L’incapacità di riconoscere un leader
Le primarie sarde e il ritorno al cursus honorum extrapolitico.
Enrico Muttoni |
Perché è ormai evidente che la crisi generale nella quale il paese si dibatte deriva non solo dalla contingente situazione economica, ma soprattutto dalla assoluta incapacità del sistema ad individuare una o più personalità in grado di indicare una via d’uscita.
Nei miei primi anni da scolaro, era presente una figura, solitamente antipatica: il capoclasse. Costui, nominato dalla maestra o dai professori, era il modello al quale tutti gli allievi si sarebbero dovuti uniformare nel comportamento e nel rendimento; il Migliore, per definizione.
Questa figura è stata cancellata dal sistema educativo scolastico in nome di un malinteso senso di eguaglianza e di democrazia (che c’entrasse la democrazia, poi!) ma, unitamente all’abitudine di sostenere esami di fronte ad estranei, ha tolto agli allievi la capacità di riconoscere, anche obtorto collo i meriti oggettivi degli individui, che non fossero legati al successo economico, artistico o sportivo.
Questa incapacità è arrivata ora ai suoi massimi, e la pletora di candidati, che affollano le primarie in casa Pd, anziché fonte di successo, diventa la causa del marasma politico che vediamo. Se ci sono tanti aspiranti leader, vuol dire che essi si sentono tali, quando la prima dote che dovrebbero avere è proprio il riconoscimento del valore dei concorrenti. Il risultato delle primarie, si è visto, scatena una guerra tra bande, proprio perché la leadership o non viene riconosciuta, o non viene accettata. Insomma, vogliamo scimmiottare gli anglosassoni, ma siamo in realtà agli antipodi, perché loro riservano ai non prescelti, posti e responsabilità di tutto riguardo.
In casa Pdl, invece, si assiste alla commedia più squallida, dove si ribadisce ad ogni istante fedeltà al capo, e si cerca di rimuovere freudianamente il fatto che questi sia, contrariamente al capoclasse di deamicisiana memoria, un pregiudicato. Una situazione assolutamente incomprensibile agli osservatori esteri. Paradossalmente, lì non si riesce, probabilmente non si può e non si vuole, individuare una scala di valori, quando basterebbe essere incensurati.
Il terzo incomodo, a sua volta, pur riconoscendo una guida nel suo portavoce, si trova ad essere invischiato e costretto tra la volontà di non collaborare con gli altri, e la consapevolezza che, per quanto possano essere giuste le sue istanze, dovrà per forza venire a patti.
Il restante mucchio selvaggio di partiti e movimenti di ogni tipo, infine, non fa altro che dimostrare quanto pesi il mancato riconoscimento di una guida.
Per dare un taglio a questo nodo gordiano, una strettissima via ci sarebbe. Basterebbe presentare all’elettorato personalità più o meno note, ma con una caratteristica comune. Quella di avere un’attività, un mestiere, una professione, un lavoro a cui tornare alla fine del mandato politico (limitato nella durata per legge). E non, come accaduto sinora, che le personalità presentate siano, per la maggior parte il frutto di carriere autoreferenziali maturate all’interno di sindacati, strutture e uffici pubblici e che fanno sì che, senza alcun senso del pudore, ci si candidi a più incarichi, con l’unico millantato merito di essere titolare dell’incarico corrente o precedente.
In somma, ritornare, possibilmente, al cursus honorum extrapolitico che consenta al candidato, una volta raggiunta l’inevitabile esasperazione, di tornare al suo orticello mandando a quel paese tutto e tutti. O di essere cacciato, senza possibilità di risurrezione.
Poi, ma in silenzio, ritornare ai capiclasse.
Poi, ma in silenzio, ritornare ai capiclasse.
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