La sinistra si liberi dalla camicia di forza
Al tentativo di arginare l’irruenza populista di Berlusconi e del berlusconismo ha sacrificato la sua vena politica ed ideale.
Giuseppe Santino |
Rossana Rossanda e Valentino Parlato hanno lasciato Il Manifesto, rivista mensile prima, quotidiano poi, fondato nel 1969 con Lucio Magri, Luigi Pintor, a seguito di una frattura ideologico-politica con la direzione del PCI. Erano gli anni della rivolta studentesca e il Manifesto, da subito, divenne la voce della contestazione e della critica alla sinistra “revisionista”.
L’addio degli ultimi padri fondatori alla loro creatura nasce dal disconoscimento ideale e culturale del ruolo del giornale nella fase politica di questi ultimi decenni.
Per la Rossanda la barra è stata spostata verso obiettivi che ne hanno modificato la natura, non concedendo spazi alla critica e al dissenso.
Ma al di là della critica della Rossanda e di Parlato, che può sembrare inficiata, nella sua obiettività, da una posizione ideologica, il loro abbandono è sicuramente, come afferma Fausto Bertinotti, la fine della “sinistra del novecento, come l’abbiamo conosciuta noi.”
C’è da chiedersi, però, di quale sinistra stiamo parlando. Credo che non si possa non pensare alla sinistra dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino; quella che ha spinto e contribuito ad allargare la base di partecipazione popolare alla vita sociale e politica del Paese.
La scuola, lo statuto dei lavoratori, il sistema sanitario nazionale sono le grandi conquiste del ‘900, diritti fondamentali ed inalienabili per una moderna società di uguali. Divengono oggetto di confronto culturale e politico, a cavallo dei due secoli, anche altri diritti che riguardano la persona e la sua dignità; la libertà di amare, la dignità del malato, la lotta alla violenza sulle donne, il diritto all’accoglienza.
La battaglia politica e il coinvolgimento civile per l’affermazione dei diritti coincide anche con una profonda trasformazione politico-istituzionale dei paesi europei. La Spagna e il Portogallo rientrano nella sfera delle democrazie e l’URSS passa alla storia; cade il muro di Berlino e la Germania diventa una.
Dall’ex URSS nascono nuovi stati e nuove governi che aprono alle democrazie occidentali e l’Unione Europea si rafforza, divenendo un importante interlocutore internazionale. Una grande vittoria della sinistra dei diritti che, uscita dai confini nazionali, si apre a collaborare con tutte le forze democratiche che, in diversi paesi del mondo, lottano contro l’oscurantismo ideologico di tutti gli estremismi.
Non è stato un percorso lineare e sempre chiaro negli strumenti e negli obiettivi da perseguire; le difficoltà ideologiche, a volte, hanno frenato lo sviluppo della lotta politica, delle strategie da mettere in atto e le scelte non sono state sempre convinte, legate agli schieramenti internazionali, in un periodo di contrapposizione est-ovest. L’aver combattuto, pur con i limiti sopra indicati, per l’affermazione di una società più giusta e più uguale non ha salvato la sinistra europea, in questo ultimo ventennio, da un fenomeno degenerativo inaspettato: l’essere rimasta imbrigliata in un liberalismo economico che ne ha spuntato le riforme e l’azione. Ancora oggi uomini come Stefano Rodotà sentono il bisogno di riaffermare la necessità dell’azione per una società dei diritti e la sinistra dovrà riappropriarsi del suo ideale politico: costruire una società più giusta e più eguale.
Da una fase di espansione del vivere civile e dell’affermazione della solidarietà sociale, si è passati ad una costante politica di smantellamento dei diritti fondamentali, la scuola, la sanità, il lavoro. La sinistra è stata costretta a seguire, nel vano tentativo di frenarne l’effetto negativo, quel liberalismo che, attraverso le banche ed il potere economico dei grandi gruppi, ha agito per l’abbattimento delle ragioni ideali che avevano generato una situazione di normale benessere dei cittadini; così i tagli alla sanità, alla scuola, al lavoro e l’attacco ai suoi istituti contrattuali.
Una rincorsa, quella della sinistra, impari perché priva di capacità e di potere decisionale a causa della erosione, lenta ma costante, della sua base e del consenso dei cittadini. La crisi economica della Grecia, del Portogallo, della Spagna e dell’Italia è, come ormai riconosciuto da tutti, il risultato di una azione scriteriata della finanza e dei grandi gruppi con l’appoggio di un potere politico che aveva ed ha tutt’altri interessi che quelli del bene comune. In Italia la situazione è ancora più grave.
La sinistra per quasi un ventennio ha dovuto inseguire un’anomalia tutta nostrana: un grande imprenditore che diviene il padrone della comunicazione e presidente del consiglio, per di più su un terreno dove la sconfitta per la sinistra è certa: quello della comunicazione mediatica.
Al tentativo di arginare l’irruenza populista di Berlusconi e del berlusconismo la sinistra ha sacrificato la sua vena politica ed ideale, perdendo i contatti con i giovani, gli operai, le donne e con la società nelle sue diverse articolazioni.
La conseguenza è stata la deriva e la perdita di credibilità della classe politica, non esercitando più un’azione di controllo e di stimolo, mentre la profonda crisi economico-finanziaria veniva nascosta e aggravata dalle menzogne di una destra irresponsabile. La conseguenza è stata il governo tecnico di Monti, sul cui altare la sinistra ha dovuto immolare le azioni riformatrici, dando priorità ad evitare il collasso dell’Italia.
Risultato dal punto di vista montiano-ragioneristico forse riuscito, ma in che modo ciascuno può rendersene conto da solo: il debito pubblico è aumentato, sono diminuite le spese delle famiglie, è aumentata la disoccupazione giovanile e il numero delle ore di cassa integrazione. Certamente un grande senso di responsabilità da parte della sinistra. Ma ora che Monti non è più un tecnico ma il capo di una coalizione politica, la sinistra deve per questo riprendere la bandiera della lotta alle diseguaglianze per l’affermazione dei diritti senza inseguire l’istrione Berlusconi sul terreno delle sue frivolezze demagogiche.
E’ cosi che la sinistra italiana ed europea può contrastare l’affermazione di una destra che suscita ostilità verso i partiti e la politica con la conseguente ripresa di fenomeni di estremismo di destra. Assalti a tifosi nei bar, discriminazioni omofobiche, intolleranza verso altre culture ed etnie, verso i più bisognosi, sono il risultato di un oscurantismo politico e culturale che interessa l’Europa e nei cui confronti non possiamo chiudere gli occhi e far finta di niente. Proposte come quelle di Gyongyosi, del partito neonazista ungherese, di schedare gli ebrei, in una regione dove già la costituzione discrimina sul piano religioso; dove Victor Orban, il premier, non nasconde la sua avversione all’Europa dalla quale, come paese membro, l’Ungheria riceve fondi, e il suo partito, il nazionalconservatore Fidesz, fa parte del gruppo europeo dei popolari, dovrebbero spingere la sinistra europea verso un rigore morale ed ideale atto ad arginare questi fenomeni. Ricordandoci che gli orrori del secolo scorso, che continuano ancora nel presente, sono stati e sono possibili perché su tanti “piccoli” fatti non si è avuta e non si ha, una netta presa di posizione di condanna e non si sono alzati argini al diffondersi del contagio mortale: l’eccidio armeno, lo smembramento del popolo curdo, l’invasione della Polonia, la strage di Sabra e Chatila la “pulizia” etnica, ancora oggi, come strumento di lotta politica.
Quante giornate della memoria! L’Europa, avviluppata dai problemi finanziari, non si pone la priorità della difesa dei diritti fondamentali degli uomini neanche all’interno degli stessi stati membri, che agiscono liberamente e senza timore alcuno di sanzioni e di interventi censori, rendendo vuota di significato la stessa Carta europea dei diritti. Così la destra con le sue idee discriminanti e la sua azione violenta trova terreno fertile in un tessuto sociale disgregato dalla crisi economica ed ideale.
In Grecia, Alba dorata, la formazione di estrema destra, ha i suoi rappresentanti nel Parlamento e sembra che Alba dorata Italia e Casapound, con la benedizione di Grillo, pensino alle elezioni, Storace si ricandida alla Regione Lazio.
Ma la democrazia è in pericolo per “l’estremismo eversivo” di Vendola. La sinistra italiana ed europea dovrà uscire da questa camicia di forza fatta indossare dalla finanza internazionale e dal livellamento culturale verso il basso, dove attecchisce solo la destra. Dovrà ricominciare a produrre idee, ad ipotizzare scenari futuri in una prospettiva utopica perché da tutto questo possa nascere un nuovo sviluppo culturale ed economico, con la riaffermazione dei diritti fondamentali dell’uomo, quali linee fondanti della democrazia; dare certezza di un domani sereno ai tanti giovani che oggi pagano il prezzo di una politica indirizzata a consolidare situazioni di potere e di rendita economia e politica.
Questa bandiera storicamente e idealmente è della sinistra e dovrà di nuovo tornare ad essere innalzata e resa visibile. Solo così la sinistra di progresso e di governo può distinguersi dalle altre forze politiche e tornare a vincere nel Paese.
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