Burruni mondiale
Uno dei più grandi eventi sportivi nella storia del pugilato.
Il Palazzetto dello Sport di Roma è più simile ad una bolgia che ad un luogo di confronto sportivo. I quindicimila tifosi si scatenano in applausi e urla non appena Burruni sale sul ring. Ma, al suono del primo gong, improvvisamente ammutoliscono: la tensione collettiva sembra concretizzarsi in qualcosa di magico e di pauroso che impregna l’aria intorno. Nel silenzio, i colpi si sentono nitidi, colpiscono internamente gli spettatori. Anche quelli a casa, inchiodati davanti al televisore e circondati da nuvole di fumo azzurrognolo. Burruni si rende conto, sin dalle prime fasi di studio, che il suo avversario lo ha studiato bene e ne conosce stile e strategia di gioco. Lo capisce dalla guardia bassa del pugile tailandese: una sfida evidente ad attaccare esponendosi al rischio di colpi di rimessa.
“Saluto, tutti, Alghero” ha detto “e la Sardegna. Ma in questo particolare momento il pensiero va al mio bambino, Gianfranco e a mia moglie. Quello che ho fatto stanotte lo dedico tutto a loro”. Era il primo contatto che Burruni aveva con la Sardegna dopo il match. Tore ha telefonato dall’albergo Sporting, dove, al termine del match, si era rifugiato per eludere gli assalti che i sardi, pazienti, attendevano che uscisse dal Palasport. Burruni è andato via silenziosamente,come al solito, da un’uscita secondaria. “Mi sono bastate – dirà più tardi – le accoglienze dello sportivissimo pubblico, prima e dopo il combattimento. Al suono dell’ultimo gong mi sono sentito svenite. Ne ero certo, la vittoria non me la poteva negare nessun arbitro, me la ero conquistata pugno per pugno, ripresa per ripresa. Sono stato assalito da tutte le parti, sportivi sardi e romani, mi hanno portato in trionfo. Il mio sguardo, però, non era più sul ring da quel momento, non lo era più, forse, dall’ultimo suono del gong. Ho pensato immediatamente a mio figlio, a mia moglie, ai sacrifici e alle privazioni del lungo allenamento. Il mio titolo, in fondo, lo avevo conquistato per loro e potevo esserne proprio orgoglioso” (…) Burruni aveva deciso di telefonare, lo dice lui stesso, immediatamente dopo il suono dell’ultimo gong. “Adesso è tardi – ci ha detto – ad Alghero potrei telefonare a tante persone, ma non voglio disturbare nessuno, a quest’ora. Sapevo, invece, che voi eravate ancora al lavoro ed ho deciso di trasmettere per vostro mezzo un caro pensiero per i miei. Sono sicuro che la “Nuova”, che ha seguito la mia carriera fin dai primi passi porterà a Gianfranco, al suo risveglio, il primo bacione del papà campione del mondo”.».
Antonio Budruni |
La mattina del 23 aprile, giorno fissato per il grande incontro valevole per la corona mondiale dei pesi mosca, a Roma il tempo appare un po’ pazzerello. L’appuntamento per le operazioni di peso è stato fissato al teatro Ambra Jovinelli alle ore 9,00.
Burruni, che da dodici giorni è trentaduenne, arriva puntuale insieme con il procuratore, l’allenatore ed un nutrito seguito di amici-tifosi algheresi. Ad attenderlo, una folla di tifosi romani accorsi per vederlo da vicino, per toccarlo, per farsi rilasciare un autografo. Con un certo ritardo – come tutti i grandi personaggi – arriva Pone Kingpetch, attorniato dalla corte tailandese che non lo perde mai di vista: i suoi fratelli, Hiran che è anche il suo procuratore, e Harin, insieme alle guardie del corpo.
Burruni, che da dodici giorni è trentaduenne, arriva puntuale insieme con il procuratore, l’allenatore ed un nutrito seguito di amici-tifosi algheresi. Ad attenderlo, una folla di tifosi romani accorsi per vederlo da vicino, per toccarlo, per farsi rilasciare un autografo. Con un certo ritardo – come tutti i grandi personaggi – arriva Pone Kingpetch, attorniato dalla corte tailandese che non lo perde mai di vista: i suoi fratelli, Hiran che è anche il suo procuratore, e Harin, insieme alle guardie del corpo.
Concluse le operazioni di peso, Burruni rientra allo Sporting Hotel per la prima colazione. Poi, con gli amici di Alghero, passeggia per le strade di Roma assaporando il clima primaverile già mite, ma pur sempre a rischio di volubilità. All’improvviso, la pioggia costringe la comitiva a trovare riparo in un Luna Park poco distante e lì, fino all’ora di pranzo, il gruppo si esibisce in competizioni al tiro a segno, calcio balilla e alcuni azzardati confronti su gokart. Insomma, un clima da giovanotti in vacanza, piuttosto che quello teso e concentrato che ci si aspetterebbe a poche ore dal tentativo di conquista del titolo mondiale.
Anche Pone Kingpetch e la sua corte, dopo le operazioni di peso, rientrano in hotel. Il loro, però, è il Ritz, un struttura super lusso, costruita da appena 5 anni nell’elegante quartiere Parioli in occasione delle olimpiadi svoltesi in Italia, e meta obbligata di una clientela di alto livello italiana e internazionale. All’occhio attento dei cronisti, non sfugge l’arrivo, subito dopo, di una Fiat 1.500 lunga dell’ambasciata tailandese, che reca al campione mondiale un intero servizio di pentole. Alcuni, malignamente, ravvisano in questo comportamento un ulteriore segnale di diffidenza del pugile e del suo entourage nei confronti degli italiani in genere, fossero anche gli chef del prestigiosissimo Ritz.
La sera del 23 si annuncia fitta di incontri di contorno, prima del match-clou mondiale. Il cartellone prevede due “aperitivi” da 6 riprese: i pesi massimi Bepi Ros e Giancarlo Bacchini; i pesi welter Niedo Stampi e il giovane Bruno Arcari. Gli antipasti sono da grande palcoscenico del pugilato: lo scozzese Walter Mc Gowan, sconfitto da Burruni l’anno precedente nella sfida al titolo europeo, contrapposto al ganese Benny Lee; il campione europeo dei welter Fortunato Manca contro l’americano Curtis Cokes.
Il match dell’anno – quello più atteso, per il titolo mondiale dei mosca – inizia, a rigore d’orologio, alle 0,15 del 24 aprile.
Il Palazzetto dello Sport di Roma è più simile ad una bolgia che ad un luogo di confronto sportivo. I quindicimila tifosi si scatenano in applausi e urla non appena Burruni sale sul ring. Ma, al suono del primo gong, improvvisamente ammutoliscono: la tensione collettiva sembra concretizzarsi in qualcosa di magico e di pauroso che impregna l’aria intorno. Nel silenzio, i colpi si sentono nitidi, colpiscono internamente gli spettatori. Anche quelli a casa, inchiodati davanti al televisore e circondati da nuvole di fumo azzurrognolo. Burruni si rende conto, sin dalle prime fasi di studio, che il suo avversario lo ha studiato bene e ne conosce stile e strategia di gioco. Lo capisce dalla guardia bassa del pugile tailandese: una sfida evidente ad attaccare esponendosi al rischio di colpi di rimessa.
Tore è costretto a cambiare in corsa il modulo di gioco, affrontando il suo avversario a distanza ravvicinata per portare i colpi più incisivi direttamente sul volto. Sa di correre molti rischi, in conseguenza del maggiore allungo del tailandese, ma non ha alternative. E, soprattutto, non intende concedere alcun vantaggio all’avversario in avvio di combattimento.
Dopo qualche passo per studiare l’avversario, Burruni parte all’attacco e colpisce con ganci corti. Kingpetch attende le sfuriate dello sfidante per poi colpire di rimessa. Il campione algherese sa perfettamente che per conquistare il titolo deve vincere nettamente e deve guadagnarsi i punti uno ad uno, ripresa dopo ripresa. Da questo punto di vista, il match è monotono: Burruni attacca e Kingpetch boxa di rimessa, in attesa di eventi favorevoli. O, forse, in attesa che il suo avversario perda un po’ di smalto o si trovi in debito di ossigeno.
Ma Burruni, sul ring di Roma, è leggero come una piuma. Finta, saltella, colpisce, schiva, rientra, colpisce ancora. Il suo avversario è frastornato, non lo segue: è lento, troppo lento. Col passare delle riprese, il volto del tailandese si gonfia sempre di più ed assume un colorito rossastro. Burruni, come un incubo, danza sul ring e lo disarma mentalmente, tatticamente, stilisticamente. Intorno alla decima ripresa, dall’angolo gli dicono di rallentare, di non correre rischi: ormai ha un vantaggio incolmabile e l’unica arma che il tailandese potrebbe tentare per ribaltare la situazione è il KO.
Il match va avanti monotono, senza sbalzi, senza scosse, senza sorprese. Al suono del gong che mette fine all’incontro, il pubblico di Roma urla “Tore! Tore!” facendo rimbombare il palazzetto di un suono forte, assordante. Alcuni tifosi, molti dei quali algheresi, salgono sul ring e portano in trionfo il piccolo, grande campione. Il verdetto è unanime: vittoria di Burruni ai punti. Persino il giudice tailandese, Chaksuraksa, non se la sente di aggiudicare la vittoria al proprio connazionale, anche se, mentre scattava foto a bordo ring, è riuscito a vedere una differenza di soli 4 punti a favore dello sfidante. Ma, d’altronde, lui era lì per difendere una causa: non certo quella dello sport. Il verdetto che vale è quello pronunciato dall’arbitro, l’unico giudice terzo dell’incontro (l’altro era l’italiano Barrovecchio, anch’egli per difendere una causa, quella italiana), il messicano Berumen, che ha assegnato 74 punti a Burruni e 63 a Kingpetch.
Alle 0,45 del 24 aprile 1965 Alghero, la Sardegna, l’Italia e l’Europa hanno un nuovo campione del mondo di pugilato. Tore Burruni entra così nella storia mondiale di uno sport che, con qualche rara eccezione – Kingpetch era una di quelle – era praticato, dappertutto nel mondo, dai ragazzi e dai giovani delle classi sociali più deboli. Era uno sport che, normalmente, si cominciava per strada, nei litigi tra ragazzi e poi, per coloro che riuscivano a cambiare passo e ad affrontare la fatica e il tedio dell’allenamento, diventava un’arma di riscatto. Una delle poche a disposizione di chi veniva dai ghetti neri o ispanici o latini delle grandi città americane, o dalle nuove periferie della ricostruzione postbellica o, come Tore Burruni, dai centri storici di piccole città o paesi, affondati nella miseria.
Che la vittoria di Burruni rappresentasse un momento di riscatto collettivo per la Sardegna emerge con tutta evidenza dallo spazio dedicato all’evento dalla stampa locale. La Nuova Sardegna, in primo luogo, costruisce la prima pagina di sabato 24 aprile così:
Titolo a sei colonne, con grande foto del pugile con le braccia alzate e caratteri cubitali:
“BURRUNI MONDIALE”. L’occhiello spiega: “Nettamente battuto ai punti Pone Kingpetch”.
Il giornale dedica due intere pagine interne alla vittoria del titolo mondiale dei mosca. Uno degli articoli, di Libero Armani, è la ricostruzione della vita del pugile algherese e del suo percorso trionfale fino alla conquista della corona mondiale. Inevitabile, almeno per quei tempi, un pezzo di Gilberto Regini, scritto sulle ali di un patriottismo ancora forte nel Paese, con l’inevitabile e stucchevole retorica che spesso accompagnava le manifestazioni di tipo nazionalista, sulla scia della scuola inaugurata e pratica metodicamente dall’Istituto Luce.
Regini, per rendere il clima di entusiasmo e di amor patrio dei tifosi alla conclusione dell’incontro, scrive:
«la grande ora era suonata. Era l’ora di Salvatore Burruni, l’ora inseguita per anni. La folla era impazzita e con un boato ha dato il suo saluto a Tore. Il grido era tutto una speranza, una certezza, una sicurezza.
«Burruni si avviava al suo più alto trionfo, la corona mondiale. Le bandiere e le presentazioni non sono servite. Il cuore di ogni italiano era lì, sul quadrato, assieme a Burruni.»
Decisamente più interessanti, invece, le interviste ai due avversari, subito dopo il match. Ecco quella al vincitore, intervistato nello spogliatoio:
«Il pugile appare freschissimo e in buone condizioni fisiche, a parte un leggero arrossamento agli zigomi e un piccolo taglio sul labbro inferiore. Mentre, steso su una panca di legno, il neo campione si riposa succhiando pezzi di ghiaccio, l’allenatore Mulas e il procuratore Branchini ricevono abbracci e complimenti a non finire dai sardi che si riversano nello spogliatoio.
È difficile in queste condizioni fare un discorso filato e bisogna accontentarsi di dichiarazioni colte al volo, nella ressa, o strappate a fatica (…). Finalmente è possibile avere anche le impressioni del nuovo campione del mondo dei pesi mosca. “Mi sono accorto – dice Burruni – che avrei potuto vincere dalla prima ripresa. Avrei potuto forse cogliere il successo prima del limite, ma non mi è sembrato necessario forzare, anche Perché Kingpetch si è dimostrato un ottimo incassatore ed è rimasto lucido fino all’ultimo, così da rendere temibile ogni suo colpo. Comunque anche se la sua boxe non mi è parsa particolarmente difficile da controllare, devo dire che Kingpetch è un grande campione. Forse combatte in maniera troppo elementare, ma io non l’ho mai sottovalutato, nemmeno durante i miei allenamenti».
«A Burruni è stato chiesto quale sarà la sua attività futura. Ha risposto che intende rimettersi pienamente ai consigli e alle decisioni del suo procuratore. Quanto a tutte le difficoltà frapposte da Kingpetch prima dell’incontro, alle sue strane pretese, al suo atteggiamento sul ring anche pochi minuti prima dell’incontro, con il suo ricusare addirittura i guantoni, Burruni sembra quasi voler giustificare il thailandese e dice: “Lui era il campione ed io soltanto lo sfidante; lui era il campione ed io uno qualunque. Lui poteva fare tutto quello che voleva. Poi, però, quando si va sul ring, alla fine bisogna saper fare anche a pugni».
L’intervista al pugile tailandese è altrettanto interessante perché rivela, nonostante tutto, un atteggiamento sportivo e un’accettazione del verdetto che non ti aspetteresti.
Ecco il contenuto dell’intervista concessa al quotidiano sassarese:
«Nello spogliatoio di Kingpetch c’è invece un’aria di sconforto e di tristezza. L’ex campione del mondo appare abbattuto, con il viso tumefatto e con un piccolo taglio alla base del naso. I suoi secondi, un amico e suo fratello Hiran, che è anche il suo procuratore, sono piuttosto laconici nel rispondere alle domande. Ad ogni modo Kingpetch dichiara che il verdetto è stato “giusto” ed aggiunge: “Burruni è un grande pugile, ha meritato la vittoria e la corona mondiale. Egli ha sempre attaccato e debbo dire che sono stato sorpreso dalla sua irruenza”.
Il pugile thailandese così prosegue: “Burruni è stato durante tutto l’arco delle quindici riprese sempre molto attivo. È stato un incontro leale sotto ogni punto di vista ed anche il grande pubblico romano, che temevo all’inizio del combattimento, si è comportato molto sportivamente”. Kingpetch conclude così le sue dichiarazioni: “So che Burruni è un pugile generoso, spero pertanto che egli mi voglia concedere la rivincita. Io sono pronto a combattere ovunque,, anche a Roma. Burruni è un degno detentore del titolo mondiale”.».
La Nuova Sardegna del 24 aprile ha anche una sorpresa in serbo per i lettori sardi e per quelli algheresi in particolare. Nelle pagine interne dedicate alle informazioni e ai commenti della notte magica romana, riporta il contenuto di una telefonata fatta del neo campione mondiale alle tre del mattino. Il pezzo, accompagnato da una bella foto che ritrae il pugile accanto al suo bambino Gianfranco, vale la pena di essere riportato:
«Ci ha telefonato alle tre del mattino, Tore, e si sentiva, per quanto la voce dall’altro capo del filo giungesse assai fioca, la sua emozione e la sua contentezza.
“Saluto, tutti, Alghero” ha detto “e la Sardegna. Ma in questo particolare momento il pensiero va al mio bambino, Gianfranco e a mia moglie. Quello che ho fatto stanotte lo dedico tutto a loro”. Era il primo contatto che Burruni aveva con la Sardegna dopo il match. Tore ha telefonato dall’albergo Sporting, dove, al termine del match, si era rifugiato per eludere gli assalti che i sardi, pazienti, attendevano che uscisse dal Palasport. Burruni è andato via silenziosamente,come al solito, da un’uscita secondaria. “Mi sono bastate – dirà più tardi – le accoglienze dello sportivissimo pubblico, prima e dopo il combattimento. Al suono dell’ultimo gong mi sono sentito svenite. Ne ero certo, la vittoria non me la poteva negare nessun arbitro, me la ero conquistata pugno per pugno, ripresa per ripresa. Sono stato assalito da tutte le parti, sportivi sardi e romani, mi hanno portato in trionfo. Il mio sguardo, però, non era più sul ring da quel momento, non lo era più, forse, dall’ultimo suono del gong. Ho pensato immediatamente a mio figlio, a mia moglie, ai sacrifici e alle privazioni del lungo allenamento. Il mio titolo, in fondo, lo avevo conquistato per loro e potevo esserne proprio orgoglioso” (…) Burruni aveva deciso di telefonare, lo dice lui stesso, immediatamente dopo il suono dell’ultimo gong. “Adesso è tardi – ci ha detto – ad Alghero potrei telefonare a tante persone, ma non voglio disturbare nessuno, a quest’ora. Sapevo, invece, che voi eravate ancora al lavoro ed ho deciso di trasmettere per vostro mezzo un caro pensiero per i miei. Sono sicuro che la “Nuova”, che ha seguito la mia carriera fin dai primi passi porterà a Gianfranco, al suo risveglio, il primo bacione del papà campione del mondo”.».
Anche l’Unione Sarda, il quotidiano di Cagliari, spara in prima pagina: «Salvatore Burruni campione del mondo», per dare la notizia di una “balentìa” mai realizzata fino ad allora da un atleta sardo.
Il Corriere dello Sport, in edicola il 24 aprile, titola: «Burruni campione del mondo dei mosca».
Rosetta Paulesu in Burruni, quella sera del 23 aprile era a casa sua col piccolo Gianfranco e alcune delle sorelle che, solitamente, quando Tore era fuori per il suo lavoro, le tenevano compagnia. Quella sera aveva invitato i suoi vicini di casa per vedere insieme, in Tv, l’incontro mondiale. Lei non aveva mai assistito ad un incontro di pugilato. Per molte ragioni, la prima delle quali era l’avversione per la violenza, per la vista del sangue. Temeva, soprattutto, la forza del suo uomo. Era terrorizzata al solo pensiero che il suo Tore potesse ammazzare o rendere infermo qualche suo avversario. Era rimasta sconvolta, quando suo marito, una sera del 1962 a cena, le aveva raccontato della morte sul ring di un pugile cubano mandato KO da Griffith alla dodicesima ripresa in un incontro valido per il titolo mondiale dei welter. Sempre, prima di ogni incontro, si raccomandava con il suo uomo pregandolo di non fare del male agli avversari. Al punto che, un giorno, lui la rimproverò scherzosamente facendole notare che non si preoccupava della incolumità di suo marito, ma di quella dei suoi avversari.
Rosetta è una persona dal cuore tenero, si commuove facilmente. Anche la sera del 23 aprile, mentre tutti i presenti non si perdono un secondo dell’incontro di suo marito per la conquista del titolo, lei entra ed esce dalla stanza dove troneggia l’apparecchio televisivo. Non perde di vista il piccolo Gianfranco che gioca con un palloncino blu e tenta di gonfiarlo. Ad un certo punto, il palloncino scoppia in bocca al bambino che piange terrorizzato. La madre accorre e cerca di levargli dalla bocca i frammenti di plastica che sono rimasti dopo lo scoppio. Per tranquillizzarlo lo prende in braccio e lo porta fuori dalla stanza, nel corridoio, cantandogli una canzoncina per farlo addormentare. Poi rientra nella stanza dove gli altri seguono l’evento sportivo dell’anno. Dà una rapida occhiata, bacia il bambino e lo porta a letto. Verifica che stia dormendo serenamente e ritorna tra i suoi ospiti. L’incontro sta ormai volgendo al termine, il telecronista comunica che il vantaggio del pugile algherese è piuttosto ampio. Suona l’ultimo gong e, improvvisamente, nella stanza cala il silenzio: misto di paura e di speranza. Poi, l’arbitro solleva il braccio del piccolo sardo e nella casa della famiglia Burruni scoppia il pandemonio: urla, abbracci, pianti di gioia e di commozione. Il bambino si sveglia e piange. Rosetta corre nella camera del piccolo e lo prende in braccio, lo bacia mille volte, gli dice che il padre è diventato campione del mondo, mentre il piccolo la guarda sorpreso, senza capire. Nel giro di qualche minuto, sotto la casa del nuovo campione mondiale dei mosca, stazionano centinaia di tifosi algheresi che urlano: «Tore! Tore!». «Campione del mondo! Campione del mondo!». Lei si affaccia alla finestra per salutare la folla ed è investita da un uragano di applausi, di evviva, di urla di gioia. Esibisce come un trofeo il piccolo Gianfranco e la folla adesso scandisce: «Burruni! Burruni!». Sono circa le tre del mattino del 24 aprile, quando il popolo dei tifosi comincia a sciamare per continuare i festeggiamenti con cortei di auto e moto, tra urla di gioia e di felicità.
Tratto dal libro di Antonio Budruni (di prossima uscita): Tore Burruni, l’uomo che danzava sul ring.
Altri in
Recenti in
Recenti in
Commenti