Se l’incuria e il degrado uccidono
La rabbia di una collettività che subisce lo stato di abbandono dei beni pubblici.
Budruni |
Il 28 marzo 2014, un nostro concittadino, Domenico Nurra, si godeva il sole pomeridiano di una primavera dolcissima, insieme alla compagna di una vita: sua moglie.
Chiacchieravano guardando il mare, ammirando, per la milionesima volta, gli scogli di quella “Muraglia” che è stata un po’ come una seconda madre per gli algheresi di qualche generazione fa.
Era sereno, come può esserlo un settantenne che si gode la sua pensione dopo un lungo periodo di lavoro. All’improvviso, si alza e si appoggia alla ringhiera. È un attimo: la struttura, corrosa dalla salsedine, cede. Un breve volo e poi lo schianto. L’uomo muore sul colpo. La moglie urla, pazza di terrore e di dolore.
Così si è consumata la tragedia, annunciata e sfiorata molte altre volte. Domenico Nurra è la vittima inconsapevole, casuale, di un degrado nel quale la nostra città è immersa da oltre un decennio.
In momenti come questi è necessario esprimere vicinanza e solidarietà alla moglie e alla famiglia del nostro concittadino, ma è necessario anche condividere l’urlo di terrore, di dolore, di disperazione e di rabbia di una collettività che subisce, spesso passivamente, l’incuria e il degrado dei beni pubblici.
Tutti abbiamo in mente i milioni di euro letteralmente buttati al vento in opere pubbliche inutili, talvolta dannose, spesso volute per appagare il narcisismo di chi governa. Tutti abbiamo in mente, stampata nella memoria, la distruzione prodotta dall’alluvione dello scorso novembre a Olbia, nel nuorese e in provincia di Oristano.
Tutti abbiamo visto le immagini di città (Olbia) costruite in zone paludose, sul letto di torrenti, in aree a rischio.
Ma la logica della politica degli affari, degli affari legati all’edilizia in particolare, se ne infischia dei rischi, se ne infischia dell’incolumità dei cittadini. Ha di mira solo il profitto. Anzi, ha di mira la speculazione, il profitto realizzato sull’utilizzo delle aree fabbricabili; il profitto ottenuto, spesso, grazie all’assenza di regole o grazie a norme che permettono interpretazioni elastiche a favore degli interessi di pochi e a danno della generalità dei cittadini.
In questi giorni, molti algheresi, addolorati e giustamente preoccupati, si sono scagliati contro il Comune e, più in generale, contro i politici, indicati come responsabili della tragedia.
Attenzione! La responsabilità non va ricercata nell’incapacità o nell’indolenza degli amministratori. Sarebbe troppo facile e sbrigativo. Il degrado e l’incuria non sono conseguenza diretta dell’incapacità amministrativa, ma delle priorità che gli amministratori si danno. E le priorità, così come accade in campo nazionale e mondiale, non le dettano i “politici”, ma i potentati economici che sempre più spesso determinano gli orientamenti politici e le stesse scelte politiche.
Se le mire, gli interessi, i calcoli politici sono finalizzati all’arricchimento di pochi a danno della collettività, è naturale che le questioni che stanno a cuore a tutti passino in secondo piano.
Il risanamento del territorio, il ripristino delle condizioni di sicurezza per i cittadini, il decoro urbano sono tutte questioni che si affrontano in un secondo momento, perché sono considerate una seccatura, un costo e una fatica con scarsi ritorni elettorali. E quando si interviene, normalmente lo si fa nelle zone interessate dall’afflusso dei turisti, non certo nei quartieri popolari, nelle periferie o nelle borgate.
È vero, negli ultimi anni, la legislazione ha imposto ai comuni vincoli drastici per la spesa pubblica. Le risorse finanziarie per la manutenzione, per il decoro urbano, per il risanamento ambientale e per il recupero idrogeologico del territorio sono state ridotte all’osso.
Ma questo non può rappresentare un ostacolo insormontabile. Perché la causa vera della disattenzione, del menefreghismo, del disinteresse per il bene comune e per la sicurezza dei cittadini è derivata dalla preminenza di altri interessi: quelli privati, di pochi. Dei quali si è occupata, quasi a tempo pieno, la classe politica che ha governato da sessant’anni a questa parte. Con pochissime, lodevoli eccezioni. Tutti gli scontri politici, tutte le crisi comunali, dal dopoguerra ad oggi, sono stati determinati dalle scelte sulla destinazione delle aree fabbricabili. La discussione sul PUC, per citare il pomo della discordia più recente, è stata avviata negli anni Novanta, dall’amministrazione guidata da Carlo Sechi. Sono passati quasi vent’anni da allora e tutto è rimasto fermo, paralizzato. Perché? Perché l’assenza di norme favorisce la speculazione, spinge verso accordi più o meno clandestini, consente l’accaparramento delle aree più appetibili, prima della definizione delle nuove regole.
Dov’è l’interesse pubblico in tutto questo agitarsi convulso, in questa corsa frenetica all’accaparramento delle aree, all’arricchimento sfrenato?
Non c’è! Non c’è e non ci può essere, fino a quando gli schieramenti politici non troveranno la forza di sottrarsi a questo circolo vizioso del cosiddetto sviluppo edilizio.
Uno sviluppo che ha prodotto mostri e che ha creato le condizioni di degrado e di incuria che ci espongono a seri rischi in caso di particolari condizioni climatiche. Condizioni come quelle che hanno devastato la parte orientale dell’isola nello scorso autunno e che avrebbero potuto determinare situazioni analoghe anche da noi, se la stessa quantità di pioggia si fosse scaricata ad Alghero anziché ad Olbia. Con la differenza che, da noi, i rischi sono presenti anche in assenza di particolari eventi atmosferici sfavorevoli. Da noi, è bastato un bel pomeriggio di sole perché un concittadino morisse a causa dell’incuria e del degrado.
Tra due mesi si dovrà eleggere il nuovo Consiglio comunale. Le forze politiche, come al solito, sono impegnate a definire organigrammi, liste e posti. I temi di cui ho trattato qui continuano a restare sullo sfondo, rubricate alla voce: secondaria importanza.
Forse, s’impone una riflessione importante. Non sarà che gli algherese sono talmente abituati a delegare, da non essere in grado di diventare protagonisti del loro futuro?
Era sereno, come può esserlo un settantenne che si gode la sua pensione dopo un lungo periodo di lavoro. All’improvviso, si alza e si appoggia alla ringhiera. È un attimo: la struttura, corrosa dalla salsedine, cede. Un breve volo e poi lo schianto. L’uomo muore sul colpo. La moglie urla, pazza di terrore e di dolore.
Così si è consumata la tragedia, annunciata e sfiorata molte altre volte. Domenico Nurra è la vittima inconsapevole, casuale, di un degrado nel quale la nostra città è immersa da oltre un decennio.
In momenti come questi è necessario esprimere vicinanza e solidarietà alla moglie e alla famiglia del nostro concittadino, ma è necessario anche condividere l’urlo di terrore, di dolore, di disperazione e di rabbia di una collettività che subisce, spesso passivamente, l’incuria e il degrado dei beni pubblici.
Tutti abbiamo in mente i milioni di euro letteralmente buttati al vento in opere pubbliche inutili, talvolta dannose, spesso volute per appagare il narcisismo di chi governa. Tutti abbiamo in mente, stampata nella memoria, la distruzione prodotta dall’alluvione dello scorso novembre a Olbia, nel nuorese e in provincia di Oristano.
Tutti abbiamo visto le immagini di città (Olbia) costruite in zone paludose, sul letto di torrenti, in aree a rischio.
Ma la logica della politica degli affari, degli affari legati all’edilizia in particolare, se ne infischia dei rischi, se ne infischia dell’incolumità dei cittadini. Ha di mira solo il profitto. Anzi, ha di mira la speculazione, il profitto realizzato sull’utilizzo delle aree fabbricabili; il profitto ottenuto, spesso, grazie all’assenza di regole o grazie a norme che permettono interpretazioni elastiche a favore degli interessi di pochi e a danno della generalità dei cittadini.
In questi giorni, molti algheresi, addolorati e giustamente preoccupati, si sono scagliati contro il Comune e, più in generale, contro i politici, indicati come responsabili della tragedia.
Attenzione! La responsabilità non va ricercata nell’incapacità o nell’indolenza degli amministratori. Sarebbe troppo facile e sbrigativo. Il degrado e l’incuria non sono conseguenza diretta dell’incapacità amministrativa, ma delle priorità che gli amministratori si danno. E le priorità, così come accade in campo nazionale e mondiale, non le dettano i “politici”, ma i potentati economici che sempre più spesso determinano gli orientamenti politici e le stesse scelte politiche.
Se le mire, gli interessi, i calcoli politici sono finalizzati all’arricchimento di pochi a danno della collettività, è naturale che le questioni che stanno a cuore a tutti passino in secondo piano.
Il risanamento del territorio, il ripristino delle condizioni di sicurezza per i cittadini, il decoro urbano sono tutte questioni che si affrontano in un secondo momento, perché sono considerate una seccatura, un costo e una fatica con scarsi ritorni elettorali. E quando si interviene, normalmente lo si fa nelle zone interessate dall’afflusso dei turisti, non certo nei quartieri popolari, nelle periferie o nelle borgate.
È vero, negli ultimi anni, la legislazione ha imposto ai comuni vincoli drastici per la spesa pubblica. Le risorse finanziarie per la manutenzione, per il decoro urbano, per il risanamento ambientale e per il recupero idrogeologico del territorio sono state ridotte all’osso.
Ma questo non può rappresentare un ostacolo insormontabile. Perché la causa vera della disattenzione, del menefreghismo, del disinteresse per il bene comune e per la sicurezza dei cittadini è derivata dalla preminenza di altri interessi: quelli privati, di pochi. Dei quali si è occupata, quasi a tempo pieno, la classe politica che ha governato da sessant’anni a questa parte. Con pochissime, lodevoli eccezioni. Tutti gli scontri politici, tutte le crisi comunali, dal dopoguerra ad oggi, sono stati determinati dalle scelte sulla destinazione delle aree fabbricabili. La discussione sul PUC, per citare il pomo della discordia più recente, è stata avviata negli anni Novanta, dall’amministrazione guidata da Carlo Sechi. Sono passati quasi vent’anni da allora e tutto è rimasto fermo, paralizzato. Perché? Perché l’assenza di norme favorisce la speculazione, spinge verso accordi più o meno clandestini, consente l’accaparramento delle aree più appetibili, prima della definizione delle nuove regole.
Dov’è l’interesse pubblico in tutto questo agitarsi convulso, in questa corsa frenetica all’accaparramento delle aree, all’arricchimento sfrenato?
Non c’è! Non c’è e non ci può essere, fino a quando gli schieramenti politici non troveranno la forza di sottrarsi a questo circolo vizioso del cosiddetto sviluppo edilizio.
Uno sviluppo che ha prodotto mostri e che ha creato le condizioni di degrado e di incuria che ci espongono a seri rischi in caso di particolari condizioni climatiche. Condizioni come quelle che hanno devastato la parte orientale dell’isola nello scorso autunno e che avrebbero potuto determinare situazioni analoghe anche da noi, se la stessa quantità di pioggia si fosse scaricata ad Alghero anziché ad Olbia. Con la differenza che, da noi, i rischi sono presenti anche in assenza di particolari eventi atmosferici sfavorevoli. Da noi, è bastato un bel pomeriggio di sole perché un concittadino morisse a causa dell’incuria e del degrado.
Tra due mesi si dovrà eleggere il nuovo Consiglio comunale. Le forze politiche, come al solito, sono impegnate a definire organigrammi, liste e posti. I temi di cui ho trattato qui continuano a restare sullo sfondo, rubricate alla voce: secondaria importanza.
Forse, s’impone una riflessione importante. Non sarà che gli algherese sono talmente abituati a delegare, da non essere in grado di diventare protagonisti del loro futuro?
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