuovo
I nostri Paesi europei hanno cominciato a esportare distruzione, morte, soprusi, atrocità, genocidi dalla fine del 1400.
Claudia Crabuzza |
Non ci sono novità: siamo in piena guerriglia, da anni, da decenni, da secoli e l’unica cosa che ci preoccupa sono i morti nostri. Solo quando sono nostri, sono morti veri, il resto dei morti che ci circondano senza toccarci non sono morti veri.
Cosa c’è di nuovo negli attacchi terroristici di questi giorni? Niente. Pochi giorni fa a Peshawar sono morte decine di persone, di cui molti bambini, per un attacco terroristico; un paio di migliaia di vittime, in Nigeria; bambini soldato, bambine che si fanno esplodere.
Cosa c’è di nuovo negli attacchi terroristici di questi giorni? Niente. Pochi giorni fa a Peshawar sono morte decine di persone, di cui molti bambini, per un attacco terroristico; un paio di migliaia di vittime, in Nigeria; bambini soldato, bambine che si fanno esplodere.
Potrei elencare i morti delle ultime guerre per il petrolio e per il potere, i morti per la miseria, quelli per i danni collaterali, i morti di Gaza, i morti dei genocidi degli ultimi decenni in Congo, in Nigeria, in Guatemala, gli infiniti morti annegati nel nostro Mediterraneo, restituiti sulle nostre spiagge come brandelli, scarti, stracci. Avanzi della nostra digestione grassa. Quanto valgono quei morti? Quanti ne ho dimenticato?
I nostri Paesi europei hanno cominciato a esportare distruzione, morte, soprusi, atrocità, genocidi dalla fine del 1400. La data che noi festeggiamo come ‘scoperta dell’America’ è celebrata nelle Americhe come data di inizio del loro calvario, la loro scoperta del terrore.
Nessun capo di stato nei secoli sino ad oggi, ha avuto il coraggio di chiedere scusa ai popoli devastati dalla nostra ingerenza. Nessuno ha capito, aldilà delle questioni di coscienza, quanto sia necessario restituire e risarcire, per riportare equilibrio al pianeta prima che sia troppo tardi. Le politiche dei nostri Paesi non sono mai cambiate, forse sono addirittura peggiorate. Siamo seduti su un’enorme polveriera, nessun controllo, ogni tanto scoppia qualche fuoco lontano dalle nostre poltrone comode, ma non facciamo in tempo nemmeno a tenerne il conto. Se per caso una scheggia si fa esplodere sotto i nostri occhi ci ricordiamo del grande pericolo del terrorismo.
Un giro rapido in un campo profughi qualunque, delle centinaia sparse per il mondo, anche molto vicino a noi, servirebbe a capire come nasce l’estremismo, dove si appiglia, a quale degrado si appoggia per crescere e per diventare una forza incontrollabile. Uno sguardo fugace alle periferie di molte città europee, accalcate di persone senza speranze e assediate da imbecilli che non vedono l’ora di fargli pagare chissà quali colpe sarebbe pure utile. Crediamo di fermare le micce con le manifestazioni di solidarietà alle vittime? Quali sono le vittime? Quelle che da generazioni non hanno la certezza di arrivare all’indomani, quelle che nascono imparando a camminare senza calpestare mine anti-uomo che noi abbiamo prodotto e venduto, quelle che non hanno niente da perdere?
Mi dispiace per le nostre libertà violate, la libertà di esprimere le proprie opinioni, sfottere, pubblicare tutto ciò che ci passa per la testa, ma non sono un lusso? Ce le possiamo permettere perché non abbiamo l’esistenza piegata dallo sfruttamento, dalla malattia, non abbiamo l’Aids da prima di nascere (e l’industria farmaceutica che si rifiuta di dare i brevetti per curarci, perché il nostro governo non paga abbastanza), non abbiamo le case di fango e i piedi scalzi. Che cosa sono le nostre libertà davanti allo squilibrio che vive ogni giorno il mondo? Se un commando di pazzi tocca le nostre libertà sacre ci indignamo, ma quanto ci indigna sapere che siamo in una bolla di privilegio e di comodità che ci siamo conquistati sopra il sangue altrui?
Niente di nuovo, niente di diverso dal solito. Due ragazzi armati che fanno una strage, come succede due o tre volte all’anno in una scuola qualunque degli Stati Uniti. Due ragazzi accecati dalla propria ignoranza, incapaci di distinguere il senso delle cose, come succede mille volte, in mille città vicine a noi, magari in modo meno eclatante. Ragazzi cresciuti nel degrado, nell’abbandono, intrappolati in un’integrazione che non esiste perché impregnata di razzismo, di rifiuto, di sopportazione obbligata da parte di chi li ha ospitati.
Quanta ignoranza, quanta incomprensione, quanta superficialità leggiamo ogni giorno nei commenti liberi dei nostri vicini, sulla rete, al bar, a scuola. Quanta violenza. Non riusciamo a liberarci dal senso idiota di superiorità che ci portiamo dietro da sempre. Ignoranti noi, supponenti e stupidi. Siamo immersi sino al collo in un brodo che non sa più di niente. Bisogna cambiare modo in fretta, oppure attendere la prossima esplosione e continuare a sperare che non sia proprio sotto la nostra poltrona.
I nostri Paesi europei hanno cominciato a esportare distruzione, morte, soprusi, atrocità, genocidi dalla fine del 1400. La data che noi festeggiamo come ‘scoperta dell’America’ è celebrata nelle Americhe come data di inizio del loro calvario, la loro scoperta del terrore.
Nessun capo di stato nei secoli sino ad oggi, ha avuto il coraggio di chiedere scusa ai popoli devastati dalla nostra ingerenza. Nessuno ha capito, aldilà delle questioni di coscienza, quanto sia necessario restituire e risarcire, per riportare equilibrio al pianeta prima che sia troppo tardi. Le politiche dei nostri Paesi non sono mai cambiate, forse sono addirittura peggiorate. Siamo seduti su un’enorme polveriera, nessun controllo, ogni tanto scoppia qualche fuoco lontano dalle nostre poltrone comode, ma non facciamo in tempo nemmeno a tenerne il conto. Se per caso una scheggia si fa esplodere sotto i nostri occhi ci ricordiamo del grande pericolo del terrorismo.
Un giro rapido in un campo profughi qualunque, delle centinaia sparse per il mondo, anche molto vicino a noi, servirebbe a capire come nasce l’estremismo, dove si appiglia, a quale degrado si appoggia per crescere e per diventare una forza incontrollabile. Uno sguardo fugace alle periferie di molte città europee, accalcate di persone senza speranze e assediate da imbecilli che non vedono l’ora di fargli pagare chissà quali colpe sarebbe pure utile. Crediamo di fermare le micce con le manifestazioni di solidarietà alle vittime? Quali sono le vittime? Quelle che da generazioni non hanno la certezza di arrivare all’indomani, quelle che nascono imparando a camminare senza calpestare mine anti-uomo che noi abbiamo prodotto e venduto, quelle che non hanno niente da perdere?
Mi dispiace per le nostre libertà violate, la libertà di esprimere le proprie opinioni, sfottere, pubblicare tutto ciò che ci passa per la testa, ma non sono un lusso? Ce le possiamo permettere perché non abbiamo l’esistenza piegata dallo sfruttamento, dalla malattia, non abbiamo l’Aids da prima di nascere (e l’industria farmaceutica che si rifiuta di dare i brevetti per curarci, perché il nostro governo non paga abbastanza), non abbiamo le case di fango e i piedi scalzi. Che cosa sono le nostre libertà davanti allo squilibrio che vive ogni giorno il mondo? Se un commando di pazzi tocca le nostre libertà sacre ci indignamo, ma quanto ci indigna sapere che siamo in una bolla di privilegio e di comodità che ci siamo conquistati sopra il sangue altrui?
Niente di nuovo, niente di diverso dal solito. Due ragazzi armati che fanno una strage, come succede due o tre volte all’anno in una scuola qualunque degli Stati Uniti. Due ragazzi accecati dalla propria ignoranza, incapaci di distinguere il senso delle cose, come succede mille volte, in mille città vicine a noi, magari in modo meno eclatante. Ragazzi cresciuti nel degrado, nell’abbandono, intrappolati in un’integrazione che non esiste perché impregnata di razzismo, di rifiuto, di sopportazione obbligata da parte di chi li ha ospitati.
Quanta ignoranza, quanta incomprensione, quanta superficialità leggiamo ogni giorno nei commenti liberi dei nostri vicini, sulla rete, al bar, a scuola. Quanta violenza. Non riusciamo a liberarci dal senso idiota di superiorità che ci portiamo dietro da sempre. Ignoranti noi, supponenti e stupidi. Siamo immersi sino al collo in un brodo che non sa più di niente. Bisogna cambiare modo in fretta, oppure attendere la prossima esplosione e continuare a sperare che non sia proprio sotto la nostra poltrona.
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